Caterina da Coragrotta, Santa e Strega: “Cos’hai nel sangue” di Gaia Giovagnoli
di Marco Carratta
Nel suo romanzo di esordio Cos’hai nel sangue, pubblicato dalla casa editrice nottetempo, la scrittrice Gaia Giovagnoli esplora l’universo della comunicazione tra reale e immaginario, tra l’uomo e il soprannaturale raccontandoci la storia di Caterina e di sua madre e del loro rapporto segnato da un passato spaventoso, indicibile.
Fin dalle prime pagine, un susseguirsi di sogni improvvisi, ingarbugliati e indecifrabili si alterna a scene di una quotidianità in cui la malattia della madre, la signora Gaggi, invade anche la sfera più intima della vita di Caterina, costretta ad assistere quella donna “bianca e fragile, piena di ombre e spigoli con il cervello che scalcia dentro l’assurdo”. La trama è rarefatta in un equilibrio precario di ricordi lontani, conversazioni sconclusionate, immagini confuse e atteggiamenti irrazionali in cui è difficile orientarsi; segni della presenza di una forza soprannaturale maligna che, alla luce della faticosa ricerca di Caterina, si risolvono in una serie di coincidenze e una concatenazione di fatti. È solo andando avanti nella lettura che l’autrice costruisce le condizioni che permettono al lettore di prendere sempre più confidenza con un mondo magico e spaventoso.
A fare da spartiacque nella travagliata vita della protagonista è l’incontro con uno “strano studioso”, l’antropologo Alessandro Spina, che in quell’occasione le fornisce accidentalmente gli strumenti per fare luce sul passato di sua madre e sulle ragioni del suo, del loro malessere.
“Un vecchio registratore e qualche cassetta senza custodia. Sotto, alcuni fogli sparsi, delle buste trasparenti vuote e quello che sembra un quaderno di appunti nero”, questo tutto quello che Spina ha prodotto con le sue ricerche condotte sugli abitanti e sui luoghi di Coragrotta. Così si chiama il paese dal quale la madre di Caterina era scappata, giovane e incinta, con il desiderio di non tornare più e la promessa di non farne mai parola con la sua unica figlia. Lei, venuta al mondo per liberarla e per essere essa stessa libera, aveva ricevuto il nome di Caterina in onore a “Santa Caterina, santa della libertà”, “che veglia su di loro e le protegge”. Ma Caterina “è una cosa doppia, è due cose contemporaneamente”: quel nome è anche quello di una strega, Caterina Foschi, raccontata in alcuni documenti datati 1567 e “che ancora oggi vola senza peso sui boschi del Casentino” e chi la vede “dice che sta come una madonna”. Una dicotomia, non rigida ma permeabile, presente anche nel rapporto con la madre caratterizzato dal “loro modo violento di volersi bene”.
Sono tante le ambivalenze irrisolte presenti nel romanzo: l’ombra della madre è la matrigna, quella della guaritrice la fattucchiera, della casa il bosco. L’autrice le sfrutta riuscendo a trasformare una storia privata in un episodio clamoroso di storia collettiva che traccia l’affresco di un paesaggio geografico, umano e spirituale ricco di credenze lontane e mentalità magica.
La ricerca che Spina aveva intrapreso per studio, e che l’ha reso “confuso, solo, disperato”, Caterina l’affronta per poter continuare a vivere, per “conoscere cos’ha nel sangue”. Ad aver consumato mentalmente e fisicamente sua madre sono stati gli sforzi fatti per rompere una “maledizione nascosta”, un legame che la distanza fisica e temporale con quel luogo d’origine non aveva sciolto, e che influenza il loro inconscio e la loro esistenza in modo subdolo e terrificante.
Gaia Giovagnoli, in questo esordio complesso e ricco di suggestioni, usa l’espediente letterario dell’intertestualità e così intreccia lo stile asciutto, scientifico, lucido delle pagine che racchiudono l’indagine antropologica con uno stile personale e lirico attento alla sfera emotiva. Affascinante è anche la descrizione dei luoghi dove avvengono i fatti narrati, veri e propri protagonisti del romanzo.
La conclusione sbalordisce e spaventa: nel sangue vi è “una catena dal peso insostenibile” che soffoca anche il più tenace istinto di liberazione. È la stessa autrice a spiegare in un’intervista pubblicata sulla rivista unaκοινῇ questo concetto:
“amo proprio l’idea del destino che non si può sconfiggere e della colpa che si tramanda. A mio parere è un’intuizione profonda e molto veritiera, in un certo senso sempre attuale. Dove si nasce, in quale condizione sociale, da quali genitori, ecc. sono tutte variabili che determinano ciò che siamo e cosa faremo nella vita. L’idea del libero arbitrio e della responsabilità individuale sono spesso illusorie: non sempre si è in grado di rompere il cerchio perché certe questioni dipendono non dal singolo ma da sistemi strutturali molto più ampi di lui.”
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Riferimenti:
Claudia Tedeschi, Conversazione con Gaia Giovagnoli, Unakοινῇ – Rivista di studi sul classico e sulla sua ricezione nella letteratura italiana moderna e contemporanea, n.2, 2021