Dentro il passato e attraverso l’invisibile emergono le “Tessiture di sogno” di W.G. Sebald

di Marco Lupo

Il 16 ottobre 1997, intervistato da Eleanor Wachte, W.G. Sebald le spiega la sua fascinazione per la polvere. La conversazione scava fra i temi portanti del suo libro appena tradotto in lingua inglese, gli Emigrati. La voce dattiloscritta dell’autore tedesco racconta di una visita a un editore londinese, a Kensington, nei giorni della stesura di alcune pagine memorabili. Prima di incontrarlo, Sebald viene accompagnato dalla moglie dell’editore all’ultimo piano della casa, in una stanza colma di libri e con una sedia in attesa di riceverlo. Polvere accumulata da anni sul tappeto, sul davanzale della finestra, sui libri e sul pavimento. L’autore nota una scia tracciata come un sentiero nella neve e rivede il gesto di chi lo ha preceduto: il movimento di qualcuno che apre la porta, sceglie un libro e si siede per leggerlo. In quel solco aperto nella polvere fitta, nella stanza silenziosa, Sebald sente la natura pacificante dell’elemento naturale.

Nella prosa di Sebald abitano residui del passato che oscillano come lucciole nella notte iridescente. Gli oggetti, le città perdute, i corpi di chi le ha abitate nel tempo diventano materia comunicante in una carta geografica immaginaria popolata da fantasmi, ingiustizie, ricordi che assomigliano a scandali e lutti profondi come pozzi.

Il libro postumo è una tappa nell’opera di uno scrittore che pone domande sui tasselli invisibili della nostra esistenza. Pubblicato ora da Adelphi e tradotto magistralmente da Ada Vigliani, Tessiture di sogno è una porta di accesso alla cosmogonia dell’autore di Austerlitz, Gli anelli di Saturno, Soggiorno in una casa di campagna, Emigrati, Secondo natura, Vertigini e Storia naturale della distruzione.
Un mese prima di morire in un incidente stradale in seguito a un arresto cardiaco, Sebald scrive un intervento sull’inaugurazione della Casa della letteratura a Stoccarda. Nel pezzo descrive l’incontro avvenuto nel 1976 con il pittore Jan Peter Tripp, suo vecchio compagno di scuola ritrovato nella Reinsburgstrasse. L’amico, da cui non si separò più, gli regalò un’incisione che diede inizio alle visioni e al lavoro connettivo alla base delle sue opere. Ciò che lo colpì, in particolare, fu la possibilità di collegare «cose in apparenza molto distanti fra loro». Il tentativo di restituire il ricordo di coloro che hanno subito enormi ingiustizie è il fondamento di una scrittura che unisce punti lontani per rispondere a domande eterne.

Quindi nelle prose e nei saggi raccolti in Tessiture di sogno (Campo Santo è il titolo dell’edizione originale) risiedono le carte raccolte da Sebald e le ossessioni coltivate con cura, prima di divenire a loro volta libri che genereranno altri libri, in una sorta di Wunderkammer divisa tra il sogno indicibile e la luce che aggrega i vivi e i morti, in un tempo reale superato soltanto grazie alla rievocazione minuziosa degli oggetti e delle storie cadute nell’oblio.

I frammenti di un libro incompiuto aprono l’edizione finalmente disponibile in italiano. Dopo Gli anelli di Saturno, l’autore aveva fotografato con penna delicata e digressiva le tappe di un viaggio in Corsica. Le pagine riemergono come isole mutate dal tempo e vivono nella penombra di un crepuscolo lirico, a volte irradiato da una melodia entrata per caso dalla finestra e mai dimenticata.
I saggi e i discorsi che seguono le brevi prose coprono un arco temporale di ventisei anni, dal 1975 al 2001, dall’anno che precede l’epifania causata da un’incisione fino al decesso in una strada nei pressi di Norfolk. L’ordine cronologico dei testi è stato curato da Sven Meyer e permette di cogliere le evoluzioni nella pratica critica e saggistica. La musicalità della prosa e le variazioni dello stile diventano terreno sondabile dal lettore che riconosce i ritmi della bellezza e le procedure della lingua. Nel finale del saggio dedicato alla drammaturgia di Kaspar scritta da Peter Handke risuona un invito a mantenersi fedeli «alla lingua asociale, alla lingua bandita» e alle «immagini opache di una ribellione spezzata».

Nel numero dell’aprile del 1982 di Orbis litteratum, diciassette anni prima di pubblicare Storia naturale della distruzione, W.G. Sebald, si intromette in un affare discutibile, che ha a che fare con letteratura e politica, con la responsabilità degli intellettuali nel loro tempo e con lo smacco di una rimozione collettiva, avvenuta nei territori bombardati dagli alleati durante la Seconda guerra mondiale in Germania, che ha lasciato pochi sedimenti negli scritti della generazione attiva negli anni delle rovine, la cosiddetta generazione della letteratura delle macerie. Chi erano gli scrittori che hanno affrontato i fantasmi e le vertigini della colpa? Quali sono state le loro rimozioni? Perché sono stati così pochi e effimeri i loro sortilegi letterari? Che cosa li spaventava? Alcune di queste domande interrogano Sebald in una ricerca critica e documentale che affonda nelle pagine di coloro che erano testimoni di una devastazione da cui non era possibile evadere. Wolfgang Borchert, Hans Erich Nossack, Alexander Kluge e la colpa di essere sopravvissuti al Feuersturm (tempesta di fuoco) e alla distruzione di ogni topografia conosciuta.

Se è vero, come scrive Sebald, «che una descrizione della catastrofe è possibile, ma a partire dai suoi margini e non dal centro», è anche vero che osservando la catastrofe ci si rende conto di come le persone siano incapaci di considerare la gravità della minaccia e di trovare soluzioni non conformi alle regole pattuite.

A seguire scoccano i dardi critici nei confronti di scrittori come Günter Grass e Wolfgang Hildesheimer. I saggi su Peter Weiss e Jean Amery condannano un’epoca senza redenzione, il cui centro risiede nella resistenza mancata, nella tortura e nel genocidio. Le pagine sulle vittime incapaci di affidarsi a meccanismi di rimozione, al contrario dei carnefici, valgono quanto una biblioteca sulla crudeltà e sulla bellezza della dignità. Kafka e Nabokov, nei saggi successivi, diventano incarnazioni di fantasmi, defunti che hanno molto in comune con lo scrittore che si occupa del passato, mentre Chatwin incarna il desiderio pungente di scoprire il mistero da cui siamo esclusi. In un discorso pronunciato all’Accademia Tedesca per la Lingua e la Poesia, Sebald dichiara di essere vittima di sogni in cui viene smascherato come traditore della patria. Il crepuscolo oscura la sala e lo protegge dalle idiozie.

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Marco Lupo è nato a Heidelberg e fa parte del collettivo di scrittura TerraNullius. Ha pubblicato “Hamburg” con il Saggiatore, con cui ha vinto il premio Campiello opera prima.

 

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