 
			Dobbiamo immaginarcela la sciamana, che torna dal suo viaggio. Se n’era andata agli estremi confini della terra che gli antenati della sua tribù hanno marcato con segni e feticci, come a dire: «Fino a qui». Si era affacciata oltre quell’ultima radura, aveva trovato un canto dove stare al riparo dagli animali, aveva acceso il fuoco. Sotto la coltre di pelliccia, senza mai guardare il cielo di notte, aveva atteso. Fuori dalle terre conosciute, tra le tenebre e l’alba: solo a queste condizioni le è possibile uscire fuori dal corpo e diventare aria, pietra, fuoco, pioggia. È in quel preciso momento, nel dilucolo, che la sciamana apprende. Un’erba nuova, una cura, una previsione, se l’odore dell’aria porta con sé aroma di fumo e di cibo, o fetore di malattia.
Eccola di nuovo, davanti alla tribù che a lungo ne ha atteso il ritorno. Eccola davanti agli occhi increduli mentre svuota la bisaccia: balle di fiori ormai secchi, una mascella d’asino, una zolla di terra nera, dura, che reagisce alle scintille e si incendia soffiandoci sopra. Ma come convincere chi non ha avuto alcuna esperienza del limite, che quelle cose dall’aspetto così familiare contengono il principio di una vita nuova? Le erbe guariscono, la mascella affilata è buona per scacciare i lupi, la zolla scatena un fuoco che non teme il temporale. In effetti non esistono ancora parole per dirlo. E allora quella donna disegnata dal vento si mette a ballare. Perché lei lo sa bene: la verità non sta nelle parole, ma nella danza. La sua alienazione, la stessa che gli consente di avanzare nella conoscenza, insiste nella forma. La sciamana improvvisa? Forse sì, forse no. Tutte le declinazioni del tempo musicale stanno dentro un battito solo.
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Per analogie imperscrutabili, mi è tornata in mente questa immagine di scuola leggendo il romanzo d’esordio di Giada Biaggi, ‘Il bikini di Sylvia Plath’. Cosa tira fuori dalla bisaccia Eva, la sua protagonista? Instagram, cocaina, OnlyFans, arte contemporanea, ombre di scrittori, filosofi, (fantasmi senzienti che talvolta languono, altre invece azzannano), lacrime sotto vetro, cartoline di una Milano bellissima e moralmente in rovina, e molto altro ancora.
Tutti oggetti familiari, ma innervati da una novità aliena, che ci inducono a sospettare che la loro essenza proceda ben oltre la nostra esperienza diretta. Instagram diventa lo schema di un discorso amoroso tra sé e il proprio carnefice; la cocaina, ma le sostanze in generale, il tramite verso una memoria atavica, cristallizzata in vecchie copertine di libri che fanno da supporto per il consumo; OnlyFans un serissimo sub-lavoro con tanto di remunerazione, dove corpo, aspirazioni, talento, trovano una loro storta coincidenza. E così andando. Perché la tribù apprenda tutto questo Eva sa bene che le parole non bastano a se stesse. Devono precipitare nella convulsione di un movimento, nel battito di una danza. E così la Nostra, borghese colta, fagocitata e fagocitante il suo stesso iniquo universo, come la sciamana di cui sopra si mette a ballare.
Il suo testo ha le movenze del ragno, e della sua puntura. Sottile, imprendibile, scioccante. Una dottoranda in Filosofia dell’arte che salta a piedi uniti sul ventre della ‘Dandy-Accademia’, che brucia, senza ardere, se stessa e i numi familiari che le danno il tormento (un padre a sua volta accademico, una madre ex modella, con un passato nella televisione italiana degli anni Ottanta). Il suo modulo esistenziale oscilla nelle movenze di una elucubrazione che non riesce mai a posarsi, che muta pelle, volto, voce, fino all’ultimo rigo/passo dell’opera. Procede da una teorema (memorabile quello del ‘patriarcato negazionista’), o una memoria dotta, e prosegue attraverso pose e immagini che sono cariche del loro passato, del significato e dell’uso che altri prima di Eva (paradosso onomastico, essendo Eva la prima donna) hanno attribuito a esse. È difficile, se non impossibile, incedere in minute narrazioni masturbatorie senza risultare mai risaputi, banali, in ultima battuta ‘consumati’ da un atto tanto ovvio da caratterizzare la condizione umana per eccellenza. La ‘prima donna’ della Biaggi rifugge da questo rischio facendosi carico di tutto il dolore, la smania, il desiderio inespresso per una rottura definitiva con l’universo sociale che l’ha plasmata.
L’imperativo categorico è scagliare l’enciclopedia del contemporaneo come sassi da una muraglia, e sperare che il nemico (quella stessa intellighenzia cui per stirpe si appartiene) soccomba una volta per tutte, e che il mondo si ricomponga in un quadro completamente sfigurato, alieno. Come l’eroina sciamanica Eva è l’ariete che sfonda la protezione innalzata dagli uomini, per portare la cura, per sanare la città appestata. E anche se quella della Biaggi è una storia minima, dove minimi sono anche gli slanci dei comprimari (manipolatori, traditori, schiavi di qualcuno o di qualcosa, senza nemmeno il tremito di una sacra paura, già sepolti sotto qualche convinzione di seconda mano), una scheggia di atavismo brilla in essa come e più di un diamante: cercare una sincera, totale liberazione dal peso di esistere, oggi, senza amore, a Milano, sul pianeta Terra.
Danilo Soscia (1979) ha pubblicato la raccolta di racconti Condomino (Manni, 2008). Studioso di letteratura e di Asia Orientale ha curato il volume In Cina (Ets, 2010) e realizzato lo studio Forma Sinarum. Personaggi cinesi nella letteratura italiana
 (Mimesis, 2016). A gennaio 2018 pubblicherà per minimum fax Atlante delle meraviglie. Sessanta piccoli racconti mondo.

 
                    
				 
                    
				 
                    
				 
                    
				 
                    
				