L’Irlanda in lotta. Vita e scritti di Bobby Sands
di Simone Bachechi
foto di Gérard Harlay ©
Tanto vale iniziare dall’esergo dei curatori Riccardo Michelucci ed Enrico Terrinoni per parlare di Scritti dal carcere. Poesie e prose di Bobby Sands (Paginauno), esergo al volume che è la dedica a Giulio Giorello, il filosofo della scienza da poco scomparso, “insostituibile ispiratore e amico”, ci dicono i curatori, lo stesso Giorello che aveva già curato la prefazione al volume di Michelucci del 2017 edito da Odoya dal titolo Storia del conflitto anglo-irlandese. Otto secoli di persecuzione inglese.
In questa breve nota posta all’inizio del volume i curatori ricordano in Giorello un grande amante dell’Irlanda, in quanto lo stesso grande amante della libertà, e forse per poter parlare di questo paese non si può prescindere dal senso più profondo di questa parola, che chiunque si trovi a calpestare il suolo della terra smeraldo può respirare ovunque, anche banalmente trovandosi a Dublino nell’estate dello scorso anno, nel periodo in cui erano in corso a Hong Kong le manifestazioni contro il governo cinese e accorgersi che in tutti i bar, pub, ristoranti, gli schermi dei televisori fossero continuamente sintonizzati sulle notizie provenienti da quel lontano angolo di mondo dove, anche se con proporzioni e occorrenze diverse si combatteva per le stesse rivendicazioni che il popolo irlandese ha portato avanti per secoli, ben otto, un triste e significativo primato (forse assoluto) nell’intera storia dell’umanità di sudditanza e lotta di un popolo rispetto a un altro. Di questo, il volume sopracitato edito da Odoya nel 2017 di Michelucci, giornalista, saggista e traduttore, autore tra l’altro anche del volume biografico edito da Clichy dal titolo Bobby Sands, Un’utopia irlandese, ne dà ampio e dettagliato conto.
Il volume edito da Paginauno non è il primo a contenere i testi tradotti in italiano (anche se negli altri casi non la totalità) del militante dell’IRA morto in carcere il 5 maggio del 1981 a seguito di uno sciopero della fame iniziato sessantasei giorni prima insieme ad altri nove compagni di prigionia. Si tratta della traduzione completa di testi pubblicati originariamente a Cork nel 1998 e dei quali Gerry Adams, lo storico leader del Sinn Féin, fra i maggiori fautori dell’Accordo del Venerdì Santo di quello stesso anno, aveva già curato l’introduzione che è qui riproposta. Il primo volume da noi tradotto risale allo stesso anno della morte di Sands, da parte di Savelli, un breve testo curato da Carlo Simonetti dal titolo Fino alla vittoria. Scritti e poesie dell’Irlanda in lotta. Seguirà nel 1996 per Feltrinelli Un giorno della mia vita. L’inferno del carcere e la tragedia dell’Irlanda in lotta, curato da Silvia Calamati, una delle maggiori conoscitrici del conflitto nord-irlandese.
I due precedenti libri contenenti gli scritti del militante irlandese e usciti a distanza di quindici anni l’uno dall’altro si collocano in un arco temporale nel quale le ferite, i temi del conflitto, fra picchi, periodi di riflusso e (ahinoi) tentativi di revisione, non hanno permesso una presa di distanza dalla drammaticità di un periodo di lotta le cui ferite gli accordi del 1998 sono riusciti solo in parte a sanare, essendo venuto a mancare nel corso degli anni un riconoscimento da parte dei vari governi britannici circa le proprie responsabilità per gli orrori perpetrati ai danni del popolo irlandese, riconoscimento che porterebbe anche il Governo di Sua Maestà a dover fronteggiare dei cospicui risarcimenti, proprio come avvenuto a carico della Germania alla fine del secondo conflitto mondiale, verso un popolo che ha subito nel corso dei secoli, e non solo negli ultimi decenni di quello scorso, l’oppressione della Corona inglese: si può risalire a ritroso al 1169, anno in cui ha inizio l’invasione anglo-normanna dell’isola da parte di Enrico II, fino alle campagne di sterminio di Elisabetta I a cavallo del 1600, o solo cinquant’anni più tardi con le sanguinose imprese dell’esercito “parlamentarista” inglese di Oliver Cromwell, per poi saltare ancora di qualche decennio ed arrivare alle “Leggi Penali” del 1700, e ancora con la grande carestia della patata negli anni tra il 1845 e il 1851 che causò oltre un milione di vittime e altrettanti emigrati, evento naturale che se non può essere ascritto nelle dirette responsabilità della Corona inglese, nella gestione e politica di contrasto e provvedimenti adottati da parte della stessa non può che far emergere la sua diretta colpevolezza in quello che è stato un vero e proprio genocidio pianificato ai danni dei “rozzi, rissosi e indisciplinati” irlandesi.
Fino ad arrivare più vicini ai nostri giorni, anche dopo quel 1922 che ha sancito la nascita ufficiale della Repubblica d’Irlanda come la conosciamo oggi, con la creazione nelle sei contee dell’Ulster di un governo autonomo unionista che instaura un vero e proprio regime di apartheid che la deriva della vulgata propagandista di stampo britannico ha da sempre proditoriamente cercato di disegnare come uno scontro tra cattolici e protestanti, misconoscendo le cause e le implicazioni sociali.
La storia, la vita (e la morte) di Bobby Sands è l’espressione e la testimonianza più significativa e del più alto valore morale della resistenza del fiero popolo d’Irlanda negli anni più recenti, tanto da essere assunto a icona dei movimenti di resistenza e lotta in tutto il mondo: il conflitto nelle regioni del nord di Irlanda a partire dagli anni ’60 all’interno della stessa IRA non è più stato solo anti-inglese, ma più ampiamente legato ai movimenti per i diritti civili e con la prospettiva della nascita della “Repubblica socialista d’Irlanda” come auspicato da Bobby Sands e i suoi compagni.
Le prose sono tradotte da Michelucci, autore anche dell’introduzione al volume, le poesie da Terrinoni, già traduttore tra l’altro di James Joyce, poesie-canzoni che prendono a prestito rime delle ballate popolari e nascono dallo spirito di libertà che è in sé l’essenza del poetico, come osserva giustamente Terrinoni nella postfazione. Si tratta della prima traduzione italiana di tutte le prose e poesie scritte durante la prigionia dal rivoluzionario irlandese morto nel 1981 a seguito dello sciopero della fame iniziato insieme ad altri prigionieri il primo marzo dello stesso anno nei blocchi H nel carcere di Long Kesh alle porte di Belfast. È durante i primi diciassette giorni del suo ultimo sciopero della fame, altri ce ne erano stati, che Sands inizia a tenere un diario, scrivendo quotidianamente, usando un refil di penna biro che nasconde fino nei suoi orifizi per non essere intercettato dalle guardie carcerarie, utilizzando pezzi di carta igienica e cartine di sigarette, firmandosi con lo pseudonimo “Marcella” una delle sue sorelle, testimonianza del suo voler mantenere un contatto con il mondo esterno, pure nelle condizioni disumane in cui era posto.
I testi si amplieranno, diventeranno più numerosi, saranno versi e prose che anche la stupefacente modalità di trasmissione denotano la straordinaria tenacia, l’amore per la libertà, l’attaccamento alla propria terra, il carisma, l’attenzione per i compagni, nonché la passione per la letteratura del militante e martire irlandese. Fu grazie ai testi fatti uscire in modo così ingegnoso dal carcere e arrivati a noi in modo così miracoloso, soprattutto in considerazione delle condizioni disperate nelle quali sono stati scritti, che il mondo venne a conoscenza delle torture della Gran Bretagna nei confronti dei prigionieri politici irlandesi, una messa in stato d’accusa che ancora oggi chiede giustizia.
Tra i murales di Belfast, vero e proprio libro di storia a cielo aperto, se ne trova uno che riporta le parole del Cardinale Romero: “Gli occhi che hanno pianto sanno vedere tante cose”. Bobby Sands scrive fra una sevizie carceraria e l’altra:
Immaginate come ci si può sentire nudi, rinchiusi per ventiquattro ore al giorno in una cella d’isolamento, sottoposti alla totale privazione non solo delle cose ordinarie di tutti i giorni, ma delle fondamentali necessità umane come vestiti, l’aria fresca, l’esercizio fisico, la compagnia di altri esseri umani. In altre parole, immaginate di essere sepolti, nudi e solo per un giorno intero. Come sarebbe per venti strazianti mesi?
e ancora l’attesa dell’arrivo delle guardie carcerarie, che irrompono nella cella spoglia, piena di urina, escrementi e avanzi di cibo putrefatto, con le finestre sigillate dalle stesse guardie per cercare di chiudere anche quella “Finestra della mente” (il titolo di una bellissima prosa), per torturare, prendere a calci e pugni, tirare per i capelli nei corridoi per le ispezioni corporali il prigioniero, costringendolo a bagni nell’acqua bollente e poi gelata, per stordirlo, irridendolo, non sapendo che nemmeno quello riuscirà a placare uno spirito indomito la cui forza morale e anelito alla libertà potrà essere soppressa solo con la morte, perché come recitano i versi finali di quella che forse è la sua poesia più nota (Il ritmo del tempo):
Illumina il buio di questa cella
Rimbomba il tuono della sua forza
“È il pensiero che mai si dispera” amico mio
Quel pensiero che dice “Sono nel giusto”
Perché nemmeno:
Carri armati e fucili bastano a spezzare un blanket man
Gli uomini delle coperte diventano il simbolo della resistenza del popolo irlandese all’oppressione del “Tiranno eterno” (la Gran Bretagna), dopo quel 1976 nel quale il Governo di Sua Maestà non considererà più i membri dell’ IRA gli eredi degli Irish Volunteers, l’organizzazione fondata nel 1913 che combatté per l’indipendenza irlandese fino alla Rivolta di Pasqua del 1916 soffocata nel sangue, ma un’associazione terroristica, i cui componenti non avrebbero più goduto dei diritti previsti dalla Convenzione di Ginevra. I detenuti diventato criminali comuni perdendo ogni privilegio, con la soppressione delle visite e l’esercizio fisico, la rimozione degli arredi nelle celle, percosse e perquisizioni corporali che diventano la consuetudine, e sono obbligati a indossare la divisa carceraria che Bobby Sands e i suoi compagni rifiuteranno. I Blocchi H servivano per spersonalizzare i prigionieri politici e delegittimarne la protesta.
La forma di protesta del quale Bobby Sands si fa fautore da martire annunciato è lo sciopero della fame e i testi raccolti scandiscono il tempo del suo estremo sacrificio. Una protesta non violenta che affonda le proprie radici nell’antichità del popolo gaelico, il Troscad, che consisteva nel rifiutare il cibo per protestare contro una persona dalla quale si era subita un’ingiustizia.
Parole le sue che sono un inno alla libertà, alla dignità e alla resistenza per tutti gli oppressi, parole, narrazioni, prose e poesie che sono veri pugni nello stomaco, senza retorici abbellimenti, diretti, per questo potenti nella loro carica letteraria che non manca, ma che fatalmente è destinata a rimanere in secondo piano rispetto alla forza politica e di rivendicazione, tanto da far dire:
“Popolo d’Irlanda, pensa bene a questi versi
Non contengono scherzi o battute, o semplici rime
Se sapeste della tortura che consocono i prigionieri
Irrompereste in queste segrete per abbattere quest’inferno”
una vigorosa denuncia della secolare oppressione inglese tramite l’unica arma rimastagli a disposizione, il pensiero e la parola letteraria:
“Condizioni imposte da un branco di fanatici: “Svuota il tuo bugliolo,” dicono “ma soltanto nel modo in cui possono umiliarti.” lavati, ma solo nel modo in cui decidiamo noi!” Va’ in giro nudo oppure indossa l’uniforme carceraria.” È lo stesso atteggiamento delle medesime autorità dispotiche all’esterno: “Comprate un appartamento simile a una tomba a Divis Flats oppure vivete in strada,” dicono. “Lavorate per pochi spiccioli oppure non lavorate per niente e morite di fame” E ancora, “Potete votare ogni quattro anni, e se non vi va bene peggio per voi,” Questo è quello che dicono!
Un testo arricchito da alcune riproduzioni degli scritti originali di Bobby Sands per concessione della Bobby Sands Trust, tramite il cui sito si può reperire una grande quantità di materiale bibliografico, d’archivio e multimediale. Un volume curato magistralmente da Michelucci e Terrinoni che ci consegna a distanza di anni un formidabile documento di resistenza civile, eroismo in un’epoca nella quale tanti, troppi vi si travestono, umanità e solidarietà, oltre che in ogni caso un poderoso corpus letterario, forse la più alta espressione letteraria prodotta in carcere nell’epoca moderna, paragonabile alla Ballata del carcere di Reading di Oscar Wilde o alle Lettere di condannati a morte della resistenza europea (edizione Einaudi del 1954 con prefazione di Thomas Mann), per non dimenticare gli scritti dal carcere di Rosa Luxemburg o Una giornata di Ivan Denisoviĉ di Alexandr Solženicyn o ancora, anche se sotto un’altra prospettiva i Quaderni dal carcere di Antonio Gramsci.
Un testo salvifico, dalla potenza civile inarrivabile e allo stesso tempo il ritratto di un uomo, il quale, come dalle parole di Gerry Adams nella prefazione, che dopo un toccante e umanissimo ritratto del ragazzo di Belfast, ci dice che la lotta e la resistenza nei secoli del popolo d’Irlanda non è che lo stesso di quello dei primi cristiani perseguitati, degli schiavi, dei contadini, degli indiani d’America, con i quali i repubblicani irlandesi in lotta condividono il palcoscenico della storia contro la tirannia, testimoniando “la superiorità morale degli oppressi” e consegnandoci, conclude l’ex-leader del Sinn Féin, il ritratto di uomo di nome Robert Gerard Sands nato nel 1954 in una terra oppressa da secoli, morto a soli ventisette anni ma che “vive in queste pagine”.