Effetto Milone, note a margine

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di Anna Poma

L’arte di legare le persone, di Paolo Milone, edito a gennaio da Einaudi, è un libro che sta facendo molto parlare di sé. È un testo che ho deciso di tenere a distanza, per via di un titolo che trovo davvero sconcertante insieme a quello che lascia presagire, anche se ho continuato a domandarmi, dato il risalto ricevuto, cosa potessero mai apprezzarne i lettori, se il registro stilistico, il realismo del racconto, o una certa idea del lavoro in psichiatria.

Non ho potuto perciò potuto fare a meno di leggere i tanti che si sono impegnati a celebrarlo confermandomi quello che avevo immaginato, pur tirando un respiro di sollievo negli ultimi giorni quando finalmente qualcuno si è staccato dal coro degli ossequi. Mi associo ai dissociati, dunque, di cui condivido molto le ragioni, ma provo ad aggiungere qualcosa, proprio per via di quegli ossequi per me tanto insopportabili.

Non mi stupisce affatto la psichiatria che si fa letteratura per sostenere ancora impunemente discorsi e pratiche gravide di crimini di pace. Mi stupisce e mi sgomenta il plauso che suscita questo banale stratagemma, la seduzione che continua ad esercitare (appena imbellettata) la presa dell’uomo sull’uomo quando c’è di mezzo qualcuno segnato dal dolore mentale. Mi lascia incredula lo scivolamento che fa ritenere inesorabile l’invalidazione, il silenziamento, l’uscita dalla scena dei matti, inesorabile il loro risucchio nella verità di un discorso di tutt’altra provenienza. È ancora un mostro il “malato di mente”, un corpo indocile e cellule furiose, vita denudata, parole senza trama, gesti ubriachi da rimettere in sesto e da espropriare a ogni costo.; con tutto quello che occorre: fasce, buoni sentimenti, arte, artigianato, pillole o scariche elettriche.

Mi lasciano incredula l’attesa, la curiosità e la riconoscenza verso quel discorso roboante piazzatosi a forza nel cuore di un’assenza, di una violenta cancellazione in cui l’altro riaffiora solo come effetto delle parole che ne parlano. Non sembra esserci rammarico, nostalgia, risentimento per questa sparizione, non sembra inquietare né indurre ribellione il fatto che qualcuno si arroghi il diritto di definire, relegare, controllare, contenere, colonizzare la vita di qualcuno nel nome della scienza e della cura; non sembrano insospettire i gesti e le parole che, come imprecazioni, rimpiazzano la scena di tutto quel dolore.

Perché questo accade? Me lo chiedo ogni volta che qualcuno, interpellato sulle vecchie e nuove aberrazioni di psichiatrie e varie scienze della mente, si scansa dal prendere posizione, sottrae peso alla mortificazione dei diritti, alla profilatura di interi gruppi sociali e alla prefigurazione dei destini. È amaro constatare la scomparsa dei matti dal cerchio delle minoranze per e con cui battersi, è amaro che non accada più che la morte di qualcuno in un Servizio psichiatrico di Diagnosi e Cura desti scalpore, riempia le pagine dei giornali, faccia urlare di indignazione tutti coloro che credono nella democrazia, nell’uguaglianza dei diritti.

È ancora più amara la riserva che ritorna, e non solo perché tornano i manicomi, le contenzioni, gli oltraggi, gli abbandoni (che la pandemia ha reso ancora più drammatici), ma perché ha smesso di interrogare il discorso collettivo, lo sgretolamento di un diritto cruciale, quello di negoziare chi si è quando si diventa pazienti psichiatrici. Con buona pace di tutte le domande che gli anni Sessanta e Settanta, grazie al movimento antistituzionale basagliano, avevano invaso le strade e le piazze e messo a nudo le mistificazioni psichiatriche e le loro tragiche fortezze. Che cos’è la follia e cosa la normalità? Quali ne sono le matrici storico politiche? Che cosa resta della sofferenza e della soggettività in quel costrutto teorico che chiamiamo malattia mentale? Cosa rimane del potere delle persone e del loro sapere? Chiamiamo cura qualcosa che implica complicità per l’emancipazione delle persone o il loro sistematico assoggettamento? C’è violenza nelle pratiche psichiatriche solo quando sono in gioco le contenzioni chimiche e farmacologiche? Che ne è delle contraddizioni che continuano a premere sul discorso psichiatrico e sui suoi dispositivi, prima tra tutte quella tra la cura e la custodia?

Domande scomparse quasi ovunque, che fanno buon gioco a tutte le grandi e piccole imposture che il libro di Milone ha riportato sulla scena. Resta da chiedersi allora se non sia doveroso, come cittadini innanzitutto, tornare a farci quelle domande, smettendo di elemosinare dai tecnici le risposte che le seppelliscono.

 

Commenti
5 Commenti a “Effetto Milone, note a margine”
  1. Alessandro Mallardo ha detto:

    Gentile Anna Poma,

    ho letto con grande curiosità e interesse il suo articolo dedicato al libro scritto dallo psichiatra Paolo Milone. Un libro che mi ha sorpreso e che ho amato nel profondo, da assoluto profano dello specifico universo della psichiatria.
    Mi permetto di rilevare che lei fosse carica di pregiudizio verso questo libro. Lo ammette lei stessa, in fondo. Lo si evince benissimo dalle prime righe del suo articolo. Quel suo stare lontana, quasi infastidita, sospettosa, scettica e diffidente di fronte al titolo dell’opera scritta dallo psichiatra genovese. Mi lasci dire che invece nel mio caso è stato proprio il titolo a attrarmi verso la lettura del libro, sì, proprio quel “L’arte di legare le persone”. Un titolo che lei giudica solo ed esclusivamente dal punto di vista fisico, manuale, materialistico. Tralasciando così (e che peccato…) tutta la poesia e le immagini d’amore che quel titolo evoca. Badi bene, non sono un fautore del sadomaso o di chissà quale altra procedura attinente all’uso del corpo umano. Lo ribadisco con forza! L’ARTE DI LEGARE LE PERSONE è un titolo poetico e struggente. Ha a che fare con l’amore, sì, l’amore. Una persona si lega all’altra perché la desidera, perché non può fare a meno di lei. I legami non possono essere unicamente qui intesi come corde. Per fortuna, legare si porta dietro una miriade di immagini diverse, anche molto tenere.
    Io non appartengo a nessun coro, men che meno ad un coro di ossequi.
    Io rivendico con forza la potenza letteraria del libro di Milone. Rivendico con forza di aver percepito un amore viscerale e mai cessato da parte di Milone per ogni singolo paziente che ha incontrato lungo il suo percorso professionale. Ognuno di loro è presente nel suo cuore, intriso del suo vivere, fino al midollo. Tutto l’opposto di ciò che lei afferma quando dice che “è amaro constatare la scomparsa dei matti dal cerchio delle minoranze per e con cui battersi”. Quei matti sono così presenti, così vivi, così “lucidi” (molto più lucidi loro di tante persone “normali” là fuori). E lo sono grazie ad un libro che da’ loro voce, che ne racconta l’unicità come esseri carichi di vita. Un libro che è dedicato a loro, a cuore aperto, parola dopo parola. Sono esseri costantemente presenti, ora dopo ora, giorno dopo giorno. Leggere di loro, con tutta la forza creativa e rigenerante con cui si esprime Paolo Milone ha lasciato in me un’emozione a volte incontenibile. Questo ho letto e percepito con i miei occhi percorrendo le pagine che lui ha scritto, percorrendo quel labile e magico confine che separa il racconto dalla poesia.

    Con profondo rispetto, io credo che lei non abbia capito tutto ciò. O non lo abbia sentito, percepito. Ma questo è quello che la letteratura ha il diritto e la libertà (e forse anche il dovere) di essere. Se credeva di trovarsi di fronte ad un saggio ha commesso un grande errore. E aver letto la sua protesta, civile ma anche un poco scontata (me lo lasci dire), mi fa dedurre che questo lei pensava (sperava) di trovare: un saggio. E che scandalo! un saggio che per di più si permette di difendere le procedure di contenimento fisico!
    Ma non era e non è questo il contenuto dei versi scritti da Paolo Milone.
    Con una serie di legittime domande lei si attiene solo ed esclusivamente alla sfera della psichiatria intesa come ambito pubblico e politico, accusando il libro di cosa, in fondo? Di non rendere conto di queste domande? Di non essere l’ennesimo validissimo saggio sull’argomento? E questo la spinge addirittura ad accusare il libro di “impostura”… Credo che con grande ingenuità lei non si renda conto del fraintendimento gigantesco e amaro sul quale ha basato la sua lettura e la conseguente stesura del suo articolo.
    Mi permetta l’estrema franchezza e sincerità. Non me ne voglia. Le dirò di più: è proprio grazie al libro di Paolo Milone che come cittadino comune io sono tornato a farmi quelle domande! A ragionare su di loro, sui matti. Se c’è bisogno di seppellire qualcosa, credo sia da seppellire la lettura delle cose fatta con i paraocchi (elementi che indirizzano la vista e la comprensione delle cose in un modo solo, dritti davanti a sé, guai a uscire dai percorsi stabiliti). Bisogna seppellire la ristrettezza dei percorsi che ci fornisce la nostra mente assuefatta e limitata dal nostro ego “bollito”.
    Seppellire tutto ciò e lasciarci trasportare un pizzico oltre, verso la magia, incontro ad una forma mentis nuova o rinnovata. Le parole scelte e messe insieme da Milone ci riescono molto bene. Forse è così che torneremo a sentire con vera empatia il dolore degli altri. In difesa di ogni singolo uomo e di ogni singola donna che lui ha descritto e disegnato come se fossero gli indimenticabili personaggi di un romanzo. Quei matti da legare che mi porterò per sempre nel cuore.

    Con affetto,
    Alessandro Mallardo.

  2. Filippo Revrenna ha detto:

    Il commento di Alessandro Mallardo è perfetto. Ho letto l’articolo di Anna Poma con stupore e imbarazzo. Il libro di Paolo Milone è straordinario: splendido e doloroso al contempo.

  3. Matteo ha detto:

    Pubblicare un articolo su un libro senza però averlo letto. Ok.

  4. Gaetano ha detto:

    Ho svolto il mio tirocinio abilitante in un SPDC. Ho letto il libro. Mi è piaciuto. Detto questo dopo anni di professione psicologica non so cosa sia necessario e cosa no.

  5. Ilaria ha detto:

    Assolutamente d’accordo con l’autrice dell’articolo. Al di la’ del valore letterario del libro in questione, discutibile, quello che l’autore psichiatra dice apre una faglia che porta indietro. La societa’ ha invece bisogno di progresso in tutte le sue parti. E per il progresso ci vuole coraggio e coerenza, qualita’ di cui Basaglia ha dato gran prova.

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