Pippo Baudo protettore degli sconfitti: “Sangue di Giuda” di Graziano Gala

di Marco Carratta

“Non mettetemi accanto a chi si lamenta
senza mai alzare lo sguardo,
a chi non sa dire grazie,
a chi non sa accorgersi più di un tramonto.
Chiudo gli occhi, mi scosto di un passo.
Sono altro. Sono altrove.”

Questa poesia di Alda Merini, e più precisamente le ultime parole, tornano confusamente alla mente del protagonista di Sangue di Giuda, il romanzo d’esordio di Graziano Gala pubblicato da minimum fax. E non è un caso che l’autore scelga di usare i versi della poetessa dei poveri e degli ultimi in un libro che racconta una vicenda umana segnata da dolori devastanti e da un lacerante desiderio d’amore.

Siamo in un paese immaginario, Merulana, in una provincia imprecisata del sud Italia, “un paese di carta stagnola scambiata per metallo”, dove Giuda, così viene chiamato il protagonista e voce narrante dei fatti, passa le sue giornate lottando contro i ricordi del passato e le ingiustizie quotidiane. Tutti lo conoscono in paese, tutti lo chiamano Giuda e tutti lo condannano per il tradimento consumato nei confronti di un padre padrone che avrebbe voluto fosse più simile a lui, e quindi ai suoi compaesani ipocriti e vigliacchi.

Il marchio dell’infame, del traditore, lo accompagna da così tanto tempo che nessuno pronuncia più il suo vero nome. Non lo fa il carabiniere che raccoglie la denuncia del furto del suo vecchio Mivar, evento che apre il romanzo, non lo fa lo scrutatore del seggio elettorale che lo registra come Giuda Iscariota, non lo fa nemmeno lui stesso, quando firma con le parole “Tuo marito” le lettere scritte all’amata moglie Angiolina, scomparsa chissà dove. Quest’ultimo un gesto, reiterato, ossessivo quanto inutile, che nasconde il desiderio di tornare a vivere.

Perché quella di Giuda non è vita, è “tut’ana miseria e na sconfitta”, è la storia di un uomo disprezzato persino dalla propria figlia, che passa le notti percorrendo strade che sono una “minestra ’e sudore e lacrime” per andare a trovare il suo fratello di “vergogna e di botte” Turi Bunna,il quale per vivere è costretto a travestirsi e a prostituirsi, le uniche cose concesse ad un omosessuale che vive in un posto del genere.

La felicità per Giuda è fatta “d’attimi di dimenticanza” da condividere con una banda di personaggi irregolari. Un gatto incontinente, un cane malnutrito, un vicino di casa “americano o inglese, face lo stesso”, i coniugi Zanforlin, venuti a Merulana dalle terre della nebbia per espiare chissà quale peccato, un bimbo, Saverio, il nipote che vorrebbe avere; tutti uniti a guardare in televisione Pippo Baudo che ride, scherza e passeggia sul palcoscenico dell’Ariston durante una replica di una vecchia edizione del festival di Sanremo. Tra i pochissimi che si salvano nel romanzo ci sono loro, chi a Merulana non è nato o non ha ancora vissuto abbastanza, chi ha come unica colpa quella di vivere in un paese “abitato da scemi senza nu minimo ’e cuscenzia” dove “’a ragione è comm’a lebbra”.

Tutti gli altri stanno organizzando l’“àn plèn” elettorale del candidato sindaco Mammoni, da ottenere grazie ad un “piano quinquennale” che prevede successi calcistici (il candidato sindaco è anche, ca va sans dire, il presidente della squadra del paese, la Vesuviana, impegnata in una competizione internazionale a pochi giorni dal voto) e, come estrema soluzione, un vero e proprio bordello per soddisfare gli istinti più bassi dell’elettorato maschile, tanto le “mogli ca aspettano a casa votano comm dice ’o marito”.

Il “comitato elettorale” è composto da Cé, Rasputin e StaLìn (subentrato a Gorbaciòff quando le cose si erano messe male), violenti e malvagi, pronti a tutto per ottenere il plebiscito elettorale a favore del candidato Mammoni, anche se ciò significa calpestare le esistenze, già malconce, di Giuda e dei suoi compagni di sventure.

L’unico a restare sempre al suo fianco è Pippo Baudo, dopo aver provato invano a convincere santi più titolati del Pippo nazionale, di meritare il proprio aiuto. Lontano ma presente agli avvenimenti grazie alla televisione, la sua voce e la sua immagine per anni hanno protetto Giuda nelle notti travagliate in cui il fantasma del padre Santino, “chillu ca m’ha sfunnatu ’o cranio a botte quasi cinquant’anni fa”, torna per finire l’opera, ed è il tentativo disperato di recuperare la sua compagnia, negatagli a causa del furto del vecchio Mivar, a permettere al protagonista di conoscere Monia, la “sciop assistant” della Mammoni Elettrodomestici, che nel finale del libro regala a Giuda un riscatto insperato.

Graziano Gala, in questo esordio coraggioso, regala ai lettori una figura che entra di diritto nella “genia di personaggi lunatici di provincia animati da una forma di energia che tende a rovesciare i codici sociali dominanti”. E lo fa usando l’unica lingua in cui un personaggio come Giuda potrebbe esprimersi: una lingua irregolare, comprensibile e vivace, frutto dell’unione di diversi dialetti meridionali che assume il fascino di un codice universale degli ultimi, degli sconfitti, di chi è rimasto senza santi da pregare.

Tutto ciò fa di Sangue di Giuda un tassello di quella rinnovata letteratura dedicata alla provincia fatta di personaggi border line  e di lingue “bastarde” che negli ultimi tempi sta conoscendo un interesse sempre maggiore nei lettori.

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Riferimenti

Cristina Taglietti, La provincia non è provinciale, La Lettura, 13 dicembre 2020

 

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