“Improvvisazioni funk”: un “dialogo contemplativo” tra bell hooks e Stuart Hall
Pubblichiamo, ringraziando l’editore Tamu, un estratto da Improvvisazioni funk (traduzione di Emanuele Giammarco), il “dialogo contemplativo” tra bell hooks e Stuart Hall, due delle più importanti voci della cultura radicale nera, che conversano faccia a faccia, nella stessa stanza, sui temi della maschilità, dei rapporti di genere nei movimenti politici, della psicanalisi, del desiderio, della malattia e della morte.
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bell hooks: Ora passerei a qualcosa di diverso, a un’altra conversazione. In passato ho espresso una certa affinità con Foucault, quando sostiene di avere difficoltà a fare esperienza del piacere. Mi piacerebbe collegare questo aspetto alla nostra discussione sull’intellettualità nera, mettendo subito in chiaro come uno degli spazi di profondo sospetto che molte persone nere hanno sempre provato nei confronti degli intellettuali, e di tante persone in generale, ha a che fare con quest’idea secondo cui non siano in grado di provare piacere, che le intellettuali e gli intellettuali siano impantanati in questa specie di austera ritenzione anale impermeabile al gioco.
Stuart Hall: Se l’immagine dei neri intellettuali è questa, allora hanno ragione a sospettare.
bell hooks: Poi mi vengono in mente W.E.B. Du Bois e C.L.R. James…
Stuart Hall: C.L.R. James era uno che amava molto il gioco.
bell hooks: E questo è esattamente il motivo per cui quando ripenso all’idea di poter parlare con te, alla spinta che sentivo, ho come l’impressione che ciò che ci tiene in trappola è soprattutto il fatto che l’accademia ci somministra un determinato tipo di discorso, valorizzandolo e rendendolo prioritario, che a sua volta finisce immancabilmente per esprimere anche un certo aspetto di quello che siamo. Una delle ragioni per cui mi sono impegnata tanto a scrivere sia all’interno che all’esterno dell’ambito accademico è che non volevo precludermi la possibilità di raggiungere diverse dimensioni del nostro essere. Un aspetto però che non emerge dagli scritti di gente come C.L.R. James.
Stuart Hall: No, e nemmeno da alcuni dei miei, anche se oggi emerge più di quanto non avvenisse prima. Ciò non significa che sia cambiato io, ma che è stato il mio rapporto con la scrittura a cambiare. Una prima fase della mia scrittura, in questo senso, quella rigorosa e intellettuale, esigeva che venissero escluse ed espunte dalla prosa cose che mi appartengono tantissimo, ovvero trarre piacere dal pensare e dal parlare. Molti mi dicono che è più facile capirmi quando parlo, piuttosto che quando scrivo. Il mio rapporto con la lingua parlata, le lezioni e così via, è più agevole. Questo perché nel discorrere posso godere del mio lato più giocoso. Non in modo consapevole, voglio dire, ma col senno di poi, quando mi riascolto registrato. C’è proprio qualcosa di diverso nella struttura della frase. È come se la iniziassi e letteralmente evitassi di completarla a livello grammaticale. Percepisci una sorta di interruzione, prima di ritrovare il filo più vernacolare, giocoso, ironico, esagerato, esuberante con cui avevo cominciato. Ho come l’impressione però che si tratti proprio della parte destinata a essere espunta nelle revisioni. Del resto, quando scrivo, e scrivo molto veloce, l’unico modo in cui riesco a farlo è recitando le parole a me stesso come se stessi facendo lezione. Mi faccio lezione da solo, come se stessi parlando a un pubblico e scrivessi tutto sul momento, quindi anche se ci sarà del lavoro da fare rimane comunque una certa spontaneità. Non mi riferisco al mio rapporto con la scrittura, adesso, ma all’elemento giocoso, perché, mi duole ammetterlo, trovo che le persone prive di senso dell’umorismo, senza una prospettiva ironica, siano terribilmente noiose. Proprio non sopporto la loro compagnia.
bell hooks: È uno degli aspetti istituzionali dell’accademia che ho patito maggiormente, l’assenza di uno spazio dedicato all’umorismo e al gioco. Ripensavo a quanto detto sulla maschilità nera, a quanto in ogni progetto critico e di intervento sull’idea di autorità patriarcale mi sembri essenziale dare valore al gioco.
Stuart Hall: Il punto è esattamente questo: la mancanza di una qualche visione ironica di sé. È così che si conserva la politica patriarcale.