“Il primo desiderio”, il mondo nuovo di Rossella Milone

Tra i precetti di Vladimir Nabokov scritti nel 1940 e confluiti nelle Lezioni di letteratura risuona l’ammonimento a non dimenticare che l’opera d’arte è sempre la creazione di un mondo nuovo, e che la prima cosa da fare sarebbe studiarlo nel modo più circostanziato possibile, accostandosi a qualcosa di diverso, che non ha alcun rapporto scontato con il noto. Sostiene che per appurare il valore di un’opera letteraria sia necessario riconoscere la fusione tra la precisione della poesia e l’intuizione della scienza. La sua “indagine poliziesca sul mistero delle strutture letterarie” invita a non soffermarsi solo sulle storie ma sul modo in cui sono raccontate, a dare rilievo all’architettura del suo testo e al genio di chi scrive, definito anzitutto nella dose di malia, affabulazione, lezione, fuse in un’unica, fulgida, visione, “perché la magia dell’arte può risiedere nell’ossatura stessa della storia, nel midollo stesso del pensiero”.

È anzitutto la forma a definire la natura de Il primo desiderio, di Rossella Milone (Neri Pozza): racconti interconnessi fondati su ingrandimenti su storie che si sfiorano a vicenda per mostrare da angolazioni diverse aspetti ignoti dei suoi protagonisti. Quell’ossatura di cui parlava Nabokov è l’aspetto centrale nella costruzione delle storie di Milone che pur muovendosi abilmente tra romanzi e racconti ha definito nel tempo la sua natura nella forma breve, rivelando affinità che hanno nutrito una voce letteraria inconfondibile, in particolare con Clarice Lispector nei motivi espressivi, con Flannery O’Connor nella profonda coerenza formale e stilistica, con Roberto Bolaño nella presa sul reale capace di lambire il sogno, con Fabrizia Ramondino nella vivacità di una prosa innestata nel racconto del degrado, con Giorgio Manganelli nell’attitudine al rovesciamento di senso, con Patrizia Cavalli nell’indagine linguistica del desiderio e della solitudine, con Anna Banti nella libertà creativa dello studio del femminile.

Definito un romanzo di racconti, Il primo desiderio rivela una traccia condivisa nello sviluppo di vicende legate a una giovane donna seguita dall’adolescenza all’età adulta anche attraverso la sua rete di relazioni, taglio che permette all’autrice di rinnovare questioni esplorate sin dagli esordi nelle sue opere: le incognite della genitorialità; l’inganno insito nell’idea di coppia; la vita parallela tracciata nel desiderio; il corpo come mappa di brame, come prigione, come sonda di necessità fisiche e inquietudini; la matrice crudele dell’individuo; lo spazio domestico come terreno di esasperazione di ideali vuoti, apparenze da preservare e maschere perpetue; l’abbandono come una voragine, “un buco profondo pieno di spazzatura”; il significato dell’odio; il ruolo della violenza; l’isolamento in relazione a compensazioni vane e a un inappagamento esistenziale; le possibilità insite in ogni fine; l’abbaglio della salvezza nel difendersi da nuovo dolore.

Gli scorci vividi e intensi palesano lo smarrimento di una comunità tesa tra pulsioni all’apparenza inconciliabili. Determinante il ruolo riconosciuto nei luoghi nell’attestare l’imminenza della catastrofe – dal Kenya a Napoli al Bronx – e nel collocarsi in relazione alla nuova definizione delle logiche del tempo, tra dilatazioni, flashback, deformazioni del ricordo, allucinazioni, sospensioni necessarie ad annullare ogni riferimento certo e abitare i miraggi.

Lungi dall’essere uno spazio confortante, la dimensione domestica nell’intera produzione di Milone è spazio di conflitto e confronto, di mancata autodeterminazione, luogo di segreti, tradimenti: riflette il cambiamento in rapporto agli spazi, portando alla consapevolezza emblematica che quel che si lascia decade lontano dagli sguardi. La parvenza rasserenante di una casa evidenzia il peso della convivenza con l’altro, la sensazione di essere incastrati in un avvenire programmato nei minimi dettagli. L’atmosfera asfittica vissuta nella casa descritta in Animaletti assume toni grotteschi nella sensazione di immobilità sperimentata dalla protagonista nel ritrovare quella dimora identica nonostante il passare degli anni, con lo stesso odore di detersivo, le uova nella gallina di rame, il tavolo con l’incerata, i centrini, la cucina “fagocitante”, il corridoio vanigliato per la torta allo yogurt in cottura, la camera da letto monumentale e silenziosa con lenzuola di merletto e fotografie sui comodini. Quella sensazione di immutabilità si rivela un presagio infausto al pensiero che accoglierà una nuova coppia e definirà gli stessi meccanismi tossici del passato.

Già nei racconti racchiusi ne Il silenzio del lottatore (minimum fax, 2015), Milone esplorava il desiderio vissuto nell’affacciarsi dell’adolescenza, in contrasto con rituali maturi e esempi forniti da coppie disfunzionali, con un continuo rimando alla claustrofobica dimensione domestica che condiziona tenui spazi di libertà ghermiti a fatica nell’umido di ambienti noti e estranei al contempo, nel generale senso di sopraffazione e violazione vissuto “da troppa vita” che travolge, trasfigura e allontana da quel che convenzionalmente è ritenuto familiare.

Affinità riconoscibili anche in Poche parole, moltissime cose (Einaudi, 2013), dove il focolare rivela equivoci e incognite, sotterfugi e tentativi vani di distorcere la verità fino a un inatteso epilogo. La casa nelle opere di Milone è anche il terreno di confronto in relazione alle biforcazioni professionali, tra chi sceglie di andarsene e chi resta, e chi deve fare i conti con la manutenzione della propria assenza. Rimanda al conflitto perpetuo con il vuoto, esplorato in particolare da Marino Magliani nell’Esilio dei moscerini danzanti giapponesi, Exorma, attraverso la memorabile descrizione di una casa disabitata invasa dall’erba alta.

Tra chiarori feroci e ambiguità fosche, Il primo desiderio si regge sull’equilibrio sottile generato dalla tensione tra la necessità vitale di garantirsi piacere e il conflitto prodotto da una rabbia repressa o da un odio sotterraneo. Aspetti resi anche in altre opere nel definire l’indole mostruosa celata in un rapporto totalizzante, come in Cattiva (Einaudi, 2018), dedicato alla trasformazione di sé in relazione a un figlio. La scrittura terrosa, sensuale, si insinua nelle pieghe di contraddizioni che definiscono la vana ricerca di salvezza di fronte alla percezione della finitezza delle cose del mondo e della possibilità di fermare l’ignoto.

Queste insistenze tematiche sollevano l’urgenza di un cambio di narrazione sulla maternità a partire da una presa di coscienza collettiva. Le incognite sulla genitorialità sono al centro anche del volume Prendetevi cura delle bambine (Avagliano, 2007), con racconti che studiano l’idea di cura, i ruoli di potere, l’equilibrio sottile generato dalla dipendenza emotiva, nel continuo confronto tra visioni diverse del mondo.

Ne Il primo desiderio ogni figura è costretta a maneggiare un segreto, una colpa, una vergogna: pesi che inibiscono azioni e intenti, e confondono i reali aneliti, sublimati da un assoggettamento prodotto da ingerenze famigliari o sociali, da ruoli predefiniti, da aspettative altrui, da dipendenze affettive.

Il contrappunto animale illumina il dramma, apre prospettive nuove su risvolti che non si riducono alla mera rappresentazione. Emblematico in tal senso il ricorso ai cani in Il custode dei randagi e in particolare nel capitolo Lilly, che definisce lo scarto tra rifiuto convenzionale e abbandono nella trasgressione dietro la convinzione di uno scambio proficuo tra corpi. Le figure animali sono centrali nell’opera, lambiscono l’irrealtà, misurano attraverso oggetti simbolici il peso di vincoli ineludibili, lo strazio di una violenza, come le bomboniere distrutte idealmente un pezzo alla volta da una donna disperata in Sabotaggi; arrivano a tracciare una sfrontata esigenza di libertà contro ogni condizionamento, come ne La donna civetta, per interrogarsi sulla paura del femminile, resa con la citazione a Lilith e ad altre figure leggendarie ricorrenti incarnate da spiriti, animali, mostri dalle sembianze di donne.

Il primo desiderio indaga le incognite del vivere, il bilico tra desideri e aspettative, il significato della mancata condivisione delle scelte, la nostalgia, le paure oscure, la gelosia, l’invidia: solleva una riflessione sul tempo in rapporto a una deformazione continua dello sguardo che rende incerto il radicamento spaziale e temporale. Che si tratti dell’attenzione rivolta a legami di sangue o rapporti elettivi, l’opera si interroga sul significato dell’alterità in base a una presunta norma, nella possibilità di rivendicare un non allineamento rispetto ai dettami sociali e un’emancipazione da insostenibili retaggi culturali.

Ogni soggetto entra in conflitto con il tempo e lo spazio che vive, con aspetti legati alla caducità dell’esistenza, allo scarto tra modelli impartiti e rivoluzioni personali. In Sabotaggi prende forma dalla storia di una simbiosi vissuta da due gemelle che a partire dalla condivisione degli spazi vitali e del respiro hanno sviluppato una forma primordiale di cattiveria in relazione alla solitaria sopravvivenza.

Il conflitto spaziale e temporale nell’opera è esasperato nell’esplorazione del territorio sessuale, con vicende diverse che indagano la percezione di una “nudità sanguinaria di fronte agli occhi di chi si ama”. Il desiderio è inteso come spartiacque tra un’idea di espiazione personale rispetto a un presunto peccato e il suo superamento nella rivendicazione della propria centralità. Milone attribuisce un’estrema attenzione ad eventi all’apparenza minimi che scompaginano la privata narrazione del mondo e riescono a integrare l’incognito sulla base del ruolo del desiderio nel favorire il cambiamento o comunque identificare la natura dello stare al mondo dei soggetti narrati.

In tale ridefinizione assume un ruolo centrale lo spazio onirico inteso come dimensione che porta a dubitare del vero e favorisce fantasticherie su altre vite possibili, sul superamento dei limiti del corpo, sul trapasso immaginario, in comune con molte delle storie narrate in altri libri dell’autrice. Già in Cattiva era emersa una precisa valenza attribuita all’immaginazione, ritenuta peggiore dei sogni e della realtà perché nella realtà “quello che decidi si compie, nell’immaginazione sale a galla la persona che potresti essere e quel che sei stata, non ancora compiuto”.

Accanto a scorci vividi descrittivi, l’autrice esplora gli angoli bui di un luogo e di un soggetto, riconoscendo nella relazione con l’altro una condizione assimilabile all’idea di attraversare il buio e misurare lo smarrimento nell’abisso privo di spazio e di tempo. Tale sospensione, che caratterizza l’intera produzione, è usata anche per interrogarsi sul peso del passato nel presente nel condizionare le scelte, i disegni oscuri, l’esigenza di libertà spesso incarnata da figure simboliche e da protagoniste logorate dal dubbio, come nelle vicende narrate ne La memoria dei vivi (Einaudi, 2010) per dare forma a “una solitudine dilagante che pian piano prende spazio nella carne, fino a diventare tessuto essa stessa”.

Tutto passa attraverso lo scandaglio fisico. Il corpo, inteso come l’unico “vincolo attendibile con la realtà” (per mutuare le parole di Guadalupe Nettel) si fa portatore e rivelatore del cambiamento: già nel saggio narrativo Nella pancia, sulla schiena, tra le mani, (Laterza, 2010) era definito come “una stanza comodissima” e al contempo una trappola, per le possibilità di abitare i luoghi invisibili delle relazioni. Pagine di rara intensità definiscono il tentativo di una donna immobilizzata nel corpo di evadere idealmente e di godere di un piacere intenso nel riscoprire la propria esistenza proprio a partire da un corpo “difettoso” che si rifiuta di abbandonare la sua storia, ancor prima che la sua vita (Istruzioni per te). Slanci lirici nel definire il degrado prendono forma nelle pagine dedicate allo stupro subito da una giovane donna che perde ogni contatto con la propria individualità a partire da quel trauma, nella certezza di non avere più argini, “di non avere più il corpo per contenere nulla” (Sabotaggi).

Interrogarsi sul significato della libertà del desiderio a partire dal corpo favorisce riflessioni sull’opportunità di definire un lessico nuovo in relazione alla propria sessualità, intravisto ne Il primo desiderio nelle possibilità di riconoscere dinamiche deleterie legate a un’idea di abbandono, di perdita, di possesso, di assoggettamento a ruoli predefiniti dominante/dominato che impregnano storicamente la concezione etero-patriarcale delle relazioni affettive. L’opera cela un invito a riappropriarsi di una visione personale affrancata dallo sguardo altrui, a celebrare il culto dell’individuo libero (per riprendere le istanze sollevate da Simone de Beauvoir) e porre al centro un soggetto capace di conquistare se stesso e il mondo all’interno della propria libertà.

 

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