La rivoluzione necessaria per salvare il Gigante Cieco
di Marco Carratta
Nel libro La scopa di Don Abbondio, scritto da Luciano Canfora nel 2018, la rivoluzione è definita “un fenomeno ciclico di rottura che torna a riproporsi nella storia in forme diverse ma che segue sempre lo stesso inevitabile schema finendo per snaturarsi quando, conquistato il potere, viene schiacciata dalle torsioni nazionali e dal peso della Storia inerenti a ciascun Paese”. La posta in gioco, secondo Canfora, è da sempre la stessa: la spinta verso l’uguaglianza. “Nonostante la durezza delle rivoluzioni, però, l’inuguaglianza risorge e di nuovo provoca repulsa. E quando finalmente diviene chiaro quanto ci si è allontanati dalle premesse e dalle promesse della rivoluzione precedente, ecco che sono “mature le condizioni perché si realizzi una nuova scossa.”
Dei risultati mai raggiunti dalle rivoluzioni e della necessità di una nuova scossa tratta Carlo Cassola nei due saggi pubblicati tra il 1975 e il 1976 e riproposti oggi da minimum fax con il titolo Il gigante cieco. In un passaggio significativo che fotografa perfettamente quella che è la tesi dell’autore, si legge: “La rivoluzione è il tentativo più spinto di forzare i tempi dell’evoluzione, il suo compito è cancellare le differenze sociali o storiche: cioè i privilegi accumulati nelle mani di pochi per effetto di un’evoluzione manipolata dai pochi a proprio esclusivo vantaggio.”
Cassola, come scrive Fabio Stassi nella prefazione La coerenza di una conchiglia, “appartiene ad un’epoca in cui la letteratura e il romanzo producevano ancora delle feroci polemiche e sembravano avere un peso nella formazione collettiva di una società”. A dimostrazione di ciò basti rileggere gli articoli, le interviste e le partecipazioni televisive che hanno accompagnato la pubblicazione dei saggi Il gigante cieco e Il vecchio e il nuovo. Saggio sulla rivoluzione.
All’epoca Cassola era uno degli scrittori più letti, un narratore premiato dal numero di copie vendute e dall’attenzione della critica. Insieme ai premi e ai successi aveva attirato anche molte critiche; accusato per anni di fare una letteratura disimpegnata, già nel 1953 aveva ricevuto la scomunica di Palmiro Togliatti: sulla rivista Rinascita il segretario del Pci sosteneva che quella del romanzo Fausto e Anna fosse una versione diffamatoria della Resistenza. A questa era seguita anche quella, forse ancora più clamorosa, raccolta nei 180 endecasillabi pronunciati da Pier Paolo Pasolini durante la serata di presentazione dei candidati al Premio Strega del 1960. Tre anni dopo, Edoardo Sanguineti lo definì con lo slogan Liala 63 (accomunandolo a Giorgio Bassani) in quanto “simbolo di una letteratura da combattere”. Eppure alla sua arte c’è chi ha riconosciuto tracce sotterranee di una costante e profonda sensibilità alla realtà politica e sociale contemporanea (ne è un esempio il libro inchiesta I minatori della maremma realizzato con Luciano Bianciardi nel 1956, ripubblicato anche questo da minimum fax nel 2019). Ed è per questo che nel 1975 Cassola, così timido e schivo, inizia a rivestire il ruolo di conferenziere itinerante e di propagandista attivo e polemicamente feroce; lo fa per difendere le ragioni e le tesi di un’idea, quella del disarmo degli stati sovrani, diventata ai suoi occhi l’unica via per garantire il futuro all’umanità, vista come un gigante cieco che cammina verso l’abisso.
Cassola, in un’intervista rilasciata a Franco Zangrilli, racconta con queste parole la sua conversione ad una letteratura dichiaratamente impegnata, o meglio ad una cultura responsabile, come l’autore preferisce definirla:
Io ho deciso di dedicarmi alla politica, quando ho capito che il mondo così com’è strutturato, va verso la distruzione, la quale renderebbe vano anche la mia attività di scrittore, perché tutti avremo una seconda morte. Attorno al 1975 io mi resi conto che la casa stava andando a fuoco e quindi decisi di darmi da fare politicamente, per salvarla […] perché quando la casa brucia non si può pensare che a spegnere l’incendio.
Cassola, ne il Gigante buono, dimostra di aver capito in anticipo che il 6 agosto del 1945 iniziava una fase epocale in cui l’umanità avrebbe vissuto il momento più tragico della sua storia: quello che poteva vederla sparire.
Il sonno della ragione partorisce i mostri, fu detto già in epoca romantica. Noi di mostri abbiamo una conoscenza molto più approfondita di quei nostri antenati. Fascismo, nazismo, stalinismo, la seconda guerra mondiale, i campi di sterminio, per fortuna sono alle nostre spalle; il nazionalismo e il militarismo purtroppo no, così che abbiamo davanti una prospettiva anche più terrificante di quelle passate: una terza guerra mondiale o una catastrofe ecologica che distrugga la vita del pianeta.
La spiegazione di questa difficile situazione risiede nel fatto che a guidare l’umanità non è stata l’intelligenza, ma il potere; e che la storia ha seguito un diagramma iniquo in cui l’intelligenza ha creato la civiltà ma è stato il potere distinto dall’intelligenza a guidare gli uomini. È questo il filo rosso che Cassola segue nel suo discorso sull’evoluzione dell’uomo proposto nella prima parte del saggio. Un discorso che parte dalla preistoria per arrivare alla contemporaneità e che non appare come un trattato storico-politico bensì come una storia scritta in modo semplice e appassionato. Essa “può suscitare obiezioni”, l’importante è essere d’accordo con la conclusione: “il divario tra intelligenza e potere è sempre stato un male per l’umanità. Anche quando era minimo. Oggi è smisurato: a un’intelligenza sviluppatissima si contrappone un potere sottosviluppato. Ed è questo potere sottosviluppato a decidere come vanno usati i prodotti della sviluppatissima intelligenza. In queste condizioni la fine del mondo è sicura.”
A tal proposito l’argomentazione usata da Cassola è semplice quanto innegabile: dopo le due esplosioni atomiche di Hiroshima e Nagasaki gli statisti internazionali hanno continuato a produrre armamenti atomici ingigantendo la minaccia di annientamento dell’umanità invece di lavorare alla costruzione di un ordine mondiale che “metta per sempre l’umanità al riparo dalla catastrofe della guerra e le permetta di evitare le catastrofi ecologiche”. È quest’ultimo il “pensiero grande” che deve guidare un potere intelligente, un pensiero che gli intellettuali falsamente impegnati non hanno proposto con la forza necessaria, e che politici stupidi hanno lasciato inascoltato, dimostrando di preferire “la fine del mondo al nascere di un mondo che faccia a meno di loro”.
Ponendo l’attenzione su divisioni che hanno senso solo una volta risolto il problema massimo, evitare la distruzione dell’umanità, si sono comportati alla stregua dei bizantini che, mentre assistevano alla conquista turca di Costantinopoli, discutevano del sesso degli angeli, con la differenza sostanziale che la caduta della capitale bizantina per mano ottomana “fu una catastrofe da nulla rispetto alla catastrofe che sta davanti a noi”.
Solo un potere intelligente guidato da un pensiero che “non corra dietro il piccolo ma vada dietro al grande” può salvarci da una fine certa. “Un pensiero che si cimenti con la strategia. Un pensiero rivoluzionario”. In epoca moderna solo con le spinte rivoluzionarie l’intelligenza ha conquistato il potere, ma tale conquista è durata troppo poco tempo: è successo in Russia tra il 1917 e il 1922, era già successo in Francia tra il 1789 e il 1794. In entrambi i casi la rivoluzione fu “l’atto chirurgico che permise la venuta al mondo di una nuova società” ma che non impedì che l’antico regime tornasse prepotentemente, talvolta con l’aiuto degli stessi rivoluzionari. Nella quarta di copertina di questa edizione l’editore ha deciso di riportare una frase di Giame Pintor che Cassola cita:
Un popolo portato alla rovina da una finta rivoluzione può essere salvato e riscattato soltanto da una vera rivoluzione.
Le “finte” rivoluzioni sono state quelle che hanno rinunciato ai loro progetti internazionalisti per paura di perdere il potere conquistato. Qui Cassola non ammette nessuna via di mezzo, si dimostra sfiduciato di fronte a qualsiasi riforma: “Il riformismo, anche il più rispettabile, è un procedimento troppo lento, e il mondo invece ha fretta di mettersi in salvo, perché ogni giorno che passa potrebbe essere l’ultimo. Non solo, ma il riformismo viene a patti con la realtà; non avrà quindi mai la forza di rifiutarla.” E la realtà che si è dimostrata più refrattaria a essere tolta di mezzo è lo Stato nazionale. Carlo Cassola, scrive Carlo Madrignani, è sicuro “di non potersi aspettare nulla da nessuna delle eventuali (e per la verità improbabili) riforme che stiano all’interno della logica della guerra, difensiva o offensiva che sia”. “Il nuovo è la rivoluzione” che agisce come “scopa della storia e spazza via” l’ordinamento degli stati sovrani armati divisi da frontiere creando l’internazionale.
“Nell’era atomica l’umanità può sopravvivere solo realizzando l’internazionale. A sua volta l’internazionale può essere realizzata solo dalla rivoluzione”. È una necessità su cui devono concordare tutti: rivoluzionari, riformisti e conservatori, solo così possiamo scongiurare una catastrofe talmente spaventosa da essere difficilmente immaginabile.
Questa necessità impellente spinge Cassola a spendere gli ultimi anni della sua esistenza nella quasi esclusiva missione di ricordare quanto fosse necessario e con quali mezzi preservare la pace. Questa sua battaglia non incontrò il favore degli intellettuali, e soprattutto degli specialisti di storia e di politica che mal tolleravano l’invasione del romanziere in un campo che non era il suo. A chi dall’alto della sua cattedra lo accusava di ricostruzioni semplicistiche rispondeva: “Ma chi l’ha detto che di storia e politica debbano parlare solo gli specialisti? Mi vanto di essere un dilettante: ma un dilettante che vede la verità e la dice.”.
Nell’epoca che stiamo vivendo – in cui una pandemia globale ha reso più profonde le disuguaglianze sociali, economiche e di genere, rivelato in tutta la sua drammaticità l’egoismo degli stati e il prevalere di logiche di mercato sulla necessità di un’azione politica comune che non lasci nessuno indietro – leggere Il Gigante cieco ci consente, se ce ne fosse bisogno, di condividere ciò che scrisse Carlo Bo in ricordo dell’amico scomparso da poco: ad invecchiare (e male) sono stati i suoi critici, non i suoi scritti.
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Riferimenti
Luciano Canfora, La scopa di don Abbondio. Il moto violento della storia, Laterza, 2018
Carlo Cassola, Il gigante cieco, Minimum fax, 2020
Carlo Cassola, Per il disarmo unilaterale dell’Italia, Belfagor, novembre 1976
Maurizio Costanzo, Il predicatore solitario della fine del mondo, Corriere della sera, 10 gennaio 1979
Carlo A. Madrignani, Il superstite secondo Carlo Cassola, Belfagor, novembre 1989
Cesare Medail, Cassola. L’antieroe della Resistenza, Corriere della sera, 25 gennaio 1997
Giulio Nascimbeni, Ma che sinistra è se non vuole il disarmo? Le tesi antimilitaristiche di Carlo Cassola in un dibattito a Milano, Corriere della Sera, 22 febbraio 1977
Giovanni Russo, Cassola solo contro tutti, Corriere della sera, 18 febbraio 1987
Ottavio Tossani, Carlo Cassola è tornato alla politica, Corriere della sera, 19 marzo 1977
Franco Zangrilli, Incontro con Carlo Cassola, Quaderni d’Italianistica, gennaio 1986