“Su questo pianeta non si smette mai di fuggire”: un’intervista a Natascha Wodin

Pubblichiamo un’intervista di Eleonora Barbieri a Nastascha Wodin tradotta da Marco Federici Solari, apparsa in una versione più breve su “Il Giornale”. Wodin è autrice di Veniva da Mariupol, pubblicato da L’Orma con la traduzione di Marco Federici Solari e Anna Ruchat. Ringraziamo l’editore, l’autrice e il traduttore per la gentile concessione.

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Quando ha visto tutte quelle persone fuggire dall’Ucraina, che cosa ha pensato?

Ho pensato che su questo pianeta non si smette mai di fuggire. Ricordiamo gli oltre 20.000 profughi annegati di recente nel Mediterraneo, ma ad esempio abbiamo praticamente già dimenticato i «boat people», i vietnamiti che negli anni Settanta sono stati respinti e abbandonati in mare: ne sono morti quasi mezzo milione. La guerra in Ucraina è una catastrofe tremenda, ma nella tragedia gli ucraini hanno almeno la fortuna di venir accolti con benevolenza e di ricevere un grande sostegno. Ovviamente la loro situazione rimane drammatica: sono stati privati della patria, gli hanno tolto la terra da sotto i piedi. Le famiglie vengono separate, i bambini perdono i padri perché gli uomini tra i 18 e i 60 anni non possono lasciare l’Ucraina e devono restare a difendere il Paese. La guerra toglie alle persone la cosa più importante: la fiducia nella vita. È un trauma che dura per sempre, un’inguaribile lacerazione nell’anima. Molti profughi fuggono con i propri animali domestici per portarsi dietro un pezzetto di casa e risparmiare a quelle bestiole l’esperienza di separazione che loro stessi stanno vivendo.

Quali differenze ma anche quali similitudini ci sono rispetto a quando furono costretti a fuggire i suoi genitori?

Le similitudini sono evidenti. Non so con certezza se i miei genitori siano fuggiti dall’Ucraina o se siano stati deportati dai nazisti. In ogni caso avrebbero avuto ogni ragione di scappare, per scampare dal regime di terrore di Stalin. E dopo Stalin ecco adesso al potere un altro folle dittatore, un criminale e un assassino che recluta i propri soldati nelle lontanissime regioni asiatiche del Paese, ragazzi ignari di tutto, quasi ancora bambini, che non sanno dove sono e contro chi combattono. E anche la popolazione civile russa soffre. Le sanzioni colpiscono soprattutto gli innocenti. Ma è un prezzo che si è disposti a pagare per mettere Putin alle strette. Il regime di Putin non infuria solo in Ucraina, ma pure in Russia. La libertà d’opinione già fortemente limitata è ormai del tutto abolita, trasmissioni radiotelevisive e giornali vengono soppressi, chiunque osi anche solo pronunciare la parola «guerra» rischia quindici anni di prigione. Sono sbalordita che in Germania si invochi il boicottaggio dei libri russi, pare che in alcune biblioteche siano stati eliminati persino i romanzi di Dostoevskij. Hanno impedito di andare in scena alla cantante lirica Anna Netrebko perché si è rifiutata di prendere pubblicamente le distanze da Putin, e questo l’ha poi costretta ad abbandonare la Russia. È inaudito. Mi paiono metodi putiniani.

Anche oggi vede la propaganda in azione, come allora, da parte dei nazisti e da parte dei comunisti?

Credo che pure oggi ci sia moltissima propaganda. Nuotiamo in un oceano di menzogne, fake news, falsificazioni e deliberata disinformazione. L’immagine del nemico viene deformata ed esasperata, lo scontro tra Ucraina e Russia è raccontato come una battaglia tra il bene e il male, con una semplificazione da film fantasy. Il modo in cui si demonizza Putin ha qualcosa di medievale. Non capisco i politici. Ovviamente Putin è molto pericoloso, e ormai è del tutto inaffidabile, ma proprio per questo ogni persona sana di mente farebbe il possibile per allentare la tensione, e invece noi facciamo l’esatto contrario: aizziamo il conflitto, gettiamo benzina sul fuoco rischiando così una terza guerra mondiale e forse addirittura l’apocalissi nucleare. Il regista, scrittore e filosofo tedesco Alexander Kluge sostiene che una guerra non si vince mai con un’altra guerra, in guerra ci sono sempre e solo sconfitti; secondo lui in qualunque situazione si può trovare un punto, per quanto microscopico, da cui è possibile costruire un’intesa. Quella di Kluge è una delle poche voci che in questi tempi sento in perfetto unisono con la mia, è un flauto in una parata di tamburi.

Mariupol in questo momento è assediata e isolata: che cosa prova?

La città dove è nata mia madre è al momento quella più gravemente colpita di tutta l’Ucraina. Per me è un evento quasi mistico. Come se anche da morta mia madre debba di nuovo subire la massima infelicità possibile. Credo che se vedesse le immagini cui assisto ora io in televisione sarebbe contenta di non essere più in vita. Mancano luce e gas, le persone muoiono di freddo, non hanno nulla da mangiare né da bere, sono inermi, non possono fuggire e sono in preda al terrore. La città potrebbe presto assomigliare di nuovo alla Mariupol del 1944, l’anno in cui mia madre lasciò per sempre la propria casa con appena un fagotto di vestiti. A volte ho l’impressione che mia madre venga spinta ancora una volta tra le braccia della morte.

Che cosa può raccontare della città di sua madre, che cosa ha capito di questo luogo che già dal nome ha un grande fascino?

Fino alla Rivoluzione di Ottobre Mariupol è stata un centro eminentemente multiculturale. Ci vivevano ucraini, russi, ebrei, polacchi, greci, italiani e altre nazionalità. Vi regnava una povertà indescrivibile, ma c’erano pure persone abbienti come il mio bisnonno italiano che aveva una villa dove è cresciuta mia madre. Il bisnonno aveva cominciato come mozzo arrivando poi sino al grado di capitano, aveva finito poi per stabilirsi a Mariupol e fare fortuna esportando carbone dal Donbass. All’inizio della Rivoluzione fu espropriato e cacciato con la sua famiglia o forse venne ucciso, non lo so, in ogni caso di lui non sono stata in grado di trovare più nessuna traccia. Mia madre nacque nel 1920, quindi tre anni dopo la Rivoluzione, quando la città era già in buona parte distrutta dalla guerra civile. Per tanto tempo Mariupol fu poco più di un grigio nulla su cui sventolavano bandiere rosse. Poi scoppiò la Seconda guerra mondiale che la ridusse a un cumulo di macerie. Ricostruirla fu un processo assai lungo. E adesso viene rasa al suolo di nuovo.

Che cosa invece può dirmi del rapporto fra mondo russo e mondo ucraino nei luoghi d’origine di sua madre?

Per esempio, la lingua parlata, la cultura… Con la fondazione dell’Unione sovietica l’Ucraina cominciò a emanciparsi dalla Russia, prese coscienza di avere una propria lingua e una propria cultura. L’ucrainizzazione venne imposta dall’alto. All’epoca lo studio era riservato quasi esclusivamente ai figli di operai e di contadini, ma mia zia Lidia, che proveniva da una famiglia aristocratica e capitalista, riuscì in maniera avventurosa a ottenere un posto da studentessa all’università di Odessa. Nelle sue memorie narra come nell’ampio ingresso dell’ateneo fosse affisso un grande cartello: «Nei locali dell’università è proibito parlare russo». Racconta che si parlavano le lingue più disparate, tedesco, yiddish, inglese, francese, greco, italiano, ma il russo, che sapevano e capivano tutti, era vietato. Mia zia doveva far lezione in ucraino a operai e postini, ed eseguire assurde traduzioni di regolamenti aziendali e di istruzioni tecniche dal russo all’ucraino. Ciononostante, in Ucraina il russo si è sempre parlato, russi e ucraini sono sempre stati fratelli. Solo quando l’Ucraina ha cominciato a staccarsi dall’Est e a desiderare l’Ovest è nata la feroce ostilità che da tempo ormai infiamma il Paese sfociando anche in scontri militari tra ucraini russi e ucraini filooccidentali. Ma i matrimoni tra russi e ucraini sono ancora all’ordine del giorno e i bambini russo-ucraini sono moltissimi. La guerra taglia come una lama queste famiglie e ogni persona che, al pari di me, ha un’origine sia russa che ucraina.

Può spiegare perché i suoi genitori furono deportati?

Nella Seconda guerra mondiale la Germania aveva bisogno di manodopera. Gli uomini tedeschi erano al fronte e, senza gli schiavi che costavano poco o nulla deportati dall’Unione Sovietica e da molti altri Paesi, l’economia di guerra tedesca sarebbe crollata. Nei campi di concentramento le persone venivano uccise con il gas, nei campi di lavoro si veniva annichiliti dalla fatica. I forzati lavoravano fino allo stremo delle forze. Poi venivano sostituiti da altra manovalanza reclutata dagli spazi infiniti del regno sovietico. Descrivo questi eventi nel mio libro Veniva da Mariupol.

Che rapporto ha oggi con Russia e Ucraina, le patrie dei suoi genitori?

Negli anni della mia giovinezza ho attraversato una crisi di identità dopo l’altra, ho sempre pendolato tra la Russia e la Germania, sia geograficamente che spiritualmente. All’epoca l’Ucraina apparteneva ancora all’Unione Sovietica, i confini tra Russia e Ucraina erano stati cancellati. A casa abbiamo sempre e solo parlato russo, credo che mia madre l’ucraino non lo sapesse affatto. Sei mesi fa sono tornata a Mosca dopo una lunga assenza. Non riuscivo a credere ai miei occhi. Mi si è parata davanti una megalopoli dallo sfarzo zarista, una metropoli che turbina di continuo in una danza intorno al vitello d’oro; vanno tutti di fretta, le autostrade a sei corsie sono sempre intasate. Dopo un paio di giorni provavo la sensazione di essere invecchiata di un anno. Preferisco Berlino, che dopo questo viaggio mi è sembrata un villaggio, un borgo dai ritmi medioevali. Da tempo però la mia vera patria è la lingua tedesca, è la mia arca, una casa che posso portarmi dietro ovunque. Ma la città più bella del mondo per me rimane Roma.

Pensa che chi fugge si senta in qualche modo purtroppo di tradire la propria patria? Lei accenna a questo concetto nel suo libro…

Forse durante la Seconda guerra mondiale alcuni lavoratori forzati avevano l’impressione di essere venuti meno ai doveri verso il proprio Paese, anche se era stato Stalin a dichiararli collaborazionisti e traditori della patria. Quelle persone non avevano avuto scelta, erano stati deportati e costretti a lavorare, ma secondo Stalin si sarebbero dovuti suicidare piuttosto che produrre per il nemico. Le donne che oggi lasciano l’Ucraina non pensano di aver tradito: si considerano vittime. Dice che nel passato c’è “un oceano di vittime dimenticate”: questo oceano si allarga ancora? Perché secondo lei, e sempre nelle stesse terre? Nel mondo i focolai di guerra sono dappertutto. Certo, alcune regioni sono più colpite di altre. L’umanità non impara niente. Mi sono sempre considerata una privilegiata per non aver mai vissuto una guerra in tutta la mia esistenza. Ora non so più se sarà così. A un passo da me, a un passo da noi, la sottile pelle della civiltà si è squarciata e, subito sotto, la barbarie è di nuovo in agguato.

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