Dentro un futuro tropicale. “Prima della rivolta” di Michele Turazzi
Questa sera a Milano Michele Turazzi presenta Prima della rivolta alla libreria Alaska. Dialoga con lui Marco Rossari.
di Alessandro Ceccherini
Prima della rivolta è innanzitutto un giallo: Michele Turazzi, al suo esordio, adotta le convenzioni del genere sviluppando la narrazione nella Milano del 2045 tropicalizzata dal cambiamento climatico, in un futuro prossimo dove il mondo si è fatto meno ospitale e l’elettricità viene fornita quasi esclusivamente attraverso l’energia solare. Tutto parte dall’omicidio di Renato Valsecchi, luminare e presidente della Solar Wave – che per il suo ruolo ricorda il protagonista di Solar di McEwan –, gargantuesca società che produce e gestisce le infinite distese di pannelli solari grazie alle quali una porzione di umanità può continuare a vivere in modi simili a quelli odierni, solo più green.
Il mondo delineato da Turazzi è stravolto rispetto a quello che conosciamo, meno adatto alla vita: il livello del mare si è alzato e le zone terrestri su cui era possibile prosperare agevolmente sono adesso più ristrette; in Italia una parte del Sud si confronta con l’avanzare della desertificazione mentre il resto del territorio è costretto a subire un sole comunque spietato; in pochi anni gli assetti istituzionali sono cambiati e le dinamiche tra i corpi sociali si sono inasprite. Il clima ha quindi la funzione narrativa di acceleratore di eventi: per esempio, dall’evoluzione di attuali filosofie pessimiste e movimenti legati all’antinatalismo – come il VHEMT, Voluntary Human Extinction Movement – nasce la Chiesa dell’Apocalisse, un culto che predica la fine della specie umana accusata di essere il male principale del pianeta (il rito collettivo prevede l’elencazione in coro delle specie estintesi a causa dell’uomo) e che, nella sua dottrina, ricorda il dualismo di alcuni movimenti gnostici che non ritenevano esistesse sacralità nella materia.
Il cambiamento climatico è oggi considerato un iper-oggetto in quanto presente ovunque e per questo quasi impossibile da comprendere nella sua interezza. Turazzi, per cercare di rendere la moltitudine indefinibile di conseguenze a esso legate, si lascia andare a lunghe, particolareggiate descrizioni di molti aspetti della realtà quotidiana. Ciò che viene fuori dal quadro complessivo è una società in cui il cambiamento si è imposto all’intera civiltà umana, ma con conseguenze molto diverse a seconda della classe sociale di riferimento: a Milano, all’ora dell’aperitivo, i bar sono ancora affollati, mentre fuori dalla città decine di migliaia di persone sopravvivono a stento.
Il sistema si è riassestato definendo in modo ancora più marcato i rapporti di forza tra ricchi e poveri: i primi vanno a vivere in comunità montane esclusive (proprio adesso la giunta Zaia vorrebbe permettere, in Veneto, la costruzione di hotel oltre i 1600 metri d’altitudine) oppure si barricano in gated community nel centro di Milano; la massa invece si divide nei pochi che hanno ricevuto la grazia di un lavoro e per questo difendono lo status quo, e tutti gli altri che vendono il proprio corpo negli hangar del vecchio aeroporto oppure vagabondano nella megabidonville fuori città, in attesa di un contratto che spesso resta un miraggio, al di là del muro in acciaio eretto per tenere lontano il mondo affamato.
L’aumentare della forbice con cui viene distribuito il benessere è quanto di più logico da ipotizzare per il futuro, visti i decenni che precedono e fondano il presente in cui viviamo: il capitalismo finanziario ha fatto in modo che lo Stato venisse sottomesso agli interessi privati, così nel romanzo le istituzioni politiche centrali (Roma) non sembrano aver trovato la forza per tutelare i cittadini; lo Stato, indebolito dai decenni di politiche economiche neoliberiste, non ha avuto i mezzi per mantenere l’apparato che ne determina l’esistenza, così si sono creati i presupposti per una sorta di ritorno alle città-stato dove solo chi ha un lavoro può godere delle tutele sociali (perlomeno a Milano).
Avere un impiego è, nel romanzo, una sorta di miracolo, perché l’automazione rende le fabbriche capaci di funzionare con pochissima forza lavoro e al contempo le istituzioni non offrono sostegni a chi non viene occupato, ma anzi vincolano alcune libertà e diritti fondamentali al possesso del contratto lavorativo, e in questo è impossibile non vedere il legame con la retorica del sacrificio cui possiamo assistere oggi da parte del mondo imprenditoriale, in un mondo del lavoro che ha visto scomparire progressivamente molte tutele favorendo forme contrattuali che a priori non le contemplano. “Cos’hanno in comune Confindustria, la Digos, Piazza Affari e il Fronte dell’Uomo Comune? Niente. Eppure stanno tutti insieme, contro di noi”.
Questo romanzo è un giallo, dicevamo, in quanto il protagonista è un commissario che deve risolvere un caso di omicidio, ma sono anche altri i generi che si mescolano nella narrazione: il primo è la distopia, visto che il controllo sugli individui è costante e asfissiante, ci sono droni ovunque ed è necessario un pass lavorativo anche solo per accedere alla città, e in questi aspetti può ricordare le visioni di Orwell, Huxley e Zamjatin; il secondo è il romanzo d’anticipazione, in quanto la storia prende in considerazione alcune dinamiche già in atto nella nostra società e quindi quasi inevitabili nel loro sviluppo (inoltre non ci sono elementi fantascientifici: tutta la tecnologia utilizzata, per esempio per rimpiazzare gli idrocarburi, è a oggi già presente ne mondo); il terzo è la narrazione post-apocalittica, dal momento che il disastro climatico causa direttamente il drastico peggioramento nelle condizioni di chi cerca di sopravvivere fuori dalla città.
Il saggio di Marco Malvestio, Raccontare la fine del mondo, fornisce una buona bussola per inquadrare quest’opera, ma alla fine sta a ogni lettore valutare il grado di coerenza e realismo che troverà nel mondo immaginato da Turazzi, che potrebbe perfino voler rappresentare i prodromi di un’utopia, un’istantanea sul momento in cui le contraddizioni del capitalismo divengono inaccettabili per la maggior parte della popolazione che quindi si ribella.
Di certo, in un futuro che offre meno risorse rispetto a adesso, è logico pensare che gli ultimi non saranno i primi ma una moltitudine eterogenea accomunata dalla povertà, una polveriera pronta a esplodere. Gli inneschi, in Prima della rivolta, sono i personaggi, nodi strettissimi tra il microcosmo delle loro vite e il macrocosmo della Storia, ognuno di loro è infatti al vertice o rappresentante ideale della forza sociale di riferimento: il presidente della Solar Wave; il colonnello della Digos (riformata, più autonoma e con maggiori competenze e mezzi per tenere sotto controllo i movimenti antagonisti); Salim Barthez, guida della rivolta politica (idealista fin dai tempo del liceo); l’ambigua badessa a capo della Chiesa dell’Apocalisse; lo zelante capoturno che guida i drappelli di lavoratori pronti a lottare contro chiunque voglia rovesciare il sistema. Tra tutti si aggira De Santa, disilluso commissario richiamato in città appositamente per indagare sull’omicidio. Lo farà fino alla soluzione del caso, ma per definizione ciò che resta un’incognita è il futuro: potrebbe non cambiare niente, o forse andrà realizzandosi un sistema economico-politico più giusto, autenticamente progressista nel suo tentativo di far acquisire diritti prima di tutto a chi sta peggio secondo il modello etico teorizzato da John Rawls nel suo Una teoria della giustizia (sotto questo aspetto, sarebbe logico riconoscere i diritti universali a tutti gli esseri senzienti), o più probabilmente la guerra di classe continuerà, sordida e spietata come sa essere l’uomo.
Il voluminoso esordio di Turazzi è un giallo dallo stile molto descrittivo, capace di creare attese sull’identità dell’assassino per poi disattenderle, riuscendo a conservare il senso di sorpresa nello svelamento finale. L’opera ha anche il merito di far riflettere sulle possibilità di immaginare il futuro da parte della letteratura e sulla forza che potrebbe avere ipotizzando un’utopia, un’opera che prenda in considerazione gli aspetti della complessità contemporanea per farli evolvere in un orizzonte dettagliato cui poter ambire come viventi: un’aspirazione. “Politica” e “futuro” sono le parole chiave del romanzo ma, come affermato in più occasioni dai personaggi, è più semplice negare un sistema logicamente inaccettabile e moralmente ingiusto piuttosto che elaborare un’alternativa, come vorrebbe l’adagio thatcheriano There is no alternative. Prima della rivolta Salim Barthez afferma che “le aspirazioni della massa vincono sempre sulle prerogative di pochi”, definendo in sintesi una risposta possibile e storicamente legittima che prende il nome di socialismo.