Le poesie di Julio Cortàzar, quanta brillantina, quanto coraggio

di Gaetano de Virgilio

Quando mi hanno detto che Salvo il crepuscolo sarebbe apparso in Italia, pubblicato da Sur e tradotto da Marco Cassini, mi trovavo in Avenue Louis Lepoutre, a Ixelles, a diversi chilometri dal mio albergo. Una bellissima zona, ambientazione perfetta per uno qualsiasi dei film di Wes Anderson. All’estremo di una cortina di edifici in stile Art Noveau, al civico 116, la targa recitava «Ici est né Julio Cortázar – écrivain argentine – 1914-1984 – ENORMÍSIMO CRONOPIO». Ricordo con piacere che il secondo piano, quello abitato dallo scrittore argentino, era in vendita e per frazioni di secondi sono stato tentato di chiamare l’agenzia immobiliare e di avanzare una proposta d’acquisto, immaginandomi così inquilino di quella che era stata a suo tempo la casa del più grande ballerino di tango di tutta la letteratura.

Finalmente Salvo il crepuscolo, la raccolta completa delle poesie di Julio Cortàzar, arriva in libreria. Anni fa Le ragioni della collera (Edizioni Fahrenheit 451), oggi compreso all’interno della raccolta, pur essendo pressoché introvabile, aveva schiere di fedeli seguaci, pronti a vendersi le unghie pur di accaparrarsi una copia del volume. Dando credito a quello che diceva Bolaño, e cioè che parlare di Cortazar è come parlare di Babbo Natale, dobbiamo subito ammettere che parlare di Cortàzar non è mai semplice e che per quanto si cerchi di cogliere il punto, il risultato non potrà che essere un rigoroso girotondo. C’è un Cortàzar accessibile a tutti e uno più esoterico e spesso la sovrapposizione di questi due piani di lettura è infiammabile. Il figliol prodigo di Borges, nonché fratello maggiore di Bolaño, è conosciuto maggiormente per essere un maestro del racconto o comunque per aver scritto quel formidabile romanzo che è Rayuela. Qui, parlando di poesia, il passo da tracciare è doble, più che laterale.

Il libro nella prima pagina si lascia andare ad una chiara dichiarazione di intenti: «discorso del non metodo, metodo del non discorso, e via così. La cosa migliore: non iniziare, accostare dove capita. Nessuna cronologia, mazzo di carte mescolate al punto che non ne vale la pena. Quando ci saranno date in calce, le metterò. Oppure no. Luoghi, nomi. Oppure no. Ad ogni modo deciderai anche tu come ti pare. La vita: chiedere un passaggio, autostop, hitchhiking: o la va o la spacca, nei libri come sulla strada. Ecco che arriva qualcuno. Ci carica, ci lascia a piedi?».

Come in molti dei libri di Cortàzar, anche qui, la benzina la deve mettere il lettore. Il monito è quello di andare contro la logica predominante, usando chi legge come una carta del proprio mazzo. E pensare che Cortàzar, prima ancora che pubblicare racconti, a 24 anni, fa uscire un libro di versi dal titolo Presenza, sotto lo pseudonimo di Julio Denis. Partecipa a mille concorsi e non ne vince nemmeno uno. Lo stesso Salvo il crepuscolo uscirà postumo nel 1984, a pochi mesi dalla sua morte. Sulle cause di quest’ultima, un pochino di pepe ce lo ha messo Cristina Peri Rossi, la quale afferma che l’autore di Rayuela non è morto di leucemia come si è sempre detto, ma di Aids, a causa di una trasfusione di sangue contaminato (come Carol Dunlop, sua ultima moglie).

Pur non avendo mai avuto una relazione ufficiale con la Rossi, Cortàzar le dedica una mini sezione del libro, prima infatti scrive CINQUE POESIE PER CRIS, poi, con l’amore che tentenna e non contento: ALTRE CINQUE POESIE PER CRIS e infine, pennellata di commiato, stanco e sfiancato: ULTIME CINQUE POESIE PER CRIS. L’ultimissima, in particolare, è di una morbidezza estrema, alici su burro: «Non ti scoccerò più con le mie poesie./ Facciamo che ti dicevo/ nuvole, forbici, acquiloni, pastelli/ e magari chissà/ tu sorridevi». Perché tra le altre cose, c’è da dire proprio questo, e cioè che Cortàzar scrittore di racconti ci ha abituato a questo fantastico argentino che s’innerva e scorre nelle pagine, mentre nelle poesie il fianco viene ceduto ad una metafisica dei sentimenti molto precisa, ad un disamore barra amore continuo, zuccherino e viscoso.

Non ci sono più ragazzi che vomitano coniglietti come in Lettera a una signorina di Parigi o orecchie che crescono sulla testa di ascoltatori assorti a guardare un concerto di solo piano; troviamo al contrario poesie come «Se devo vivere senza te, che sia duro e cruento,/ la zuppa fredda, le scarpe rotte, o che in mezzo all’opulenza/ si sollevi il ramo secco della tosse, abbaiandomi/ il tuo nome deformato, le vocali di schiuma, e le lenzuola mi s’incollino alle dita, e niente mi dia pace», oppure come Happy new year «Senti, non chiedo molto,/ solamente la tua mano, tenerla/ come un ranocchio che dorme assai contento/. Mi serve quella porta che mi davi/ per entrare nel tuo mondo, quel granello/ di zucchero verde, di gioia rotonda».

Una lateralità dello sguardo continua si alterna all’uso di metafore usate come detonatore per una realtà solo presunta. Non è un caso che lo stesso traduttore, nonché editore, Marco Cassini, ha affermato di aver accettato una sfida traduttiva continuamente incalzante e spesso esteticamente cervellotica.

Ora, però, il frutto di questa sfida è finalmente tra le mani di chi legge. Non ci resta che ballare questo tango, con brillantina e coraggio e stare ad ascoltare l’autore: «queste peosie sono i miei amori, i miei drink, i miei sigari; so che le critico come si critica ciò che si ama, vale a dire malissimo, tuttavia le accarezzo e le raccolgo qui per le ore in cui qualcosa chiama dal passato, cerca di tornare, scivola nel tempo, restituisce o rivendica. Rubrica telefonica di tarda sera, ronda di gatti sotto una luna di carta».

 

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