Piccola città. Per una storia culturale dell’eroina

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Bene, se mi dici che ci trovi anche dei fiori in questa storia, sono tuoi.
Bene, Francesco De Gregori, 1974

Guardate questa bambina. Questa bambina sono io.

Ho la piuma in testa e delle foglie in mano. È il 5 settembre del 1976 e Democrazia Proletaria festeggia sul monte Amiata le elezioni del 20 giugno, dove ha preso l’1,5 per cento. Ben 6 deputati. Ma io queste cose non le so. So, però, che c’è babbo che ha dipinto di rosso la porta del PdUP a Grosseto, e a me questo nome, Pdup, mi sembra che rimbalzi.

Il Pdup sono davvero poche persone mentre il PCI ha preso quasi il 35% dei voti. Ma per me il Pdup rappresenta l’orizzonte unico e possibile di quella che è la Politica. Si chiama così. Ha la lettera maiuscola e la porta rossa, e poi la fanno mio padre e i suoi amici, che mi piacciono, perché mi raccontano la Favola di Mao Tse Tung.

La Politica la fanno i maschi, questo lo so, mentre mamma e le sue amiche fanno il Femminismo, che, forse, mi piace pure di più della Politica, perché si canta.

Oltre la Politica e il Femminismo c’è mia nonna che è il Mondo. Per mia nonna il Femminismo non esiste, la politica non ha la maiuscola, e si chiama solo PCI, perché ha avuto un fratello senatore, e ancora mi parla di quella volta nel 1946 quando l’hanno portata a Roma, per festeggiare la Repubblica, e suo fratello non le ha fatto aprire bocca. Ma per lei è un bel ricordo.

Poi c’è la città, che è Grosseto, ma per me è un perimetro che parte dal ponte della ferrovia e arriva a via Orcagna dove c’è la Terra, nonna la chiama così: campi coltivati dove si va in bicicletta dopo scuola per accudire i conigli e le galline, le rose, e c’è la cantina, con le botti e un odore di vino buono.

Così, riassumendo, negli anni Settanta, per una bambina, le Cose che Esistono sono il Femminismo, la Politica, il Mondo e la Città. Linus, in bagno, da leggere. Mentre ancora non ci sono i cartoni animati giapponesi e soprattutto ancora non c’è l’Eroina, che, lei non lo sa, cambierà di lì a poco il Mondo, il Femminismo e la Politica. Ma soprattutto la Città.

Uno

Mio padre ha una storia comune, condivisa dalla sua generazione.
Le storie di ieri, Francesco De Gregori, 1974

Nel 1970 a Roma, secondo Guido Blumir, ci sono soltanto 560 tossicomani al di sotto dei 25 anni. Fra di loro l’eroina è, apparentemente, sconosciuta. A Grosseto, e in tutte le piccole città di provincia, se ne parla ma non si è ancora vista davvero in giro. Eppure in Italia è arrivata fin dall’immediato dopoguerra, ma finché non diventa un caso di cronaca da mettere in prima pagina su un quotidiano nazionale è come se non esistesse. Il caso eccolo: è il 20 marzo del 1970 quando a Roma il nucleo Antidroga dei Carabinieri diretto dal capitano Servolini durante una perquisizione a un barcone ormeggiato sul Tevere, uno di quelli usati per le feste dalla buona borghesia della città, trova un “ingente quantitativo di sostanze stupefacenti”. Il caso diventa un manganello da usare contro i costumi degenerati della società, e i partiti di sinistra con il loro lassismo, da testate giornalistiche come «Il Tempo» che scrive: “Infame centrale del vizio nel cuore di Roma – casa della droga per minorenni in un galleggiante sul Tevere – Sequestrati hashish, eroina, eccitanti, siringhe, alcoolici alterati, ricettari rubati” (21 marzo 1970).

Per la prima volta viene lanciata una campagna contro chi fa uso di droghe. È messo sotto accusa un intero universo simbolico, quello della cultura dei capelloni che, per uno di quei paradossali giri di boa che compie la fantasia dei paranoici e dei fascisti, è imputato alla sinistra comunista che, sappiamo, in quel lontano marzo del 1970, patisce i capelloni e i drogati quanto i conservatori.

Scrive Blumir: “Nasce in Italia la ‘psicosi’ droga: per decine di milioni di italiani la droga diventa un ‘male oscuro’ per centinaia di migliaia di giovani, una tentazione proibita. Solo tre anni dopo l’opinione pubblica viene a sapere, da un dossier di controinformazione di Stampa Alternativa (La droga nera), che la storia del ‘Barcone’ era una truffa. Ma il contraccolpo è devastante: il ‘boom’ clamoroso dell’uso di anfetamina, le iniezioni endovena”.

Nel 1973 esce per Einaudi una ricerca, si intitola Il sistema mondiale della droga, l’hanno scritta due ricercatori francesi Catherine Lamour e Michel R. Lamberti, sotto pseudonimo. Il loro è uno sguardo sui meccanismi economici che sottostanno alla diffusione dell’oppio.

Ne ho una copia che conservo da anni, a matita c’è scritto il nome della sua prima proprietaria che chiamerò Anna, e la data, 1975.

Anna abita a Grosseto, ha iniziato a farsi eroina qualche anno dopo aver letto questo libro. Nel 1979.

Mi colpiscono le sue sottolineature: la prima, quella su cui mi soffermo leggendo la frase più volte, è questa: “Tra tutte le droghe conosciute e diffuse nel mondo, l’eroina è la più pericolosa, perché crea in chi la usa uno stato di dipendenza fisica e psicologica che rende rapidamente schiavi”.

Perché, dopo averla sottolineata, capita, pensata, Anna ha iniziato a farsi? Forse la risposta sta nella sottolineatura successiva: gli autori infatti definiscono il profilo del drogato: “Si può considerare realmente intossicato chi dedica gran parte del proprio tempo e delle proprie energie a trovare la droga, a pensare ai mezzi per procurarsela, a usarla e a parlarne, o chi tende a reagire ai problemi che gli si pongono prendendo la droga”, forse la risposta sta in questa frase. Anna non si considererà mai una drogata, perché non avrà bisogno di dedicare tutte le sue energie a pensare ai mezzi per procurarsi l’eroina, potrà continuare ad avere un lavoro, relazioni sociali, umane, che prescindono dalla sua dipendenza. Non reagirà ai problemi che le si porranno con un buco. La droga sarà per lei una piacevole compagna di vita. Lo stile di vita dell’eroinomane è considerato uno stile di vita suicida: l’intossicato perde peso, non mangia, è esposto alle infezioni, muore. L’ipotesi che si possa convivere con l’eroina per una vita non sfiora minimamente la mente degli studiosi, o meglio, la loro comunicazione, c’è sempre un intento pedagogico. L’eroinomane diventa pericoloso: ruba, aggredisce i passanti, uccide.

Anna, a Grosseto, non ha mai aggredito i passanti, non è morta di Aids, ha avuto un figlio. Forse ha rubato, forse no, non ne ha avuto bisogno. La sua è una famiglia benestante. Anche quella di mio padre, nel 1975, lo è.

Due

Se è proibito raccontare una cosa, capisci anche tu che fatalmente c’è solo quella che si voglia e si debba raccontare.
La vita come un romanzo russo, E. Carrère, 2009

Quando arrestano mio padre per spaccio di eroina ho 15 anni, frequento il ginnasio, nell’unico liceo classico di Grosseto. Un liceo di provincia, frequentato dai figli dei professionisti della città. Quando lo arrestano io non dico niente a scuola. Non trovo le parole per farlo, non credo di averle neanche cercate, è qualcosa che accade, e basta.

Quando le cose accadono a me io non so come raccontarle. Per questo faccio la storica, racconto le cose che accadono agli altri, eppure questa di mio padre voglio raccontarla, così inizio a parlarne con gli altri, ma solo all’università, quando mi sento ormai protetta dalla distanza, ne parlo e ne parlo, e una giovane storica senza immaginazione si domanda se sono matta ad andare a dire in giro che mio padre si è fatto eroina.

Perché questa è una cosa che non si racconta. Non è neanche un fatto degno di storia. È una piccola storia ignobile. Telefono a Nanni Balestrini, cerco la forma da dare a questa storia, per non sembrare matta neanche agli stupidi e ai conformisti, per trasformare in storia la vita di una generazione.

“Pronto? Buongiorno, mi chiamo Vanessa Roghi, sono una storica, parlo con Nanni Balestrini? Salve, si mi scusi il disturbo, mi ha dato il suo numero XXX posso farle una domanda? Grazie: senta sto facendo una ricerca sulla storia dell’eroina in Italia, volevo chiederle se potevamo incontrarci per parlarne.

NB: Su cosa scusi?

Io: L’eroina, la droga. Una ricerca storica, ma anche autobiografica. Vorrei parlare con lei della diffusione dell’eroina nel Movimento.

NB: Mah non saprei, non ricordo, non ho mai avuto esperienza.

Io: Ma no certo, non parlo certamente di lei, solo che il suo occhio attento, e le cose che ha scritto, beh mi fanno pensare che magari qualche idea se l’è fatta.

NB: No, guardi, veramente no.

Io: Neanche per fare due chiacchiere?

NB: Risentiamoci magari mi viene in mente qualcosa e le dico.

Io: Va bene grazie.

Trent’anni per pensarci. Forse, queste note, dovrei intitolarle così. In tanti, infatti, mi rispondono allo stesso modo: “Mah non saprei, non ricordo”. Oppure, semplicemente, non rispondono alle mie mail, lasciando cadere a vuoto richieste di appuntamenti. Unica eccezione i preti e i poliziotti. Già, perché la storia dell’eroina in Italia è una storia di assistenza o di crimine. Mai una storia sociale o culturale, e politica lo diventa soltanto quando si parla di complotto. Se fossi stata figlia di un terrorista, di una vittima degli anni di piombo, tutto sarebbe più facile, da un punto di vista narrativo si intende, perché di canoni, storiografici, autobiografici, letterari, sull’eroina non ce ne sono se si esclude, ovviamente, Andrea Pazienza che ha lasciato il romanzo dell’eroina più importante scritto in Italia. Ma io non so disegnare.

Così continuo a cercare una forma.

Ripenso al momento in cui mio zio mi dice: hanno arrestato Mauro. Non è uno shock. Certo mi colpisce il fatto del carcere non scoprire che si droga: le droghe sono qualcosa che ho visto crescere intorno a me, hanno un aspetto familiare. Ho il narghilé in casa, da bambina credo che ce l’abbiano tutti.

Tre

Gli amici del campetto, passati dalle Marlboro direttamente all’eroina alla faccia delle droghe leggere.
Robespierre, Offlaga disco pax, 2005

Grosseto è una piccola città. Come Latina come Bergamo.

Non c’è niente di interessante: le mura con i bastioni la circondano, ma non tutta, mica siamo a Lucca. Sta al centro della Maremma, lontana da tutto; non ha un’università, non ha fabbriche, ma un (recente) passato contadino che dalla bonifica alla riforma ha ridisegnato i confini delle terre allagate intorno a partire dal diversivo, che chiude la città a nord, fino alle quattro strade, che ne segnano il limite estremo a sud. Nel mezzo casette, strade ordinate, qualche viale residenziale, qualche quartiere dove i nuovi ricchi, quelli nati dal boom edilizio, come noi, i Roghi, sono andati a stare. Come viale Giotto.

A viale Giotto la droga arriva un po’ per volta. Febbraio 1968. Babbo e M. sono andati alla sala Eden, a ballare, devono vedersi con un gruppo di ragazze, andare a passeggiare sul corso, poi in macchina fino a Orbetello. È un gelido pomeriggio. Mamma e G. non sono andate a scuola.

Devono vedere Florenzo che è bello come Jim Morrison.

Ha i capelli lunghi. Un vecchio del PCI l’ha picchiato sul corso per questo motivo, perché è un capellone. Ha con sé tre pasticche bianche. Le ha portate da Istanbul dove è stato fermato dalla polizia.

«Il Telegrafo» non si fa scappare la notizia (il cognome, l’indirizzo li ometto io, non il giornale che nel 1970 pubblica tutto) 9/07/1969: “Indagini dopo l’arresto ad Istanbul di un grossetano. ‘Il padre del ragazzo sconvolto nell’apprendere la notizia del fermo’: la squadra mobile della nostra città ha aperto una serie di indagini interrogando vari giovani grossetani, dopo l’arresto avvenuto ad Istanbul dello studente Fiorenzo N., 20 anni, residente in via XX, che secondo notizie pervenute tramite il consolato italiano di Istanbul, è stato arrestato dalla polizia turca in un locale dove si faceva di droga. La polizia sta svolgendo accertamenti fra gli amici del N. (l’ambiente dei capelloni locali) per accertare, secondo voci da tempo circolate, se in alcuni ambienti frequentati da giovani grossetani sia consumata la droga. Il Dottor Valentini della Mobile con il maresciallo Mugnani, stanno attivamente indagando dove oltre a numerosi giovani circolano anche ragazze di buona famiglia. Particolarmente presi di mira i frequentatori di alcuni bar del centro. Intanto si è appreso che la madre di N. aveva tenuta nascosta la notizia al marito. L’uomo, appresala per caso, è rimasto sconvolto”.

La città è indignata. Ragazze di buona famiglia che frequentano l’ambiente dei capelloni locali. La città si organizza, prende provvedimenti, primo: cercare una metafora.

Da «Il Telegrafo», 27 aprile 1970. CONTRO LA DROGA. “il mostro della droga è un drago che neppure S. Giorgio cavaliere potrà mai uccidere – Tocca a noi combatterlo, per la causa dello sport”.

“GROSSETO 27. Nella riunione conviviale del Panathlon club di Grosseto, tenutosi all’albergo Lorena, alla presenza di numerosi soci, ospite d’onore è stato il gr. Uff. Sisto Favre. Il dottor Favre ha permesso che una serena esplosione di idee ed iniziative alla vigilia dei giochi olimpici di Monaco, non è possibile svolgerla sotto l’angosciosa impressione prodotta dalla universale sciagura del giorno: il mostro della droga. Un drago che nessun San Giorgio cavaliere potrà mai uccidere. Dobbiamo eliminarlo noi, uomini combattenti per la causa dello sport, per la causa di Olimpia, e per tanto per la causa dello spirito che anima e nobilita la creta umana e la rende degna della sopravvivenza nei secoli dei secoli e della Provvidenza di Dio”.

Ovviamente, con simili nemici, la droga a Grosseto dilaga. Prima arriva l’hashish dall’Afghanistan. È il 1973. Da un anno sono nata io. Nel grande salone, sotto il tavolo color avorio muovo i primi passi mentre sopra il tavolo girano le prime canne.

Quelli de «il manifesto» aprono una sede a Grosseto. La porta è di legno rossa. L’hanno colorata Babbo e M. È in via dell’Unione, dove prima era il PdUP, frequentata da vecchi socialisti e da giovani delusi dal PCI che governa la città da sempre. L’hashish è arrivato anche fra di loro. Si organizzano incontri sull’argomento. Il Circolo Culturale Popolare invita Guido Blumir, autore della prima inchiesta di controinformazione sull’uso delle droghe in Italia. Il tema è: le droghe leggere sono rivoluzionarie, le droghe pesanti non lo sono. Scoppia il tafferuglio.

La stampa di Grosseto continua con la sua strategia discriminatoria. Si pensa che servano degli specialisti per risolvere “il problema”.

A Lattaia nasce una comune. Si dice che la fondatrice sia la compagna di un re dell’oppio del Marocco. Io ho 4 anni. La comune è un luogo meraviglioso dove non bisogna andare a letto presto, dove per dormire c’è chi mi racconta le favole, quella di Mao Tse Tung.

Lattaia è in fondo alla dritta di Roccastrada. Da lì la piccola città appare un punto lontano, perso nella pianura. Un luogo grigio dove non tornare. Dove a scuola mi chiedono quale sia la professione di mio padre lasciandomi a doverne inventare una. Dove gli altri bambini non possono giocare con me perché figlia di genitori separati. Un luogo grigio, conformista. Racchiuso fra mura che non delimitano nient’altro che noia.

La mia casa però è bella. E grande. C’è una libreria. Imparo a memoria i titoli dei libri di mia madre: La morte della famiglia di Cooper, I fratelli di Soledad, Autobiografia di Malcolm X, Do it Now mi attira molto perché ha una copertina tutta piena di fiori. La mia libreria: Dalla parte delle bambine, Arturo e Clementina, Alice nel paese delle meraviglie, Charlie Brown. L’Enciclopedia è Io e gli altri, alla S il lemma “Strage di Stato” alla P, “Pinelli”, alla D, “Democrazia Cristiana”.

La sede del manifesto ora è in Strada Ginori ha la porta rossa come pure il pavimento, l’hanno fatta babbo e M. usando i vecchi scaffali della libreria Feltrinelli di via dell’Unione.

È una via di mezzo fra il movimento politico e un circolo culturale popolare. Fra gli altri c’è Roberto Ferretti, antropologo e disegnatore, i suoi disegni mi fanno paura e mi attraggono da bambina. Poi ci sono vecchi socialisti in rotta con il PCI. M. mi racconta: “Mi ricordo che dissi che l’hashish e l’erba erano rivoluzionarie scandalizzando i compagni socialisti. Al nostro interno però c’era chi non era d’accordo. M. T. per esempio che faceva il sinistro, quello di Lotta Continua, caldeggiava l’ipotesi di fumare l’oppio e l’eroina. Mi ricordo che portò l’eroina e diceva che fumarla non faceva male, era differente. Poi a un certo punto si venne a scoprire, insomma circolavano delle voci, ce n’era una che sosteneva che quest’eroina arrivava dalla capitale ed era legata a un giro di soldi e di armi. Si contattò il sostituto procuratore della Repubblica. A noi c’era arrivata perché c’era qualche scoppiato, Snoopy che ora è morto che parlava di questa casa a Principina dove giravano soldi e eroina e con un altro, non mi ricordo il nome, ma figlio di uno che poi ha fatto belle battaglie contro l’eroina. Quindi come circolo si cercò di ostacolare ma ci si mosse male, e l’eroina dilaga a Grosseto”.

È il 1978. In molti hanno deciso di provarla. In molti passano da casa dove abito con mamma, ma anche con i suoi amici che rimangono lunghi periodi da noi. Una mattina trovo in bagno una siringa piena di sangue. Mamma decide che la convivenza con loro non è più possibile, ma io non comprendo il motivo. Mi piace stare con tante persone. Mi piace avere sempre adulti intorno, anche se nessuno sembra accorgersi della mia presenza.

Personaggi reali e immaginari popolano la mia casa.

C’è il Gatto lupesco che invia a casa mia lettere anonime nelle quali, in rima, minaccia di far sparire tutti i freaks da Grosseto. Il Gatto lupesco conosce le abitudini del gruppo, è molto preciso nei dettagli, mia madre si spaventa, soprattutto perché ci sono io con loro. Ne parla agli amici, allora il Gatto lupesco scrive una lettera nella quale dice che non ce l’ha con i bambini. Ce l’ha solo con i drogati.

Di fatto nella città inizia un attacco moralistico contro ogni diversità, contro le donne, i gruppi giovanili e i tossicodipendenti portato avanti da tutti, ma soprattutto dai compagni che vedono nell’eroina un elemento di disgregazione culturale e politica.

La città guarda con timore e giudica i figli degenerati che hanno tempo per tutto anche per buttare via la propria esistenza, elabora strategie di contenimento del fenomeno: nascono i primi centri di recupero seppur demandati alla volontà di singole personalità, tra le quali Don Enzo Capitani, fondatore della prima comunità aperta di recupero. L’idea è quella dello spazio a misura d’uomo mutuata da Franco Basaglia, che contesta l’esclusione dei drogati, la segregazione della malattia, la sua separazione dal tessuto sociale. Tenere i tossici al centro della città, rendendo le loro famiglie parte del percorso di cura e di recupero. Ma la città non è d’accordo. Netta deve essere la distinzione fra normalità e devianza.

Gli amici, quelli del movimento cambiano vita. C’è chi va via dalla Piccola città.

Grosseto nel frattempo è diventata fra le prime città in Italia per consumo di eroina, in proporzione al numero degli abitanti: i quotidiani continuano a interrogarsi sui motivi. I benpensanti a ben pensare. Ed è in questo momento che anche babbo inizia. Nel 1982.

Draghi e sangiorgi, forze dell’ordine, lotte alla criminalità. Persino un maxiprocesso. Gli anni ottanta arrivano a Grosseto come una bomba che deflagra e lascia macerie ovunque, e le macerie sono l’AIDS, le overdosi, la città nemica.

Poi inizia la repressione. La polizia aspetta di intervenire al momento giusto. Chi si fa eroina sta con chi spaccia e uno spacciatore sta sempre intorno a mio padre, si chiama R., ha contatti con i mafiosi confinati in Maremma. Ha una pistola.

È il 1987. Mio padre e R. vanno a Firenze. Al loro ritorno li aspetta la polizia: cercano un’arma e la trovano. Finiscono in carcere per direttissima.

Io ho quindici anni, frequento la quinta ginnasio, il Liceo Classico “Carducci-Ricasoli”. La maggior parte dei miei compagni di scuola sono i figli della peggiore borghesia di Grosseto. Quelli che hanno scritto gli articoli, partecipato alle riunioni benefiche, pensato che fra massoneria e droga no, non c’è nessun legame e che i drogati, loro sì, sono il problema. Ma ci sono anche i migliori insegnanti di Grosseto al Liceo Classico “Carducci-Ricasoli”, che mi proteggono, che mi salvano la vita, che mi prendono per mano e mi danno gli strumenti per pensarmi fuori dalla piccola città.

Ci sono due immagini chiare che mi tornano in mente. La prima. Mio padre cammina in via dell’Unione, abbracciato alla sua compagna. Non riesce a tenersi in piedi. Io lo incontro con degli amici, penso che sia ubriaco, non capisco. La seconda. Mio zio che mi dice che mio padre è in carcere perché tossicodipendente. E mi porta a trovarlo.

Il carcere a Orbetello, piccolo, quasi un appartamento. Un compagno di cella rinchiuso lì perché ha ammazzato un fagiano di frodo. Ricostruisco immagini, frasi del passato. Mi rendo conto all’improvviso di tutto. Di tutto?

Vedo la piccola città e i suoi abitanti.

Fine

E mi sorprendo ancora a misurarmi su di loro
La bomba in testa, Fabrizio De André, 1973

Nonna non ci crede. Proprio non ci crede. Neanche di fronte alle sbarre della prigione. Mai. Ama quel figlio più di sé stessa, perché è nato quando era povera e la guerra era appena finita e a Grosseto c’erano i badilanti, ancora, e la malaria, e Marino suo marito raccoglieva la torba per far campare lei e quel piccolo figlio e una famiglia di parenti gretti che lei detesta. Isolina è il Mondo e dentro di lei mi rifugio, la Terra come ultimo orizzonte, viale Giotto come colonne d’Ercole che dividono la Città amica e quella nemica.

La città amica è mia madre, mia nonna, le femministe, Filomena e la scuola materna frequentata all’Alberese, la maestra Tonini e il tempo pieno di viale Giotto. La Terra, le rose, e laggiù oltre l’aeroporto, la strada, la pianura bonificata, il mare.

Ma la città amica è anche mio padre, i suoi amici, Lattaia, la Politica, via dell’Unione e le strade del centro. La città nemica sono le associazioni di beneficienza, i professionisti, le belle famiglie, i giornali locali che raccontano una storia buona solo per farli sentire meglio. La città nemica è la gente perbene.

Guardate questa bambina. Questa bambina sono io. Ho un buffo cappello di lana colorato, lo so perché c’è un’altra foto a colori che me lo dice. Sto con M. Deve essere il 1977. Sono felice. La città per me è ancora una soltanto. Nessun muro la divide in due. Per ora. Dopo non sarà mai più così.

Foto-2

Quando ripeto le strade
Che mi videro confidente,
strade e mura della città nemica;
E il sole si distrugge
Lungo le torri della città nemica
Verso la notte d’ansia;
Quando nei volti vili della città nemica
Leggo la morte seconda,
E tutto, anche ricordare, è invano;
E «Tu chi sei?», mi dicono, «Tutto è inutile sempre»,
Tutte le pietre della città nemica,
Le pietre e il popolo della città nemica,
Fossi allora così dentro l’arca di sasso
D’una tua chiesa, in silenzio,
E non soffrire questa luce dura
Dove cammino con un pugnale nel cuore.

Franco Fortini, La città nemica, 1939.

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[queste note sono un sasso nello stagno, sperando che smuovano onde concentriche riportando indietro a me, come foglie, altre storie e memorie: vanessa.roghi@gmail.com. Grazie a Filippo, Alice e Anita che mi hanno insegnato a tornare a Grosseto senza odiarla più]

Tratto dal libro Una città aperta al vento e ai forestieri, a cura del Collettivo Bianciardi 2022, Lecce, Pensa Multimedia, 2016, pp. 65-78.

*Originariamente uscito su Bianciardi 2o22

Commenti
82 Commenti a “Piccola città. Per una storia culturale dell’eroina”
  1. VANESSA ARMELLINI ha detto:

    bellissima!!

  2. Riccardo Ronti ha detto:

    Bellissima. Davvero toccante.

  3. Alberto Grossi ha detto:

    notevole. da divulgare.

  4. effeffe ha detto:

    magnifica e vera
    effeffe

  5. Lalo Cura ha detto:

    una delle pagine più belle lette su questo blog (negli ultimi anni – e non solo)

    (e poi, diciamolo: una che nelle sue note biografiche scrive: pensava che dopo Nick Drake e Fabrizio De Andrè la musica avesse poco da dire poi meno male sono arrivati i Radiohead: ecco, io l’avrei apprezzata a prescindere, anche se avesse pubblicato la lista della spesa)

  6. giambo ha detto:

    Sembra di esserci dentro alla tua storia, perché è raccontata benissimo e poi parla del tempo della mia gioventù ribelle e non riesco ancora a crederci che son passati quasi 50 anni. Un unico appunto, da ex critico musicale: Nick Drake e Fabrizio De Andrè non giocano nello stesso campionato dei Radiohead…

  7. Vanessa ha detto:

    È vero. Grazie a tutti/e per i commenti

  8. Giovanni natoli ha detto:

    Da innamorato pazzo di Nick Drake non posso che dire che riconosco la soavità grave e la gravità soave tipica di chi ama il principino di Tanworth. Bellissimo. L’ho condiviso su facebook; io ho 51 anni e sebbene meno giovane condivido il sapore di quel tempo e la transizione dagli annni 70 agli 80 è precisissima. Grande. (Un consiglio musicale: Spirit of Eden dei talk talk, radiohead antelitteram e decisamente superiori. In quel disco si parla anche di eroina, in “I believe in you”. Credo, se non lo conosci, che ti piacerà da morire)

  9. Nicoletta ha detto:

    un testo molto intenso, grazie

  10. Paolo Soraci ha detto:

    Bellissima e toccante testimonianza. La condivido subito.

  11. lidia ha detto:

    Bravissima! Grande capacità di racconto. Mi hai fatto ritornare indietro di tantissimi anni…
    Ho 54 anni e sono vissuta a Latina dal ’69 all’ ’82, figlia di operai comunisti, o stavi con chi iniziava a farsi o con chi non viveva senza abiti firmati, moto e motorini (ovviamente non sarei mai potuta appartenere a quest’ultimo gruppo!).
    Ho capito di dover fuggire già quando frequentavo le scuole medie, ancora con kilt e calzettoni; dopo il liceo classico, terribile, sono tornata al mio luogo di origine, Pavia. I miei amici di Latina sono in parte morti, mi sono salvata grazie ai miei genitori che, non so come, sono riusciti a mostrarmi sempre, senza tante proibizioni, l’aspetto omologante di certi movimenti e dei vari gruppi. Hanno fatto di me un’anticonformista bastiancontraria, così mi sono tirata fuori da tutto. Solo diventando madre ho riscoperto passo dopo passo l’assoluta apertura e intelligenza dei miei genitori, di cultura modesta, anticlericali, comunisti, materialisti però sempre con la luce delle loro menti accesa e illuminante. Grazie Vanessa.

  12. Roberto sani ha detto:

    Che fine ha fatto il mio amico Roberto detto il funghetto con la sua bombetta in testa ?

  13. LORENZO Pallini ha detto:

    grande Vanessa, la storia è praticamente vera e tu sei concretamente molto brava, anche sela gigurdi M: è un pochino monotematica e riduttiva…
    un abbracio da Pallini

  14. Vanessa Roghi ha detto:

    🙂 sarebbe bello avere anche il tuo punto di vista Lorenzo, la mia mail ce l’hai, sta in fondo al racconto

  15. Paul Harbutt ha detto:

    Cara Vanessa,

    Io non scrivo molto benne in Italiano allora scusa se io continuo in Inglesi:- I loved what you wrote, it reminded me of the Italy ‘bruto e bello’ that I discovered when I came to exhibit my work in Rome in 1975.

    I discovered an Italy that opened my heart completely, I fell in love, moved to Toscana, spoke, drank and dreamed of Italy. Passolini, Fellini, Arte Povera, pasta con i fiori di zucchini, il mare, la campagna, i contadinin, the PC and Enrico Berlinguer, Giotto in Padova, but mostly the people. Warm wonderful and full of contradictions.
    It coincided with my youthful dream that every thing could be possible in this wonderful place called Italy. It is one great rich, and complex poem, that I have kept reading, always each time to discover something new.

    Eroina is just one part of it’s Archilles heal that I knew from friends that wandered down that street. Some returned, others just became lost, people that I rarely have thought about again until I read what you wrote. It filled me with so many poetic, and melancholic memories of a time and place that has long past. Of a time in Italy that all those years ago filled me with passion, and a deep love of life, that I now realise that I have cherished and that has nourished me for all these.

    Your bitter-sweet and melancholic essay just opened some doors for me and transported me back to that time, and for that I thank you for your delightful work.

  16. Bruno Cavallaro ha detto:

    mi ci sono ritrovato, gli stessi libri, la stessa moralità imperante, la città noiosa e bigotta (la mia Grosseto si chiamava Gallarate), il giornale locale che titolava “i drogati della politica” nei confronti del popolo della piazza, da Lotta Continua a tutti i gruppi fino ai “cani sciolti”, l’arrivo dell’eroina, la musica …

  17. Anna segre ha detto:

    Ancora! Vorrei leggerne ancora. Cosa significò l’eroina, come venne strumentalizzata dalle istituzioni, come fu il mezzo per far naufragare il cambiamento. Scritto bellissimo.

  18. marco miglianti ha detto:

    grazie di questo racconto e di questa condivisione

  19. claudio ascari ha detto:

    Anche io lessi avidamente Blumir, prima ancora del mio primo viaggio all’Eden ( 10 mesi tra Turchia/Afghanistan/Pakistan/India e Nepal, tornando via mare e circumnavigando l’Africa ….. e poi conobbi Madeddu e il C.A.D a Milano.

    Quando ancora non si parlava di metadone …. ( e un libro che leggevamo era anche ” Il triangolo d’oro ” sul percorso dell’eroina dal Laos/Birmania e Thailandia ).
    A Milano l’anno di confine fu il 1971 ….. poi dal ’73 in avanti scivolammo in tanti nel buio baratro di quella che io chiamo ” la maledizione della dipendenza ” e tutti i nostri sogni s’infransero impedendoci di vivere la nostra gioventù positivamente, come tanti invece e cmq riuscirono a fare, pur nella condivisione dell’esperienza politica di quegli anni ricchi, rivoluzionari e folli, tanto, tanto folli.
    Ringrazio anche io per questo racconto bellissimo e denso di malinconia e dolcezza ….

  20. Simonetta ha detto:

    Interessante punto di vista,
    Interessante lo spaccato che si vuole raccontare,
    Tuttavia , si poteva andare ancora più in profondità sull’argomento droga e socialità.

  21. Agathe ha detto:

    Io ho 30 anni e la droga è un mondo a me sconosciuto, ma capisco bene cosa significhi l’istinto adolescenziale di tacere di qualcosa che non si può (o “dovrebbe”?) dire riguardo a un genitore che esula dalla “norma”. Sono fermamente convinta che sia fondamentale dare voce a molto di quanto non si parla, che si tace solo perché assuefatti a facce “usate dal buon senso”.
    Oltre ai tossicodipendenti ci sono anche altre presenze della società che vengono emarginate, perché troppo sgradevoli nel discorso edulcorante che la nostra società ci mette sul tavolo, ed è un gran bene che ci siano interventi come il tuo. Grazie.

  22. Ponce de Leon ha detto:

    un po’ drammatico vedere ancora, nel 2017, gente che scrive “droga” mostrando quindi di non aver piena presa sulla differenza strutturale dell’eroina rispetto alle altre sostanze (anche rispetto alle altre “pesanti”)

  23. Ponce de Leon ha detto:

    ottimo articolo

  24. Ponce de Leon ha detto:

    Indispensabile citare l’Operazione Bluemoon: http://www.umanitanova.org/2016/02/28/operazione-bluemoon/

  25. Massimo Gori ha detto:

    Cara Vanessa ho sentito il tuo intervento a rairadio3 e ne sono rimasto molto colpito.
    Ancora di più leggendo il tuo articolo.
    Io ho 59 anni e sono un extossico di quegli anni che per fortuna si è salvato dall’uso di Eroina.
    Mi ritrovo in quello che racconti, i libri la musica i capelloni i movimenti politici erano il mondo
    a cui appartenevo. Tutto rappresentava per me la possibilità di essere contro il perbenismo
    che c’èra intorno ( la mia città era Pistoia,anzi una frazione Quarrata).
    Ma tutto è successo velocemente e senza rendermene conto dall’impegno politico mi sono ritrovato
    a farmi le pere.
    Dico senza rendermene conto ma ricordo benissimo quando è iniziato e come poi ho continuato.
    Era nell’aria e anche l’uso di eroina rappresentava un modo di essere contro.
    I miei miti erano Jim morrison ,Lou reed (eroin is my wife ecc) i libri erano quelli di William Burroghs
    insomma tutto era un modo per essere un non allineato alla morale comune.
    E poi l’eroina era buona tutti i dolori fisici e sopratutto mentali sparivano per un pò e li per li
    si stava bene( “pago fior di dollari ai dottori per far scomparire i dolori della mia ulcera,mi faccio una pera e in un attimo tutto scompare” Charlie Parker .
    Cosi mi sono ritrovato a farmi con tutti i generi di persone; compagni, fascisti, mezzi banditi o semplicemente chi ” dalle marloboro era passato all’eroina”.
    Erano quegli anni li ,il passaggio dagli anni 70 agli anni 80.
    Tantissima confusione in testa per me.
    E per questo che sentire parlare di quegli anni mi aiuta un pò a capire meglio cosa mi è successo
    a me e a quelli vicino a me.
    E strano quindi che uno come Nanni Balestrini che Ha scritto dei bellisimi e lucidissimi libri sul quel periodo non ti abbia aiutato, Bah affari sua personali ma me ne dispiaccio.
    In ogni caso ora sono qui a 59 anni con due figli e non sono più tanto contro il sistema sociale
    di cui faccio parte e sopratutto non riesco a raccontare ai miei figli della mia esperienza.
    Ne ho paura e timore no vergogna.
    Grazie del tuo lavoro e conplimenti sopratutto.
    W Nike Drake

  26. zanna ha detto:

    delicata e feroce. splendida lettura

  27. Marco ha detto:

    Ho pianto! Grazie

  28. Vanessa Roghi ha detto:

    continuo allora e se vi va raccontatemi

  29. nicola castellini ha detto:

    ho cominciato a scrivere un racconto a tema e lo ho inviato a vanessa. mi piace molto.

  30. Simone ha detto:

    “vergogna è condannare, vergogna è giudicare, vergogna è comandare”
    (Luciano Bianciardi)

  31. andrea ha detto:

    e’ un po’ la mia storia quella di tuo padre,io l’ho vissuta a udine,in diretta,con relative conseguenze,conto tra quelli che ho conosciuto,e che se ne sono andati,una ventina di persone tra il 76 e il 90,io dopo tre anni di una vita cosi’ ho fatto una scelta,sono andato all’estero,e dopo sei mesi di malesseri,mi sono trasformato,in pratica tra agopuntura,come Clapton..e dieta liquida unita a psicoterapia,a Trieste,con un certo Callegari,al posto delle Fragole,dove Basaglia,teneva il suo Marco Cavallo e un paio d’anni di sedativi,compensando,mi sono allontanato dalla sostanza,mi sono poi laureato a Padova e ho avuto una figlia,che posso dire..?? il racconto e’ straordinario,quasi autobiografia da parte di una figlia che ha visto e vissuto il gioco di queste tribu’ dell’assenso/consenso,l’eroina…non si dimentica,ci pensi anche dopo quarant’anni,ma una cosa sai dentro di te,non barattare il passato per il presente,ormai ho messo una distanza di circa 35 anni tra me e quell’esperienza,ecco posso dire che se superi i trent’anni difficilmente poi ritorni sui tuoi passi,ma non ci metto la mano sul fuoco,ecco,per scaramanzia..ecco posso dire che mi ha salvato,un po’ il carattere un po’ l’idiosincrasia verso le tribu’,da subito ho capito che non ci avevo piu’ nulla da condividere,eppoi una figlia,mi ha fatto capire che dovevo infilarmi in un percorso personale di creazione,occorre dire che tutti i tossici sono in parte dei creativi,hanno una forza nel cercare la sostanza,una caparbieta’ che se mettessero la stessa forza nell’arte,nel lavoro,nella creativita’ sarebbe questa una storia diversa…ti racconto una storia che mi riguarda,verso la meta’ degli 80,passai da Zurigo,Platz Spitz,dietro la stazione..un posto che definire “la Pazzia” e’ un eufemismo

  32. massimo ha detto:

    La storia pur se un po’ triste si legge volentieri…certo per un 53enne come il sottoscritto veronese d’adozione, questa è quasi una storia edulcorata..Verona a fine anni ’70-primi anni ’80 è stata credo una delle città più colpite in Italia, infatti era chiamata la Bankok d’Italia…io ho vissuto quegli anni molto intensi vedendo rovinarsi e morire centinaia di ragazzi del mio quartiere e della mia città. Non è un ricordo piacevole…di trovavano siringhe usate e gettate ovunque! I tossici si bucavano di giorno in centro città, come fosse l’estrema periferia..ripeto ho perso troppi amici per avere dei bei ricordi di quei tempi che sembrano lontanissimi.

  33. Domenico ha detto:

    Brava Vanessa, bravissima davvero.
    C’è un gran bisogno di raccontare quel mondo lontano, di capire a distanza tanto tempo cosa è successo e perché. Qualcuno ha provato a farlo, ma una vera narrazione di quel tempo ancora non c’è. Tu lo fai da un punto di vista particolare, non una protagonista, ma una testimone poco più che bambina, straordinario, ti consiglio di continuare. Magari se riesco un giorno ti scrivo i miei ricordi, un po’ della mia storia.
    Grazie.

  34. Alberto Vitalucci ha detto:

    Chapeau!
    Gran bel modo di raccontare.

  35. Bob Accio ha detto:

    Trovo interessante e per certi versi autentica questa ricostruzione storica dal punto di vista di una bambina che poi diventa adulta e si rende conto di come la società faccia pena, nel senso che protegge solo i propri interessi senza curarsi della genesi dei fenomeni che implicano tutti, dove non esistono né vinti né vincitori. La droga è certamente un fattore culturale, soprattutto perché, come il frigorifero e la tv, è entrata di prepotenza nelle famiglie, nelle piazze, nei bar; ma la cultura deve però spiegare bene i fenomeni che vivono attorno a noi e qui si è sulla bona strada.

  36. Bruno Panebarco ha detto:

    Ho tentennato un po’ prima di scrivere questo contributo ma i n fondo non faccio che accogliere l’appello di Vanessa: queste note sono un sasso nello stagno, sperando che smuovano onde concentriche riportando indietro a me, come foglie, altre storie e memorie. Io (Purtroppo?), un tantino esperto sull’argomento, mi sento. Io che quindici anni di tossicodipendenza me li sono sparati tutti, più o meno in quel periodo (1974-1989) e ci ho scritto un romanzo che li racconta tutti, per filo e per segno, a partire dall’epopea Hippye, della sperimentazione delle droghe psichedeliche, dei grandi raduni e dei concerti, e poi via via con il dilagare dell’eroina, le carcerazioni, le morti per overdose e lo strapotere del metadone, fino all’ingresso in comunità e al ritorno a una “vita normale”. Il romanzo si chiama “Fedeli alla roba”, Edizioni Il Foglio di Piombino.
    Scriverlo è stata una necessità, come buttarmi alle spalle quel periodo per ricominciare a vivere ma anche il tentativo di raccontare come andarono realmente le cose, di fare luce su un argomento che rimane tuttora un tabù, e per questo motivo il romanzo è sempre stato osteggiato, per non dire censurato dai media, già a partire dalla sua pubblicazione, che non a caso, è stata per Stampa Alternativa (2004) e nonostante ciò e grazie al passaparola, ha sempre suscitato un interesse transgenerazionale, che non tende a scemare. Un saluto a tutti, Bruno Panebarco

  37. Alice ha detto:

    Bellissimo, grazie. Necessario, anche

  38. Taoagi ha detto:

    INTORNO AL DRAGO
    LA DROGA E IL SUO SPETTACOLO SOCIALE

    LIBERARSI

    Il Drago è stato evocato, risvegliato dal sonno del mito, lo si è fatto aggirare tra i gas delle metropoli affinché fiammeggianti potessero stagliarsi le immagini dei nuovi San Giorgio rilucenti d’armi e di parole.
Il Drago di oggi si chiama Droga. Ma ovviamente, trattandosi di professionisti della menzogna, nessuno dice la verità: né i pretesi San Giorgio, né i molti untorelli, né gli specialisti d’ogni specialismo, né i terapeuti interessati, né i preti voraci d’anime, né i “liberals” illuminati dalla vanità, né, certo, i poliziotti, i giudici, gli avvocati, i giornalisti. Né i mafiosi e gli spacciatori. Nessuno dice: in verità siamo tutti amici del Drago, l’abbiamo costruito, imposto, prodotto e riprodotto, sceneggiato, è la merce per eccellenza, quella che tutte le contiene e le spiega, spiegandone i perversi meccanismi.
Nessuno dice: abbiamo gonfiato e arricchito le mafie perché Stato e Mafia devono vivere in simbiosi mutualistica, devono presupporsi ed alimentarsi a vicenda, rappresentarsi come Società, la Seconda Natura, per la maggior gloria del Dio-Capitale, della sua Merce, del suo Spettacolo.
Liberarsi dalla subordinazione alla droga, compresa quella ideologica e produttivistica, significa liberarsi dalla società mercantil-spettacolare. Liberarsi dalle Mafie è liberarsi dallo Stato. 
I Draghi e i San Giorgio stanno dalla stessa parte. Già solo questa ragione, e mille di più ne esistono, basterebbe per scegliere di stare dalla parte opposta: quella della liberazione.

  39. Fabrizio Rasori ha detto:

    Cara Vanessa,
    Uno sguardo bambino che illumina il passato e i giorni di quelle generazioni a cavallo tra gli anni settanta e ottanta che hanno illuminato i propri anni migliori bruciando veloci come cerini al vento. Cerco spesso nella memoria tutti quelli che non ci sono più, le loro risate, i sogni ribelli dell’adolescenza, la disperata solitudine. Ormai però abitano solo nel ricordo, perché quelle generazioni sono scomparse, rimosse dalla memoria personale e collettiva. Non ci sono, non ci sono più al punto che spesso mi domando se siano mai esistite, se è poi vero che anch’io sono stato giovane e intorno a me c’era un mondo giovane come me, che veramente voleva cambiare il mondo e reagire a ciò che non andava. Vorrei parlare con loro, scusarmi per essere stato sempre troppo intelligente o troppo pavido e essermi fermato sempre prima che fosse troppo tardi. Parlarne, discuterne, litigare, oggi che ne sarei capace. Ma niente. Non c’è più nessuno. La scomparsa è totale. Non mi stupisce affatto che tu non abbia trovato supporto nella tua ricerca. Ma tu non ti fermare. Parlare, elaborare il passato è ricostruire la memoria e andare oltre. Un abbraccio.

  40. paolo catocci ha detto:

    io c’ero

  41. Yakko ha detto:

    ho letto con avidità.
    ho un percorso da “bambagia” (figlio unico di genitori distanti totalmente dalle droghe) da cui ho attinto la ferma intenzione di non avere dipendenze.
    E un racconto come questo mi consente uno sguardo su un ambiente che chissà quanto vicino potrei avere avuto senza saperlo, senza immaginarlo.

    grazie per la condivisione. posso solo immaginare cosa abbia comportato mettere per iscritto.
    ora però, da innamorato delle storie, vorrei andare avanti, come la favola della Comune. perché questa storia è raccontata davvero molto bene.

    spero ci sia presto una seconda puntata!

  42. pessimes ha detto:

    Bello e importante. Parlare di questa storia, di quei tempi credo sia fondamentale per tutti noi, per quelli che ci sono passati in mezzo, qualsiasi scelta abbiano fatto, perchè da lì siamo comunque passati, da quelle atmosfere, perchè comunque tutti abbiamo conosciuto gente che si faceva, siamo stati con loro, sono stati nostri amici e alcuni li abbiamo visti morire o semplicemente sparire, non se ne è parlato più e magari eravamo troppo giovani o troppo stupidi per capire quello che stava succedendo. Ho passato molti settembre a Grosseto, per via di amicizie, e a Vetulonia, anche e anche lì girava tantissimo roba, e quindi capisco benissimo, sento benissimo quello di cui si parla in queste pagine. Ripeto, quello che siamo adesso, l’origine di quello che siamo, di quello che sentiamo, della nostra vita è lì, in quegli anni, in quel mondo che nessuno ci ha mai raccontato sul serio, anzi: che non siamo mai riusciti a raccontare con la nostra voce e con il nostro sguardo. Quindi ben vengano storie così. Courage e buonissime cose.

  43. irene Giacobbe ha detto:

    Cara Vanessa,
    un testo che emoziona, e richiama alla mente il ricordo di grandi paure…nel 1979 mia figlia aveva 12 anni e intorno alla sua scuola , a Roma, molti ragazzi iniziavano a “farsi”.
    Il figlio unico di cari amici lo abbiamo perso così… Mia figlia ha abbandonato il gruppo di amici di vecchia data che avevano scelto di “provare”. Sono stata fortunata , siamo state forti . un grande abbraccio anche a Filippo, Alice e la più piccola , Anita
    Con stima
    Irene Giacobbe

  44. Carolina ha detto:

    Bravissima. Tema inesplorato e approccio vincente. Questo è fare storia. Brava.

  45. beppe s. ha detto:

    Grazie Vanessa di averlo scritto, il progetto di “storia”è bellissimo, c’è così tanto da dire. Mi piacerebbe avere l’occasione di parlarne insieme. Beppe Sebaste

  46. Vanessa ha detto:

    io sto finendo di scrivere il libro non ho tutte le mail delle persone che hanno commentato mi piacerebbe fare un collage dei vostri commenti, anche anonimo, posso?

  47. pessimes ha detto:

    Certamente.

  48. Yakko ha detto:

    Vanessa, nulla osta per me. In bocca al lupo!

  49. marcella1979 ha detto:

    La sua scrittura e’ molto fluida e chiara.
    Descrive quegli anni con molto realismo e da’della comune un tipo di convivenza o forma di aggregazione interessante x una bambina
    Traspare anche l’ amore x i suoi genitori
    Grazie

  50. marcella1979 ha detto:

    Certamente

  51. marcella1979 ha detto:

    Certamente autorizzo che usi il mio commento e se fa una presentazione a Milano mi avverta grazie

  52. Bob Accio ha detto:

    Sì, do il mio assenso. ^_^

  53. Vanessa ha detto:

    grazie a voi intanto 🙂

  54. Barbara Biagioli ha detto:

    Ciao Vanessa , ho sentito molto parlare di te da mia madre, Anna Lia della ‘zi Dina..non so se ti dice qualcosa..tua nonna ( la zia Lella)e mio nonno(Isette) erano fratelli.Mio zio (Umberto) come tuo padre ma tua nonna non l’ha mai raccontato ..per lei proprio non era vero…mi sono commossa nel leggere le tue parole…vorrei anch’io poter raccontare con la stessa dolcezza e lucidita’..sei bravissima(come mi diceva mamma)scrivimi se ti va.Un abbraccio da una bis cugina

  55. db ha detto:

    da storica, giustamente vanessa dissemina il testo di marche temporali.
    ce n’è però una di errata, e la segnalo perché ho visto in rete che a breve uscirà il suo “piccola città”, dove avrà verosimilmente fatto rifluire codesto pezzo, che è uscito originariamente su bianciardi2022 il primo maggio 2017.
    vanessa riferisce di una telefonata buca a balestrini e conclude: “è 30 anni che aspetto” –
    dal che si dovrebbe dedurre che vanessa telefonò a nanni nel 1987, quando lei aveva cioè 15.
    siccome nella telefonata si presenta come storica, con ogni evidenza bisognerebbe correggere i 30 in 20 anni.

  56. db ha detto:

    abbiamo dialogato in rete e riporto qui sotto lo scambio. purtroppo al momento non siamo giunti a una soluzione (che sarebbe importante non per il numero di anni in sé ma per quello che esso sottende e che varrebbe la pena esplicitare). forse un lettore più distaccato la troverebbe più agevolmente:

    Vanessa Roghi: Rileggi bene hai scritto una cosa sbagliata.

    Dario Borso: se me lo dici, mi fai un piacere. non lo so, altrimenti l’avrei scritta giusta.

    Roghi: Il tuo commento è frutto di una lettura sbagliata. Rileggi.

    Borso: fatto. hai messo la mia empatia alla prova, perché il testo di per sé, com’è costruito, non aderisce alla tua intenzione: intendevi dire che hai pensato a tuo padre arrestato 30 anni prima?

    Roghi: No

    Borso. ci riprovo.

    Roghi: Voglio dire che a lui ci sono voluti 30 anni per pensarci.

  57. db ha detto:

    il dialogo con vanessa è continuato su fb ed ha avuto una conclusione. lo riporto per intero, nel’ipotesi che chi ha letto qui sopra si sia quantomeno incuriosito:

    Borso: non ho ancora capito chi è il “lui” cui “ci sono voluti 30 anni per pensarci”: balestrini, tuo padre o chi?

    Roghi: datti pace capirai.

    Borso risposta assurda.

    Roghi: 30 anni ci sono voluti a balestrini e alla sua generazione per pensarci, quindi a che serve risentirci dopo una settimana? visto che nessuno mi ha posto questa tuo dubbio credo di essere stata molto chiara.

    Borso: ci rifletto, e ne trarrò le conseguenze mie personali, anche cliniche. takke!

    Roghi: ok.

    bene, una volta scartata l’opzione vox populi (anzi silentium assensum) di vanessa se non altro perché non credo in dio, ho riletto il brano e riflettuto ei limiti del mio possibile. il brano, per quanto qui concerne, suona:

    inizio a parlarne con gli altri, ma solo all’università, […] e una giovane storica senza immaginazione si domanda se sono matta ad andare a dire in giro che mio padre si è fatto eroina. Perché questa è una cosa che non si racconta. Non è neanche un fatto degno di storia. È una piccola storia ignobile. Telefono a Nanni Balestrini, cerco la forma da dare a questa storia, per non sembrare matta neanche agli stupidi e ai conformisti, per trasformare in storia la vita di una generazione. “Pronto? Buongiorno, mi chiamo Vanessa Roghi, sono una storica, parlo con Nanni Balestrini? […] Vorrei parlare con lei della diffusione dell’eroina nel Movimento […] il suo occhio attento, e le cose che ha scritto, beh mi fanno pensare che magari qualche idea se l’è fatta”. NB: “No, guardi, veramente no”. Io: “Neanche per fare due chiacchiere?” NB: “Risentiamoci magari mi viene in mente qualcosa e le dico”. Io: “Va bene grazie”. Trent’anni per pensarci. Forse, queste note, dovrei intitolarle così. In tanti, infatti, mi rispondono allo stesso modo: “Mah non saprei, non ricordo”.

    le considerazioni che faccio da (ri)lettore:
    – vr all’università prima parla ai compagni e poi con la giovane storica senza soluzione di continuità, e ancora senza soluzione di continuità telefona a nb dichiarandosi storica.
    – siccome in quanto lettore faccio fede all’autrice i.e. non penso vr sia una pinocchia, la telefonata va logicamente collocata a poco dopo la sua laurea, ed essendo lei nata nel 1972, attorno al 1997.

    – il tema su cui vr interroga nb è circoscritto bene: “diffusione dell’eroina nel Movimento”. come giustamente affermato nel prosieguo del post, l’eroina cominciò a diffondersi nel movimento (e a far dunque problema) nel 1977, non un anno prima. quindi 20 anni prima del 1997, anno della telefonata, e non 30, come detto sempre senza soluzione di continuità con la fine della telefonata stessa.
    – e qui che da lettore non ho più capito, poiché 30 anni pria era il 68, dove l’eroina non esisteva, né come sostanza né come problema. conseguentemente ho suggerito a vr di modificare.

    – invece mo, dopo la spiegazione “estorta” a vr su fb, posso dire con certezza non quello che ha scritto, ma quello che intendeva scrivere, e supponeva solo lei: che la telefonata avvenne non nel 1997, ma nel 2007 (30 anni dopo il movimento del 77 appunto), e che dunque tra contatto universitario con la giovane storica e telefonata a nb non passò solo un mese, e neanche solo un anno, ma almeno 10.

    da quanto detto, secondo me vr potrebbe modificare nelle bozze, e poi magari ringraziarmi.

    non sono azzeccagarbugli di professione, anche se ammetto da qui potrebbe sembrare. in realtà m’interesso da esattamente 35 anni dello stesso tema della vr, prima con elvio fachinelli, poi in vari modi fino ad ora appunto (un libro collettivo verrà da me presentato a metà novembre nel prossimo bookcity milanese).

    fachinelli, come noto ( non so se a vr) scrisse sul tema vari articoli che ho raccolto in e.f., “al cuore delle cose. scritti politici” a cura di db, deriveapprodi 2016.

    – nbnon ricorda e propone a vr di risentirsi. vr assente, ma par di capire non richiamò più.

  58. db ha detto:

    l’ultima frase del mio commento qui sopra è avulsa, mentre per assensum leggi assensus, della quarta.

    approfitto per aggiungere che l’anna citata da vanessa è rarissima avis e che un parallelo interessante sarebbe quello tra vanessa, grossetana classe 1972, e parente, grossetano classe 1970, di cui ho scritto qui su minima&moralia http://www.minimaetmoralia.it/wp/argonautiche-apocrife/

  59. db ha detto:

    temo che il dialogo si sia arenato. peccato, perché mi sarebbe piaciuto portare il discorso su un articolo di elvio fachinelli del gennaio 1978 (sull’eroina appunto), che avrebbe potuto ricentrare un passaggio piuttosto strambo del testo qui postato, riguardante anna grossetana che si è fatta per una vita. se la redazione è d’accordo, potrei passarle il testo di fachinelli onde postarlo, e continuare così più liberamente la discussione. quanto a noi due, è finita,, per il momento almeno, così:

    Roghi: non ti sembra di dedicare troppo tempo a questa cosa? comunque grazie ma a me funziona
    così.

    Borso: ecco come funzionerebbe: “… ignobile. Anni dopo telefono a Nanni…”. giusta la tua domanda implicita: come mai dedico tanto tempo a questa cosa? su don milani mi ero diffuso assai con te sui motivi per cui ti proponevo un dialogo; hai rifiutato, come è nel tuo diritto. qui invece sono andato subito sul tuo testo senza proporti di dialogare ovviamente. ma ora che me lo chiedi ti rispondo: sto curando il lascito manoscritto di elvio fachinelli, dove il tema droga all’altezza dei primi anni 80 è centrale. come saprai, nel ’77 elvio e nanni erano sodali, e in quanto tali ebbero anche rogne con la polizia. non ho particolare simpatia per nanni, anzi dopo un paio di articoli che mi pubblicò un lustro fa su alfabeta2 per un motivo occasionale che tralascio mi mandò a dire attraverso cortellessa che con quella rivista avevo chiuso. ora che mi sono spiegato, ti faccio io una domanda più semplice: come mai preferisci dialogare con me qui, quasi di nascosto, piuttosto che su min&mor? io ho sempre inteso il postaggio nei litblog come un’assunzione di responsabilità verso i lettori e più ancora verso i commentatori, e quindi ritenuto un dovere sacrosanto rispondere ad essi. tu mi pare di no, e avrai i tuoi motivi. ti chiedo appunto di dirmeli.

    Roghi: veramente non ho niente di più da dire. Posso non accettare il tuo suggerimento?

    Borso: secondo te? e quale? quello di aggiungere “Anni dopo”, quello di trasferirci nel locus naturalis min&mor, o quello di dialogare in generale?

    Roghi: Al momento tutti.

    Borso: chissà perché ma l’avevo intuito. ma troppo forte è in me il magistero di socrate per mollare un dialogo per quanto renitente esso sia. piuttosto ho meditato in queste ore e ho confrontato il rapporto nostro qui con quello che ho intrattenuto un anno fa con la tua collega del manifesto isabella mattazzi. con lei il rapporto era stato molto più semplice, non avendo io mai scritto a lei né in privato (e-mail o messenger) né in pubblico (sulla sua pagina fb o in rete in generale), né ovviamente mai telefonato o whatsappato e men che meno vista mai di persona. eppure nonostante ciò mi ha bollato su fb come stalker borderline e pur sollecitata via terza persona non ha cancellato l’offesa. ammetti che qui la situazione da un certo punto di vista per me potrebbe farsi assai più grave, non solo perché su fb ti ho scritto parecchio, ma pure su mim&mor, senza contare quache tuo spunto non propriamente benevolo che mi potrebbe far temere il peggio. il mio avvocato e amico, un compagno famoso per aver difeso a suo tempo migranti scappati da un centro di accoglienza salentino e massacrati poi al momento della cattura, oltre ad avermi brillantemente difeso da intellettualoidi di destra, ora sta preparando una querela per diffamazione nei confronti della mattazzi. non penso che questo sia il caso tuo, non penso cioè che tu mi possa malfamare con un’accusa simile a quella della tua collega, ma per togliere ogni dubbio penserei di pubblicare i nostri scambi onde non far pensare che tra me e te ci siano zone oscure. ti chiedo perciò l’autorizzazione di pubblicare questo nostro scambio sull’eroina e quello poco meno recente su don milani, più quanto ci siamo scambiati mesi fa su messanger e per e-mail.

  60. db ha detto:

    La questione di balestrini non è secondaria per due motivi:

    – un consiglio che darei a vanessa è che se una persona da cui ti interessa avere notizie ti risponde ci penso su, non mollare l’osso, ritelefona. magari, essendo la tua telefonata del 2007 riguardo a fatti di 30 prima, quel protagonista davvero non ricorda, ma l’anamnesi funziona (controindicato è solo l’alzheimer).

    – un errore che hai fatto secondo me è stato intervistare la persona sbagliata: balestrini infatti fu latitante in francia dal 7 aprile 1979 al 1988, quando fu assolto. e dopo l’assoluzione tornò molto, ma molto sporadicamente da parigi fino almeno ai primi anni del millenio. last but not least, nanni avrebbe potuto dirti molto sul passaggio dalla militanza politica a quella armata, ma pochissimo sul passaggio dalla militanza politica al buco, anche se fosse rimasto in italia. di questo tema s’interessava appunto il sodale elvio.

    https://www.raiplayradio.it/audio/2017/05/Fahrenheit—Anni-70-di-lotta-e-di-eroina-44f69e63-0009-4744-8b67-d143dde32912.html

    interessante questa intervista di vanessa, che spiega l’aneddoto di anna free-lance dell’ero. qui infatti collega apertamente l’aneddoto al tema della libertà di scelta, ossia al libero arbitrio.

    fachinelli, come ogni psicanalista, non poteva ovviamente essere d’accordo.
    al proposito, come ho detto poco fa a vanessa, se la redazione, se cioè liborio conca e christian raimo ritengono opportuno, potrei postare qui su min&mor un saggetto d fachinelli che tratta lo stesso identico tema di vanessa: la cultura dell’eroina.

  61. Vanessa ha detto:

    grazie dei commenti: allora per quanto riguarda le date è evidente che in quel passaggio la scrittura procede per salti, lo si fa in letteratura, questo libro è un ibrido in certi passaggi non ho rispettato la conta degli anni, lo dichiaro quindi ogni ulteriore notazione su questo punto dovrà tenere in considerazione questo.
    Su Balestrini: nel 1979 l’eroina era già una piaga infinita e il movimento ne era stato tristemente coinvolto, avrei chiamato Primo Moroni ma non c’era più, e nell’orda d’ora la questione dei drogomani è ampiamente affrontata quindi no, non ho sbagliato persona.
    Su Fachinelli, non ho usato le sue cose come quelle di molti anni, non è un libro che pretende di esaurire l’argomento e infatti il sottotitolo è cambiato. In un futuro prossimo tornerò sull’eroina per un saggio più storiografico e lì cercherò di essere più esaustiva. Infine: questo modo di collare domande e risposte saltando quelle non gradite è buffo.

  62. db ha detto:

    vanessa, parto dalla coda, dove normalmente c’è il veleno. e infatti
    *Infine: questo modo di collare domande e risposte saltando quelle non gradite è buffo.*

    obietto subito: “buffo” è un termine inappropriato, da sostituire con l’appropriato “disonesto”.
    siccome sono uno storico (del passato, remoto e prossimo), più appropriato sarebbe “doppiamente disonesto”, i.e. in quanto persona e in quanto professionista.

    devi semplicemente esemplificare con un paio di esempi, o almeno uno, dove io ho avuto la disonestà di “collare domande e risposte saltando quelle non gradite”. dico “devi”: non è la richiesta di un favore, bensì un ordine.

    adesso torno in testa: la miscela letteratura-storia è alla saviano? takke, i would prefer not to.

    su balestrini. devi metterti d’accordo con te stessa: l’eroina diventa un problema socio-politico nell’inverno 1977-78, ma solo per chi ha naso (naso) e intuito: fachinelli ad es.: nell’agenda politica del movimento non era certo ai primi posti. diventerà dilagante a cavallo dei 70 e 80, fino a incrociare l’aids.
    balestrini fugge il 7 aprile 1979, vedi un po’ te se è il caso di colpevolizzare un compagno (perché è questo che tu fai con la tua letteratura) perché 30 anni dopo, di cui i primi 20 passati in francia e gli ultimi 10 in italia, dove non c’era più il problema ossia la connessione tra eroina e compagni, non si ricorda e propone di risentirsi.
    il tuo, si parva licet, mi sembra un sistemino analogo a quello con cui saviano ha costruito gomorra: sono solo, tremendamente solo contro tutti, forze dell’ordine e magistrati compresi (salvo oi costruire il romanzo storico sui dati dei processi più qualche balla gratuita).

    “l’orda d’oro” ne parla sì dell’eroina, ma non ti sei accorta che è un’opera collettiva, in ci ci si spartì i settori d’indagine?

    primo moroni certo, morto purtroppo 20 anni fa, ed elvio fachinelli, morto 28 anni fa. resta però quello che hanno scritto, e lo storico si arrangia con quel che c’è.

    ovviamente hai ragione che il post qui sopra non pretende di affrontare il problema nel suo insieme (anche se le citazioni da blumir ecc. danno l’impressione opposta), e spero che nel libro tuo che sta per uscire, “piccola città”, laterza, tu allarghi il diaframma.
    a occhio, dalla sicumera con cui parli qui e su fb, temo di no. ma sono uno storico, e quindi via i pre-giudizi: lo leggerò senz’altro.

    anna che si fa per una vita senza problemi. la poni come chiave della tua interpretazione, quindi andrebbe indagata meglio la sua figura.
    ad es., quando si affronta il tema dell’eroina, una domanda preliminare va fatta: sniffo o buco?

    anna per te è l’emblema della libera scelta.
    il tuo discorso è perfettamente aalogo a quello che certi fanno riguardo alla prostituzione: la prostituzione è una libera scelta – peccato che così si esclude dal ragionamento (e dalle sue valenze politiche) il 90% delle prostitute, a cominciare dalle nigeriane.

    in una parola (senza o con offesa): il tuo è un discorso da sinistra bramina, elitario e potente (per l’elevato grado di cultura, da cui iscende ad es. l’accesso ai mezzi di comunicazione,), che però mai arriva al popolo (il popolo dei tossicomani, delle prostitute, dei disoccupati, dei pensionati minimi ecc., mentre becca a piene mani tra i gay ad es., e neanche tutti, perché perfino lì la maggioranza è di dx).

    http://piketty.pse.ens.fr/files/Piketty2018.pdf

  63. db ha detto:

    nihil novi.
    quando ho detto a vanessa che deve esibire un paio di esempi della mia buffa disonestà, era un imperativo, e in più, aggiungo adesso, con implicita una conseguenza logica: devi, e se non lo fai, automaticamente ti metti dalla parte del torto, ossia diventi una buffa bugiarda, i.e. una pinocchia. quindi allo stato attuale, la non risposta di vanessa equivale a un autogol se non a un autodafé (eventuali scuse tipo non ho visto l’ultimo commento, non ho tempo per copincollare ecc. sarebbero solo delle aggravanti).
    tornaldo al post e alla cultura dell’eroina anni 80, essa rivelava da un lato una particolare trasgressività nei confronti della cultura dei padri e dall’altro una impostazione o attesa di tipo rudimentalmente estatico perseguita attraverso un’azione chimica sul corpo. la trasgressività si colorava volta a volta di una serie di atteggiamenti quali clandestinità, rischiosità, unicità (oppure essere tra noi) essere da parte e anche (ma solo in modo sfumato) essere contro. riassumere questa ambivalenza sotto la rubrica “libertà di scelta” come fa vanessa mi sembra dir poco superficiale.

  64. Vanessa ha detto:

    no no tranquillo avevo letto ma non rispondo a chi insulta, se vuoi continuare fai pure, buona notte

  65. db ha detto:

    c.d.d. o c.v.d. come dovevasi e/o volevasi dimostrare.

    dicevo infatti: “eventuali scuse tipo non ho visto l’ultimo commento, non ho tempo per copincollare ecc. sarebbero solo delle aggravanti”, e nell’ecc. ci sta il “non rispondo a chi mi insulta”, che è un’aggravante in senso specifico.
    se infatti non fosse pinocchia, vanessa avrebbe velocemente copincollato un paio di esempi in cui io disonestamente avrei omesso parti del nostro dialogo distorcendo la verità dei fatti, e subito dopo chiuso degnamente con quella frase + “buona notte”.
    così invece dimostra solo di essere una pinocchia recidiva – eccola l’aggravante.

    grave resta invece il suo discorso sull’eroina puntellato dalla figura di anna free-lance e del padre compagno.
    come già detto, l’atteggiamento di ribellione e attesa porta molti a pensare che esista nelle sostanze chimiche una forza di trascinamento, per cui rapidamentei si arriva al termine ultimo della ricerca, l’eroina, con la quale sembra realizzarsi il raggiungimento di uno stato di unità, completezza, fusione senza tempo.
    questo fantasma tende a ricreare le condizioni di un rapporto totale con il corpo della madre o giù di lì. la sua conclusione è il legame strettissimo con qualcosa che giorno dopo giorno divora chi cercava nutrimento.
    è un cerchio per tutti fondamentalmente uguale, mentre a seconda delle situazioni economiche e culturali, che restano comunque secondarie, avremo il tossico che non fa del male a nessuno perché attinge al suo patrimonio economico eculturale appunto, e il tossico che si mette a rubare perché è senza.

  66. db ha detto:

    una cosa che penso possa interessare storici in erba del presente o del passato prossimo.

    la testimonianza viva è molto importante, ma proprio perciò è sconsigliabile attingerla per telefono. meglio un dialogo de visu, ma molto meglio la testimonianza scritta, ora per e-mail. per due motivi convergenti: che il testimone ha tempo di riflettere, verificare e ponderaare, e lo storico si trova in mano non un flatus bensì un opus.

    io ho sempre fatto così, e non mi sono mai pentito, anzie, nemmeno quando le risposte erano per me insoddisfacenti. riporto un solo esempio ad hoc, da cui tra l’altro si deduce che talvolta posso cambiare idea, non in quanto banderuola bensì in quanto ricercatore:

    14/08/17 11:29. DB: Salve, sono il curatore degli scritti politici di Elvio Fachinelli (DeriveApprodi 2016): mi ha colpito ma non sorpreso il mutismo di Balestrini nei suoi confronti, mentre contemporaneamente Elvio, (pur) amico di Nanni, lavorava con i ragazzi eroinomani. Grazie per l’articolo, che ho letto su Minima&Moralia.
    14/08/17 14:56. VR: Ciao Dario, grazie per questa mail. Adesso sto finendo un libro su lettera a una professoressa e Fachinelli c’è 🙂 Senti ti va di fare due chiacchiere? anche a fine mese.
    14/08/17 15:02. DB: Certo!

    dopodiché non l’ho sentita più, ovvero in milanese https://www.bing.com/videos/search?q=andava+a+rogoredo+jannacci&view=detail&mid=201FA5DDC324F30925DC201FA5DDC324F30925DC&FORM=VIRE

  67. db ha detto:

    continuo sui consigli non richiesti agli storici in erba, sempre campionando sullo scambio mio con vanessa riportato qui sopra. su cui si possono fare i seguenti rilievi:

    – la mia prima e-mail, oltre ai complimenti per l’articolo, conteneva una segnalazione/consiglio, di leggere il libro di fachinelli da me curato (“al cuore delle cose”, deriveapprodi 2016) in quanto contenente cose interessanti sul tema eroina.
    – non chiedevo cioè niente, e il mio indirzzo e-mail dichiarava di per sé che ero un docente universitario.
    – vanessa nella sua risposta mi chiede invece un incontro de visu, a cui rispondo affermativamente.
    – il fatto che vanessa fosse poi scomparsa l’avevo attribuito al fatto che vanessa avesse comprato/letto su mia indicazione il libro e si fosse accontentata di quanto c’era scritto – non incontrarci significava cioè non perdere tempo e non farlo perdere a me.

    è con mia sorpresa avere dunque constatato nello scambio fb con vanessa dei giorni scorsi che lei il libro non l’ha ancora letto e che lo ha ordinato solo ora, dopo cioè avere congedato le bozze del suo “piccola città” che uscirà a giorni per laterza.
    ho detto qui sopra che leggerò il suo libro senza pregiudizio, ma la mia speranza che abbia modificato sostanzialmente il post suo sotto cui sto scrivendo, si è affievolita assai. vorrà dire che lo leggerò sì senza pregiudizio, ma solo dopo averlo scorso in libreria ossia prima di comprarlo.

    cercando per scrupolo sulla pagina fb di vanessa il punto in cui lei dichiarava di averlo appena ordinato i.e. non ancora letto, non ho più trovato il post dell’11 settembre sotto cui era avvenuto il nostro dialogo. fortunatamente, quando a conclusione del dialogo mi tolse dagli amici, copincollai il dialogo a baghettopoli, per cui ho potuto rileggerlo e ora lo linko qui

    https://www.facebook.com/groups/599688103398013/permalink/2175212805845527/

    infine: nei commenti qui sopra ho segnalato due volte alla redazione la mia disponibilità, previo beneplacito dell’erede, a postare su min&mor un inedito di fachinelli sull’eroina.
    siccome non c’è 2 senza 3, lo trifaccio ora, specificando che si tratta di uno scambio tra fachinelli e eco, sull’eroina appunto.

  68. db ha detto:

    come riportato sopra, il mio scambio e-mail risale a 15 mesi fa, e si era subito bloccato su una richiesta sua d’incontrarmi che io avevo accettato.

    scomparsa, non ci pensai più, fino a quando lessi tre mesi fa qui su min&mor un articolo suo sulla tragedia di Marcinelle (basta googlare per trovarlo): come già un anno prima, sarà l’età (sono coetaneo di suo padre, e penso perciò di aver studiato di più), l’11 agosto scorso in un commento sotto il suo articolo le ho consigliato un romanzo di raul rossetti, “schiena di vetro”,einaudi e baldinicastoldi ed., minatore vicentino in belgio grande amico di goffredo parise che di lu parla molto nel suo romanzo d’esordio, l’inimitabile “il ragazzo morto e le comete”.

    vanessa mi risponde che non l’ha letto, e lì mi ricordo dello scambio e-mail e di come qualmente in esso vanessa mi comunicava di star scrivendo un libro su don milani.

    che faccio? il giorno dopo le chiedo l’amicizia su fb, vanessa me la da e io le scrivo su messenger:

    12 agosto 14:08:49. ciao Vanessa, ci siamo incrociati una volta, non su fb. ti racconto una cosa importante e strana per me: due anni fa sono stato a barbiana e per la prima volta ho visto il cimitero. ho fatto una foto col cell., poi a casa a milano mia moglie l’ha vista, ha notato che il giorno in cui l’ho scattata è il compleanno di don milani. la foto era della lapide.

    vanessa non mi risponde, e del resto non ce n’era bisogno non avendole io chiesto nulla.

    invece venti giorni fa sotto un suo post dedicato a lettera a una professoressa le chiedo se è disposta a dialogare con me su don milani, e come risposta ricevo un silenzio prolungato molto simile a un muso. valle a capire le donne!

    grazie agli scambli fb sempre meno amichevoli, vanessa mi ha infine scritto su messenger, dopo che io avevo pensato che mi avesse bannato: “Ti ho solo tolto dagli amici. Così per chiarezza. Il libro non è l’articolo è molto diverso anche questo per chiarire”.

    quindi, per tornare dal particulare al generale: “piccola città”, in uscita per laterza, è molto diverso dal post qui sopra. vedrò se almeno qui vanessa dice la verità.

  69. db ha detto:

    ho concordato con christian raimo di pubblicare qui su m&m uno scambio inedito fachinelli-eco del 1988 sull’eroina. spero proseguirà lì il dibattito.

    a prop. deella poesia in calce a questo post: sono stato uno degli ultimi a conversare con franco fortini, non credo l’ultimo ma sicuramente il più estraneo, in quanto pur seguendolo da sempre non avevo mai avuto prima un contatto personale con lui.
    christian, se mi leggi, potrei raccontare su/per m&m di quell’incontro, che ebbe due soli, vasti temi: kierkegaard e cacciari. attendo tuo riscontro.

  70. db ha detto:

    sono in moderazione sui commenti del mio post fachinelli-ecoeroina ormai da un giorno.
    penso sia un inghippo tecnico, e riposto il mio commento sotto questo post, di egual tema.

    https://www.leftwing.it/2018/10/26/il-non-detto-dei-casi-desiree-e-pamela/?fbclid=IwAR1MN96MLVfdj3mA_A3KJ-M13zmTonaFI4Is_J1d6OQv82cl-8qKRHFQSvg
    articolo sul non detto che tradisce non detto, facendo di ogni erba (letter.) un fascio (leter.).

    la nigeria è attiva da oltre un quarto di secolo nella trafila dell’ero dall’afghanistan all’italia.
    https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1994/04/06/nuovi-signori-del-pianeta-droga.html

    gli stessi genitori della nostra pesista colpita da un uovo pd erano una dozzina d’anni fa membri attivi del clan più violento tra quelli nigeriani.

    la prima cosa su cui attivarsi, seriamente, penso sia questa:
    https://www.gruppoabele.org/wp-content/uploads/2018/06/man20_grosso_droghe-aver-salva-la-vita-e-un-diritto-essenziale.pdf

  71. Zach Sodenstern ha detto:

    Al di là del testo, che ha indubbiamente i suoi pregi letterari, poetici, memorialistici, non credo che sia possibile tracciare una storia “culturale”, “sociologica” o generale dell’eroina in Italia senza parlare dell’Operazione Blue Moon, che qui appare in un solo commento totalmente ignorato dagli utenti.
    Lo stesso impaccio è seguito al’inchiesta fatta da Gianni Minoli sulla televisione nazionale (non un giornalista qualunque) e a cui, sulla stampa e in rete, è seguito un fragoroso silenzio.

    Si tratta, per chi ne ha qualche familiarità, di una manovra forse anche peggiore della strategia della tensione, e che del resto proprio Blumir aveva già delineato fin dagli anni ’70 in vari studi e che compare incidentalmente anche nella “Storia di Antonio e Filomena” che si può trovare in rete.
    La mancanza d’informazione sulle sostanze psicoattive fece il resto, e l’eroina da insidia si fece flagello. Non erano certo i tempi di oggi, quelli delle “politossicomanie edonistiche” (come le ha definite bene Günter Amendt) di persone che, finché non esagerano, vivono la loro vita in compagnie delle droghe senza nessuna emarginazione né disfunzione sociale; mentre l’industria farmacologica intercetta questo bisogno con criteri di mercato. Questo senza contare l’avvento della depenalizzazione e legalizzazione della cannabis ormai su scala planetaria, con criterio industriale, e in luoghi impensabili (la California, patria del fitness e delle diete, il posto forse più salutista del mondo).

    Il resto sono appunto casi personali, come questo –come disse lo studente barbuto fuoricorso al povero Lulù Massa che aveva perso il posto in fabbrica– seppur evocati in modo profondo, sentito e poetico.

    Curioso -e lo dico senza polemica- che mezzo secolo dopo la generazione del politico vs. personale si invertano i fattori per fare della storiografia, che è, al più, letteratura e memorialistica.

  72. Vanessa Roghi ha detto:

    se volesse ripostare questo commento senza usare un nome falso potremmo discuterne, buona serata

  73. Zach Sodenstern ha detto:

    Vedo che tuttavia i “nomi falsi” (come lei bolla nomi di battesimo, pseudonimi e nicknames che affollano i millemillanta commenti sopra il mio, tutte cose normalissime da quando esiste la rete) non le danno nessun fastidio quando le fanno dei complimenti sperticati–un’altra dicotomia interessante.

    “Fermo lì!, giovanotto! Documenti. E adesso venga con me, e svuoti le tasche”.

    Evidentemente devo aver toccato un nervo scoperto. E per una volta si sforzi di essere un po’ più sciolta e meno passivo-aggressiva, specialmente se le si riconoscono dei meriti, che di certo non le sta parlando un Bot. Buona serata a lei.

  74. Vanessa Roghi ha detto:

    mi inquieta la scelta del nome: comunque il libro non si intitola più storia sociale o culturale perché mi sono resa conto che non volevo affrontare tutto quello che comportava questo tipo di scelta. Di bluemoon parlo. Buona giornata.

  75. DAVIDE ha detto:

    Buongiorno
    volevo chiedere quando uscirà il libro, se è già uscito, e il titolo preciso. L’argomento mi interessa molto. Ho 41 anni e vengo da un piccolo paesino dell’oltrepò pavese. Campagne, colline, filari di vite infiniti, vendemmia. Un microcosmo che ruotava (e ruota ancora) intorno alla produzione di vino . Un paradiso, sembrerebbe. No,invece non lo era, anzi, praticamente tutta la generazione prima della mia (quindi i nati a fine 60) sembrava si bucasse. I GRANDI, li chiamavamo noi ragazzini. Negli anni 80 ero un bambino che diventava ragazzo e ricordo che sempre più spesso, nel paese di 200 anime o poco più, dove tutti si conoscevano, ma proprio tutti, si iniziavano ad intravedere siringhe, ragazzi trasandati che venivano additati come “sbandati”. Sempre più figli di contadini si bucavano , ricordo la mia maestra di inglese, una giovane bella ragazza, fu il mio primo contatto con l’HIV. Mori nei primi 90. I “sopravvissuti” ,poi, sono morti a uno a uno praticamente tutti,per problemi di fegato, generalmente…più passava il tempo più avevano i visi scheletrici. Le minuscole discoteche della zona ,buie, fumose, erano i posti dove scambiarsi la roba, Milano era a 40 km ma sembrava lontanissima, nonostante ciò la roba c’era, ovunque, anche nel piccolo paradiso collinare. Incidenti stradali, parchetti o campetti pieni di ragazzi fatti per gran parte del giorno…fu un periodo che ancora oggi mi colpisce, mi tocca, e mi interessa moltissimo. I passaggi che mia madre dava, venendomi a prendere a scuola , a gente del paese che faceva autostop per andare a prendere la roba verso pavia, prima con le radiolone sulle spalle, decentemente vestiti, poi senza radiolone (vendute,credo), sempre più trasandati…è un periodo che non scorderò mai.

  76. Francesco G. ha detto:

    C’ero anch’io tra i “peggiori figli della borghesia”? Chissà…
    Saluti dal tuo compagno di banco del liceo, il libro l’ho già ordinato e non vedo l’ora di leggerlo.

  77. Marcella ha detto:

    Grazie per questo scritto puntuale della storia di quegli anni. Io ho 57 anni, ho vissuto quel periodo negli anni dell’ adolescenza, ho visto scomparire nell’ arco di due,tre anni cari amici falciati da overdose di eroina. Andava tutto molto veloce, a ripensarci: il tuo scritto da storica restituisce perfettamente quel contesto. I miei occhi di 15 enne han visto passare la mia generazione tra il ’76 e il ’78 dall’ impegno politico e dai collettivi alla lotta armata, agli indiani metropolitani, all’ eroina. No, io non ho dimenticato nulla. Tu lo hai descritto perfettamente.

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  3. […] tra gli altri -molti- racconti letterari. Per una critica invece, riportiamo, nel contesto italiano i recenti lavori di Vanessa Roghi sull’eroina e alle riflessioni di Enrico Petrilli su […]

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