Passione e morte di un cervo. “La tentazione” di Luc Lang
“Sono bestie, penso, sono bestie selvatiche, penso con orrore. Tutti hanno nel viso e negli occhi la bellissima meravigliosa mansuetudine e tristezza delle bestie selvatiche, tutti hanno quell’assorta e malinconica pazzia delle bestie, la loro misteriosa innocenza, la loro terribile pietà. Quella pietà cristiana che hanno tutte le bestie”, scriveva Curzio Malaparte, in Kaputt.
La raffigurazione ferina della decadenza del sacro accompagna sin dalle prime pagine le visioni che Luc Lang compone con La tentazione (trad. Tommaso Gurreri, ed. Clichy). Sono i dettagli anatomici di un animale braccato, un cervo a sedici punte, a dominare la pagina, una magnificenza araldica frastornante che spinge chi sino a quel momento aveva cercato di ucciderlo a provare invece a salvarlo.
Il mondo animale fa da contrappunto all’avventura umana: la costante allegoria della Passione e morte del cervo è l’immagine su cui si fonda la narrazione di una realtà famigliare implosa. Curare quel che si è cercato di distruggere è la metafora che innerva l’intera opera, e nasce dall’improvvisa consapevolezza di una sproporzione del potere che genera predominio sull’altro.
La tentazione identifica nella dissolvenza la labilità della struttura famigliare. Scorge la matrice tossica di vincoli in grado di seminare rancori e condannare al confino nell’angolo più oscuro di sé, quello “meno glorioso, più meschino” che rende incapaci di accogliere la bellezza che si pone davanti. Ogni personaggio ha un lato oscuro, è preda del proprio egoismo, nella smania di raggiungere qualcosa che si rivela vano. Al protagonista François non rimane che osservare, impotente, quel che si prospetta come inesorabile nella frattura del nucleo famigliare. Scorge in suo figlio Mathieu una brama cieca per il successo nel professare come unica fede quella per il denaro, e in sua figlia Mathilde l’incapacità di concepire la propria individualità al di fuori di relazioni disastrose. Rincorre vanamente sua moglie Maria nel peregrinare senza pace da un convento all’altro: patologicamente attratta dal dramma, è dilaniata dal segreto desiderio di morte della figlia e dall’attrazione morbosa verso il figlio, visto come il novello messia.
Attraverso Maria, Lang individua nel rifugio nel misticismo un inutile tentativo di placare un tormento che corrode e trasfigura. Attraverso le farneticazioni della donna si interroga su un’idea di fede, ne esaspera i motivi richiamando sottilmente i temi affrontati in Clio da Charles Péguy, in particolare in merito al distacco dalla cristianità da parte della società moderna.
Invidia Maria che può ricorrere a una tale visione religiosa, per quanto arrangiata e improbabile sia… Maria, che è convinta di individuare nel trionfo del denaro quello di un valore universale necessariamente di origine divina. Una grazia desiderata da tutti e distribuita in base al merito. A dispetto del Vello d’Oro. A dispetto dei mercanti cacciati dal tempio. Come se tutto il desiderio del Fine fosse migrato verso un desiderio mistico dei mezzi, cosa interpretata da Maria a modo suo. Mezzi sempre più smisurati, nelle mani di pochi eletti. Che non sanno assolutamente cosa farsene. Diventare Dio senza altro scopo se non quello di restarlo…
Il presagio dell’inesorabile si palesa nelle tracce lasciate sulla pagina, nello scenario che si deforma e assume i toni e le immagini dell’Apocalisse di Giovanni di fronte a quel che si prospetta per i personaggi e, per estensione, per il genere umano.
Marciarono su tutta la superficie della terra e cinsero d’assedio l’accampamento dei santi e la città diletta. Ma un fuoco scese dal cielo e li divorò.
È l’esatta raffigurazione di una impossibilità di essere, tra verità parziali o oscurate, a generare percezioni opposte della realtà, dalle aspettative dei padri al senso di inganno dei figli. Nel paesaggio famigliare a compartimenti stagni tracciato da Lang la rappresentazione dell’ignoto investe il privato e allaga l’immagine stessa del passato.
Niente resiste all’euforia del sacramento, diventare adulti, diventare ci si immagina, liberi e potenti, perlomeno il tempo di scontrarsi con i limiti del possibile, facendo allora recuperare l’infanzia in ognuno come un desiderio perduto dei confini in cui si vivevano come reali le avventure più folli.
Una violenta metamorfosi invade il conosciuto, rende estranei i legami di sangue, rivela la rovina di un regno dietro l’apparente sontuosità di una tenuta. La costruzione degli scenari trova nell’ambiente i segnali della decadenza, individua in un bosco oscuro, inconoscibile, lo smarrimento dell’essere umano. La neve precoce annuncia un inverno crudele per quelle esistenze lacerate dal dubbio che lambiscono costantemente la tragedia, paralizzate, come i luoghi stessi, in un silenzio gelido, “un’apnea, un cristallo in cui gli uccelli non sanno dove posarsi, una natura che li intrappola in sagome di brina e carne congelata”.
L’evolversi drammatico degli eventi risucchia il lettore in un vortice di morte e distruzione, tra vendette e ritorsioni che rendono tutti colpevoli e vittime al contempo. Una partitura strutturata in quattro atti che in un gioco di audaci disvelamenti assegna a chi legge il compito di rintracciare nelle storie legate a quella principale un senso che sovrasta quelle esistenze. La linea espressiva si regge sulle ossessioni, sul privilegio e la condanna del potere nel presagio di un capovolgimento imminente, e trova nel sottile filo del giallo il mezzo d’elezione per esplorare i territori dell’incertezza e focalizzarsi sull’istante che precede la catastrofe. Una sospensione tradotta in una prosa sincopata, con periodi brevi, dialoghi indiretti liberi spesso troncati, continui flashback che nell’equilibrio tra passato e presente anticipano una conclusione aperta in linea con l’architettura dell’opera.
Con La tentazione Lang consegna un romanzo che si sviluppa sul margine dell’ignoto, si insinua tra le esitazioni e le affida al lettore, incerto sino all’ultima pagina nello stabilire se si tratti della storia di una fine o di un inizio. Lo spazio bianco tra questi interrogativi accoglie il miraggio, una tenue speranza prima di precipitare senza rimedio nella disperazione.
È la magia di quell’incontro, lo choc dell’esplosione? Perché procede a quanto pare in ciò che rimane dello splendore del luogo, con nelle ossa l’inferno che ringhia, che vince, ma lui pensa risolutamente di restare di fronte al panorama di una montagna aperta, ripetendo in un mormorio infinito: E non vi sarà più notte.
Alice Pisu, nata nel 1983, laureata in Lettere all’Università di Sassari, si è specializzata in Giornalismo e cultura editoriale a Parma dove vive. Collabora per diverse testate di approfondimento, tra cui L’Indice dei libri del mese, minima&moralia, il Tascabile. Libraia indipendente, fa parte della redazione del magazine letterario The FLR -The Florentine Literary Review.