Alma, il romanzo dei nostri luoghi
di Francesca Romana Cicolella
Non siamo le nostre origini, siamo quello che scegliamo di essere a partire dalle nostre origini. Si impara anche questo leggendo “Alma”, ultimo libro di Federica Manzon uscito per Feltrinelli a gennaio 2024.
Alma è una giornalista che lavora e vive a Roma, lontano da Trieste, dove è nata e cresciuta. Un’eredità lasciatale dal padre la costringe a tornare nella città natale e Alma decide di farlo durante la Pasqua ortodossa. Tre giornate, da venerdì a domenica, che permettono al lettore di andare a ritroso. Non c’è solo un’eredità da scoprire leggendo Alma, ma anche e soprattutto ciò che quell’eredità cela, portando indietro nel tempo e in giro per l’Europa in maniera inaspettata.
La geografia è la grande protagonista di questo romanzo. Alma è libro in cui i luoghi definiscono le storie, gli danno un senso e fanno il paio con le interiorità dei personaggi e con la Storia. C’è Trieste, di cui Alma conosce posti sconosciuti, case e strade e in cui a un certo punto si sente estranea. C’è la terra al di là, i Balcani che da Trieste si scorgono chiari, che ad Alma sono familiari ma che a volte sembrano lontanissimi.
L’infanzia e l’adolescenza di Alma sono segnate dalle vicende della dittatura di Tito, con cui suo padre lavora a stretto contatto. Il suo incomprensibile ruolo politico rende Alma cittadina triestina con la libertà di raggiungere i Balcani in qualsiasi momento, lei può arrivare su quell’Isola che si scorge da Trieste con un foglio lasciapassare che abbatte i confini.
La vita in città scorre nell’attesa del ritorno del padre, in balia dei suoi continui andirivieni, dei suoi racconti e delle sue sorprese. Un giorno l’uomo torna a casa in compagnia di un bambino, Vili. Figlio di amici, nato proprio nell’ex Jugoslavia, Vili cresce con Alma. Con lei condivide il tetto, la città, la quotidianità e la figura paterna con cui, troppo spesso, sembra essere in intimità più della vera figlia.
Sono quelli gli anni in cui a casa di Alma “si passano le parole come manici bollenti di una pentola”, perché ognuno parla nel suo slang, nella lingua che lo fa sentire a casa.
“Tutto dipende dalla geografia e non dalla storia”, le dice suo padre. Per Alma, quindi, la geografia diventa la misura di tutte le cose.
La città è sempre stata vasta sopra le loro vite, sua e di suo padre e di Vili: un punto d’attrazione che li ha spinti a tormentarsi, scappare e tornare, alimentando il sospetto in chi li amava di essere solo un accidente funzionale al legame con la città, che dal canto suo ha sempre brillato in questa vocazione – rendere impossibile il restare e lacerante il partire.
Federica Manzon, che del suo amore per Trieste ne ha fatto cifra stilistica, fa in modo che anche Alma sviluppi con questa città un legame indissolubile per quanto intricato. A Trieste, per Alma, ci sono la casa del viale dei platani, il vecchio caffè, la casa sul Carso. Ci sono le strade e ci sono le fasi della vita. C’è l’assenza di suo padre e la costante presenza dei nonni, il cui ruolo muta con il passare degli anni e che rappresentano, senza dubbio, la borghesia triestina, quell’Austriaungheria che diventa fuori contesto con il passare del tempo. A Trieste c’è sua mamma e il suo lavoro in quel manicomio che diventa pretesto per ripercorrere i cambiamenti dell’Italia legati alla riforma Basaglia, ma che è anche un non luogo di felice follia.
Anche Vili contribuisce a riempire Trieste. Qui Alma ha la possibilità di trovare con lui un luogo segreto dove il tempo si ferma e entrambi sono al sicuro; solo a Trieste Alma inizia a conoscere i segreti di quel ragazzino, qui scopre dove va e come prega, qui ne impara a conoscere valori e limiti.
Ma la città della sua infanzia è per lei piuttosto un luogo di dispersione, un caleidoscopio di vite possibili – tutte quelle che avrebbe potuto essere se avesse saputo rimanere agganciata a qualcosa coltivando le relazioni con le persone come sua madre coltivava le rose, con innesti dentro lo stesso vaso.
Da Trieste Alma scappa, sentendosi stretta tra quelle strade e in quei legami di sangue.
Decide di andare a Roma, dove è facile trovare una redazione che non conosca la sua storia e accolga le sue anonime storie scritte. A Roma è facile non dire da dove vieni, sviare le domande sulla storia personale e costruirsene una diversa.
Ma Trieste non è mai lontana. Quando Tito muore suo padre torna a casa e diventa l’uomo sedentario che non è mai voluto essere, allora Alma sceglie di fare un salto più lungo e di raggiungere Belgrado. Ha bisogno di capire. Qui può scrivere articoli per raccontare gli eventi di guerra, ma ciò che cerca appena arriva è una persona più che un fatto. Vili oramai è tornato a casa da qualche tempo, le sue tracce sono le fotografie trovate sui giornali e Alma ha bisogno di capire come e quando le fa, dove si trova e perché ha scelto di starci.
“L’isola è una chiave, ma non sa per aprire quale cassetto”, pensa Alma guardando i Balcani da bambina. I cassetti da adulta si aprono e ciò che viene fuori è inaspettato anche per lei che pensava di sapere molto di quei luoghi.
Suo padre le ha insegnato che il senso dei fatti va cercato nelle storie minori, non bisogna guardare a quello che accade nella capitale ma ascoltare le chiacchiere nelle taverne dei piccoli paesi, nelle gole tra le montagne o nelle strade lungo i confini secondari.
A Belgrado Alma, pur stando a distanza dai paesi in cui la guerra è dura e complicata, cerca le storie e la sua storia. Lei è convinta che le consapevolezze dell’età adulta abbiano spazzato via il passato, ma quel che ha imparato da bambina viaggia con lei.
Narrare la guerra oggi è diverso dai tempi passati, allora il suo compito diventa scavare a fondo e creare un nuovo presente. Ne viene fuori un luogo ancora diverso.
Nei nuovi territori balcanici i confini facilmente valicabili non esistono e lì Alma scopre che in un luogo oramai chiuso che pare lontanissimo ci sono anche i segreti di suo padre.
Alma ha iniziato a scrivere degli articoli per il suo giornale, non si tratta di cronache o analisi geopolitiche, sono piuttosto lettere dal fronte dove non viene nessuno, dal momento che le notizie hanno bisogno di una dose di tragedia o eroismo, soprattutto se vengono da luoghi che a malapena si saprebbero collocare sulla carta geografica, villaggi e regioni con nomi difficili da leggere, ma tragedia e eroismo stanno nella città sotto assedio, non certo in quella dei criminali di guerra. Così Alma scrive le sue lettere come per mettere un punto.
Ma il punto di Alma risulta difficile da mettere e così anche il lettore, quando Federica Manzon racconta dei mesi lontani dall’Italia della sua protagonista, sente forte il senso di smarrimento. Alma, che “credeva di sapere tutto e invece non sa niente”, racconta la difficoltà di tracciare realmente una mappa di quei luoghi, di farsi strada in quella Storia.
La soluzione è nel ritorno ai suoi luoghi, alla “voce di velluto” di suo nonno. A lui Alma finalmente confessa di non essere in grado di capire. Se da bambina fingeva di saperne quanto Vili della vita del padre e di ciò che accadeva sull’Isola, ora fa i conti con ciò che non sa, con quella parte della sua geografia che è davvero troppo complessa. “Sei solo andata a infilarti nella parte più difficile da capire”, le dice allora suo nonno. “No, non credo che tu sia una sradicata, devi solo trovare il tuo posto dove mettere radici”.
Da lì, da quelle parole e dalle origini da cui era scappata, Alma riparte. Comincia a mettere insieme i pezzi anche se “ci sono giorni in cui l’incomprensibilità degli eventi si materializza sotto gli occhi”. Ma forse stare dalla parte sbagliata della Storia è utile, perché aiuta a capirne tutte le parti.
Anche da Belgrado Alma scappa, “non prende niente della vita di questi mesi, esce come è entrata”. Accade ancora quel che pare necessario quando un legame si crea: deve seguire uno strappo. A ricucire, per paradosso, ci pensa chi proprio chi le aveva insegnato ad allontanarsi. L’eredita del padre non riporta Alma solo a Trieste.
Quello che Alma scopre alla fine di questo romanzo porta per intero il senso della Storia che Federica Manzon ha creato. L’eredità paterna contiene il passato e i ricordi da cui Alma è sempre stata convinta di dover scappare per salvarsi e in cui, alla fine, trova la sua vera tregua.
Nei luoghi di Alma ci sono metafore di vita, ci sono i posti in cui ciascuno di noi sente la necessità di stare o quelli che sente il bisogno di amare. C’è il senso delle origini, ci sono le persone che diventano luoghi e le loro storie che ne compongono una unica, autentica e universale.
La capacità di questo romanzo è, in definitiva, quella di creare una mappa interiore della protagonista ma anche di riportarci dove non pensavamo di poter stare. La scrittrice ci racconta di come abbiamo sottovalutato, da sempre, la guerra dei Balcani, di come pensiamo di conoscere i luoghi in cui cresciamo e da dove veniamo e di come poi, se non decidiamo di capirli, non capiremo mai noi stessi. Federica Manzon, con Alma, ci insegna che si può scappare da molti luoghi. Ma ogni luogo ci contiene e scappare da sé stessi è impossibile.