Scrittori giovani o giovaniscrittori

Questo pezzo è uscito su Repubblica.

di Antonella Lattanzi

È il gennaio 1980. Feltrinelli pubblica Altri libertini, del venticinquenne Pier Vittorio Tondelli. È una scossa nella letteratura italiana. Ad Altri libertini succede di tutto. Nasce da un «volumone» scritto in un anno, quattrocento cartelle inviate a Feltrinelli cui Pier Vittorio lavora insieme al redattore editoriale e critico letterario Aldo Tagliaferri, riducendole, strapazzandole e, infine, dimenticandole, «per far posto a quello che sarebbe diventato il mio libro d’esordio», dirà poi PVT. La critica per lo più lo stronca. Lo processano per oscenità. Lo assolvono. Lo bollano come anti-letterario. Lo odiano, davvero. Lo amano – i giovani, e pochi adulti. Lo chiamano manifesto generazionale, il libro del giovane in pieno riflusso fine ’70-inizio ’80. È una raccolta di racconti. No, è un romanzo. Per Tondelli è il suo «atto di nascita». È l’atto di nascita di tutta una generazione, e di un modo di scrivere, di leggere, diverso. No, è un libro sopravvalutato. È un autore sopravvalutato. È il romanzo che rende pubblica la categoria dei giovani scrittori. Col suo destino schizofrenico ed eterogeneo – da libro spazzatura a «classico della modernità» – è la metafora di quella che sarà la vita di Tondelli. Sono trent’anni che lo studiamo. Ogni anno, per esempio, all’interno delle Giornate Tondelli, occasione di approfondimento e studio sull’opera tondelliana organizzate a Correggio dal Centro di Documentazione omonimo e dedicate, quest’anno, al trentennale di Altri libertini. Trent’anni dopo come possiamo leggerlo? Come può leggerlo chi, come me, è nato mentre Altri libertini veniva pubblicato? Io, nel gennaio ’80, ho due mesi.
«Sono giorni ormai che piove e fa freddo e la burrasca ghiacciata costringe le notti ai tavoli del Posto Ristoro, luce sciatta e livida, neon ammuffiti, odore di ferrovia, polvere gialla rossiccia che si deposita lenta sui vetri, sugli sgabelli e nell’aria di svacco pubblico che respiriamo annoiati, maledetto inverno, davvero maledette notti alla stazione»: l’incipit di Altri libertini.
Tondelli è uno scrittore vero, perché possiamo leggerlo oggi e ritrovarci nel suo stesso inverno. Dice Calvino che un classico è un libro che parla anche di me, che non ha mai finito di dire quel che ha da dire.
Tondelli, all’alba degli ’80, rompe i vecchi schemi divenuti aridi per costruirne di attuali, porta i non-codici del postmodernismo in Italia, è uno di quelli che apre il nostro paese sonnolento al mondo, ai materiali extraletterari come la musica, il cinema, il fumetto, studia i classici, mescola tradizione e innovazione, riconosce una linea dell’oralità che, a partire dall’America, passa per Celati e arriva sino a lui, usa una lingua e un immaginario generazionali (non è il solo, certo, il Busi del Seminario sulla gioventù è un altro giovane che parla di giovani, anche se in modo diverso da Tondelli: il «viaggio» del protagonista di Busi è più violento, estremo e intimo, e forse proprio per questo anche più condivisibile e attuale, in quanto non si appoggia mai su cardini limitati a un tempo e una generazione definiti e circoscritti). Trent’anni dopo, una prima eredità tondelliana è qui: nella tendenza a mescolare il classico e il pop, nello sguardo generazionale, nel sound del parlato, nelle merci citate per antonomasia che ritroviamo persino nei libri appena usciti, di giovani e non. Spesso con minore, io credo, consapevolezza. Come se nella strada da Tondelli a noi avessimo imparato a dare per scontato, a buttarci tutto in bocca senza masticare. Un’eredità, dunque, che forse non abbiamo saputo rendere prolifica. Da Tondelli, del resto, vengono anche epigoni incapaci di re-inventare a loro volta, di studiare. Si tratta forse di un effetto collaterale di quella che Tondelli chiamava la sua missione – e cioè proporsi come padre della generazione anni ’90?
Torniamo indietro e vediamo: tutto dov’è cominciato. Da una parte la «missione» di Tondelli affonda le radici nell’Italia del suo tempo. Pier Vittorio e gli altri narratori della sua generazione (Del Giudice, De Carlo, Tabucchi) erano soli. Scrive Pasolini: «Il ’68 ha anch’esso, a sua volta, bloccato i giovani. L’intellettuale si doveva suicidare. La letteratura doveva avere una funzione ancillare e subalterna rispetto alla propaganda politica. Doveva essere strettamente utilitaristica, d’intervento. Chi non era d’accordo su questo era un traditore». Freddato dai lunghi anni della strategia della tensione, il protagonista di Altri libertini è un giovane non-più-politico, nichilista e solipsista, non più parte di un gruppo: caratteristiche, ancora una volta, che permangono non solo nella letteratura anni ’90, ma anche nella nostra. D’altra parte, negli stessi ’60-’70 nacque la categoria sociologica del giovane, ma a portarla sotto i riflettori, nella sua totalità e in particolare sotto un aspetto, quello del giovane scrittore, fu il Tondelli di Altri libertini: un giovane che parlava di giovani, una sorta di penna generazionale che si propose subito come operatore culturale e si adoperò per i suoi «fratelli minori». Su tre fronti: i suoi libri; la redazione di articoli di giornalismo culturale in cui forniva consigli di lettura e scrittura. E l’ideazione, editing e cura delle tre antologie Under 25 (in cui, nell’arco di cinque anni, esordirono scrittori come Canobbio, Ballestra, Culicchia; oggi tutt’altro che sorpassati o inariditi), pensate per ricostruire un luogo editoriale di cerniera tra scrittori affermati ed esordienti, e di dibattito culturale e letterario – luogo che un tempo erano state le riviste. Un’auto-elezione a modello da imitare? Non credo. Perché davvero mancava un punto di riferimento, sono le risposte della generazione anni ’80 a dimostrarlo. Scrivere, riscrivere, leggere. E soprattutto: far parlare dei giovani i giovani stessi, non più gli adulti com’era accaduto spesso negli anni a lui contemporanei. «C’è bisogno di sapere tutte queste cose. […] Siete voi che dovete raccontare», scriveva Tondelli ne Gli scarti, articolo che apriva l’esperienza Under 25.
Se Tondelli pensò le antologie come mezzo di passaggio in cui «far raccontare i giovani», adesso (e ancor più un paio d’anni fa) il sovraffollamento di antologie di tutti i tipi intasa il mondo editoriale. Anche il concetto di giovane scrittore ha subito un deragliamento, diventando un’etichetta, l’aspetto più abusato e commercializzato della categoria sociologica dei giovani, un mostro a tre teste che invade librerie e occhi dei lettori. Più che mai presente, discussa, sponsorizzata, quella del giovane scrittore è oggi una sorta di dittatura (ci sono giovani che raccontano giovani dappertutto) che non fa bene né allo scrittore né al libro ma che per lo più lo ghettizza: come, del resto, tutte le etichette – scrittore del sud, scrittore donna, scrittore di rottura. Si rimane giovani scrittori per decenni, per sempre. Si rincorre l’esordio. Due mesi dopo l’uscita un libro è vecchio (nell’Italia, poi, della gerontocrazia, è un enorme controsenso). È vero. Ma d’altro canto si permette alle penne sconosciute di giocarsi la propria possibilità. Il confine è labile e parlarne oggi è necessario. Nel 2010, trent’anni dopo Altri libertini, rivendico la possibilità di essere giovane (o vecchia) e scrittrice, non giovanescrittrice.
Gli spunti tondelliani sono eterogenei, sia nell’origine che nel risultato (è anche vero che non sempre Tondelli riuscì a mescolare pop e letteratura al meglio, e a creare un nuovo capace di «reggere» ancora oggi, senza più alcun tipo di stampella a lui contemporanea). Il punto è però che certe sue eredità sono state portate a un simile parossismo da divenire controproducenti; altre sono ancora poco sfruttate, reimpiegate. È questa, io credo, l’eredità tondelliana che più dovremmo rendere feconda: il Tondelli animatore culturale, talent scout puro. Il Tondelli che, pur con tutti i suoi limiti, irrompe nella letteratura e, consapevolmente, crea nuovi schemi. Il Tondelli che scrive per passione. L’«inversione semantica» – come l’ha chiamata Nicola Lagioia – che da scrittori giovani ci ingabbia in giovani scrittori, non è propria di Tondelli, ma di un pleonasmo ottuso; il senso secondo me più prolifico e innovativo dell’esperienza tondelliana sta infatti nell’innovazione consapevole, culturale, che, studiando la tradizione, guarda molto più avanti del proprio piccolo, contingente, asfittico presente. Per una letteratura sempre nuova, sincera e, come tale, sempre rivoluzionaria.

Commenti
3 Commenti a “Scrittori giovani o giovaniscrittori”
  1. giorgio fontana ha detto:

    che bello vedere delle voci così lucide.

  2. enos ha detto:

    Splendido questo ricordo come del resto il discorso fatto di recente da Antonella alle giornate Tondelliane!!!!!! Enos

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Leggi commenti...
  1. […] fare piazza pulita delle incrostazioni “generazionali” che affliggono la sua figura. Come scriveva Antonella Lattanzi in occasione dell’anniversario di Altri libertini, è con Tondelli che entra […]



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