La realtà per Walter Siti

di Federico Di Gregorio

Nell’ultimo libro di Walter Siti I figli sono finiti si rivelano due storie speculari: la prima ha come protagonista Augusto, professore di francese alle soglie della pensione, che si trova a fronteggiare una pandemia con gli annessi di un mondo didattico sfigurato nella sua quotidianità, e la perdita del compagno Vincenzo, uomo più giovane che muore in circostanze fortuite durante un viaggio di piacere della coppia; l’altra storia ha come protagonista Astore, adolescente che affronta la maggiore età dopo il lutto più prossimo, ancestrale – la madre –, mentre è immedesimato in un mondo astratto che lo ricambia – la rete, il gioco; sistema che la pandemia soggioga fino a farlo diventare realtà sconnessa; così Astore lo rifiuta ed è speculare a un uomo anziano, e appena si blocca rivela sé stesso nella sua inesistenza.

Come spesso accade nella produzione letteraria di Siti, l’amore gira attorno al desiderio e il desiderio gira nei pressi dell’eros. Augusto congela il suo pensiero, il lavoro, la salute, ma non il desiderio, il quale rimane concreto, verace. Astore decide che il sesso non perdona e se lo incontra è un prolungamento del lutto, dei porno disseminati dalla madre nei device personali, e che lui, come in uno scherzo fantasmico di Edipo, andava a cercare con successo e dedizione per il disordine. Piero, il padre di Astore, si ritrova a essere un vedovo di mezza età, un personaggio in evoluzione nella letteratura postmoderna di Siti, bello e ricco, uscito in maniera tragica da un matrimonio sconveniente dentro i binari dell’adulterio. I protagonisti del romanzo I figli sono finiti – che dà l’idea di essere un iper-romanzo quando si passa da una storia all’altra per poi riunirsi nel condominio di Milano in zona Moscova – sono figure borghesi e fragili che non si pongono il problema del futuro, non raccontano bugie a sé stesse, sono ancorate al passato e al presente. La nonna di Astore Ersilia descrive un ruolo generazionale, dei genitori eterni, figli di un tempo responsabile e fruttuoso; Piero invece somiglia ai millennial, anche se per età è al limite, come incompiuto guarda al lavoro con insoddisfazione, e alla famiglia nella strenue speranza che le cose vadano bene – «andrà tutto bene» –, e si risolvano con l’indipendenza di Astore – relegato in una stanza al contrario dove tutti vivono come lui –, si risolvano con il ritorno alla normalità, evento che Lars von Trier in Melancholia aveva risparmiato alla protagonista, facendo schiantare la Terra contro un altro pianeta e così trasformando il personaggio da debole a coraggioso. Astore no, con la pandemia perde una sua nicchia vitale; non si ritrova più forte degli altri, ma viene fuori dal proprio software umano incastrato nella omeostasi da hikikomori, uno smarrimento per il presente: la realtà che entra nel web, prima alleati e dopo la paura che sia contro di te.

Augusto incontra un escort, Astore rifiuta il sesso. Entrambi cercano di stare incupiti dentro la propria narrazione – che per due personaggi di fantasia è un’operazione semplice –, e riescono a fare del desiderio l’unico modo di sopravvivere a sé stessi: Augusto nel suo modo compassato di fottere il desiderio – lasciando che esso invada la propria vita palpabile: gli odori, i sapori, i genitali –, e Astore chiudendo la porta al sentimento veritiero, alla vita comune – Astore costruisce un racconto del suo modo di essere, immagina di avere un cervello ibrido tra macchina e uomo, non sente pulsioni se non la compassione per il vecchio vicino, una compassione ricambiata e più forte dell’intolleranza. Il ragazzo è un libro di fantascienza, mentre Augusto è un romanzo biografico; si sfidano nella capacità di pensare, di inventare una storia senza mentire a sé ma al prossimo. Il romanzo si rompe quando Astore scopre la parola «cuckold», ed è proprio Augusto a fargliela capire, mentre il professore si infila in una relazione a pagamento con un giovane, Titan, più interessato a fare soldi che a tenergli compagnia. Augusto si vanta con gli amici, tra cui Astore; Bruno la prende al solito, ma Astore invece vede la sua vita stravolta: ha una reminiscenza e capisce che la sua formazione da eremita è stata solo menzogna, che gli altri non hanno mai forzato scomode verità però lui ha capito male: la madre non porta colpe, colpe non dissolte nemmeno dalla morte, perché era il padre a volere i suoi tradimenti, un gioco dell’amore consumato e troppo rituale: cuckold, cornuto. «Possibile che una parola mal interpretata possa portare tanta devastazione?» Il percorso ha una trama parallela, quella del mondo che fuori continua a esistere, quindi delle bombe su Kiev, dell’invasione russa, della frivolezza di una Milano compulsiva nella sua accezione commerciale. Piero si rifà una vita completa, e Astore crede di essere un’altra persona, che il romanzo fantascientifico nella sua mente fosse un trabocchetto per gli altri: si era sempre raccontato la verità, solo che la verità era falsa.

Walter Siti ha aperto la sua carriera letteraria di scrittore «tardivo» con Scuola di nudo, romanzo in cui un professore universitario di mezza età ritrova sé stesso nella rottura degli schemi, nell’elaborazione di una personale teoria estetica intorno al corpo maschile, rappresentata da culturisti e forme esagerate, mitologiche; ha scritto Troppi paradisi, recentemente definito come il miglior romanzo del ventennio dal 2000 in avanti; ha incanalato tante forme di umanità in un puzzle, il finanziere, l’assassino, il prete. Nel romanzo I figli sono finiti è visibile una profonda ricerca intorno all’età debole, che si connette con il presente attraverso la ricerca linguistica di un adolescente, il più possibile vicino a un uomo nella terza età e i suoi valori immagazzinati nel tempo, pensieri come fossero bottiglie messe a maturare per goderne nel dolore di una perdita inaspettata. Siti crea un gioco di specchi, in cui forse si riconosce come giovane e come anziano, nello stesso modello, sempre contemporaneo: è il medesimo uomo, innaffiato da epoche opposte nella formazione, esperienze diverse ma non così lontane da sentirsi aliene. Scorre veloce la strada verso casa, che dal punto di vista dell’anziano professore è il ricordo, mentre nel caso del giovane hikikomori debilitato è la perdita di entusiasmo, di impulsività.

Un filo determinate del libro sono i corpi, un argomento – anche questo – di grande attualità letteraria. Augusto vive il dato del corpo lontano dal desiderio – un organismo debole e con il cuore altrui –, «io credo che delle proprie perversioni si debba essere all’altezza, forse è questo che le rimprovera suo figlio» dice a Piero quando lui gli si presenta a casa per parlargli di Astore; ma allo stesso tempo Augusto esiste in un corpo pieno di «devastazioni senili», tante come sono i crolli della propria anima di vedovo, «un ruolo che non gli si addice». Franco, il titano, è la sua scappatoia verso la morte, lo slancio naturale che il suo amico ed ex amante Bruno bolla più volte come inopportuno e illusivo; Augusto, tuttavia, tira dritto e consapevole verso un’inattesa e residuale «felicità». Astore vive il proprio corpo come estraneo, lo aliena in ogni modo: strutturando il sesso in maniera virtuale, affidandosi a bizzarre teorie di ibridazione neurale con le macchine, evitando scientificamente anche gli abbracci, tanto che lo stesso Augusto si accorge di una nemmeno troppo latente «paura» del corpo da parte del ragazzo e lo specifica a Piero. Astore comunica la sua idea in maniera chiara, senza voler offendere nessuno: «l’interazione con l’ambiente m’ha fregato», «sono contro lo sciovinismo della carne», «la rete neurale che ho impiantata nella calotta cranica mi trasmette le vibrazioni che voglio». La parabola dei corpi richiama quello che è stato il grande ispiratore di Siti, Pier Paolo Pasolini. Pasolini sublima il corpo in tutte le invenzioni artistiche, come se la carne umana fosse lo strumento della società oltreché della mente; si possono citare opere meno famose come Orgia, Porcile, Calderón; declinazioni dell’inevitabile distruzione del Sé, quindi della polis. Siti è più placido e attento a non trasformare l’opera in un’esibizione estremista di desideri, rimane sulla realtà per spiegarla con dovere di cronaca, avendo cura di una raffinata ricerca, il microfono che registra i propri personaggi prima di farli interagire. L’unico uomo davvero nudo è Piero, il padre di Astore, che nel corso della storia sembra cambiare fino alle peggiori conseguenze del proprio egoismo, che però non accadranno mai: non a caso, l’ultima focalizzazione è su di lui, «la libertà non esiste se non consideriamo gli altri come esseri liberi», come ognuno dei principali personaggi dell’opera, di cui Piero è l’usciere, l’uomo di mezzo, l’antieroe, la sintesi.

Nel panorama letterario italiano, il romanzo I figli sono finiti è una boccata di ossigeno. Non è l’opera più affascinante di Walter Siti, ma ci fa ritrovare elementi di qualità letteraria smarriti, una prosa perduta nel tempo a favore del marketing spiccio, del narcisismo da influencer con la lingua rapida. Ci sono due squadre ben distinguibili, nella letteratura: la qualità letteraria, che lotta, e il marketing di vario genere, dai mastri del follower ai gusti da spiaggia, alle grandi call in classifica. Siti ci ricorda che un romanzo può essere di qualità e leggibile, di analisi e ironico, laico cioè utile; palesando che esposti nelle librerie troviamo poche opere e nascoste tra i cavalli di sfondamento placido della distruzione del ruolo dell’intellettuale, ormai normalizzato all’irrilevanza.

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