È un po’ come in quel film dove c’è un uomo che si sente solo, che ha una storia d’amore con la voce di una donna dentro un sistema operativo, che ogni tanto ripensa alla vita di prima, quando ancora non era solo, e dice che in fondo il passato è solo una storia che raccontiamo a noi stessi. La memoria, il più delle volte, oltre ad essere una bussola, un intreccio di radici che ci accompagna sempre, ovunque andiamo, diventa il luogo ideale in cui possiamo rifugiarci, in cui ritroviamo quasi tutto quello che ci è capitato, e tornarci ogni tanto è come rileggere lo stesso libro quando sei solo un bambino, poi quando sei adolescente, e infine da adulto. Quel luogo cambia, si adatta al nostro presente, quale che sia, e somiglia sempre a quello di cui abbiamo bisogno nel momento in cui ci torniamo.

Ho pensato a questo e a tanto altro, leggendo il nuovo libro di racconti di Murakami, Prima persona singolare, pubblicato come sempre da Einaudi e tradotto magicamente da Antonietta Pastore. E non l’ho usato mica a caso, “magicamente”, perché ha ragione Emanuele Trevi, con cui ho avuto la fortuna di parlare poco tempo fa. Murakami ha qualcosa di magico, come Miyazaki, non sempre capiamo bene cosa sia, ma è così, ed è solo grazie ad Antonietta Pastore se io adesso posso parlarne. È stato lo stesso Murakami, in un racconto, a dire che la memoria è qualcosa di molto simile al romanzo, e viceversa, e questo libro, che già dal titolo – bellissimo – assume la forma di un ricordo, di una raccolta di ricordi, non so bene come, non so bene perché, mi ha fatto bene, come mi è capitato spesso leggendo Murakami.

È come se io e lui vivessimo nello stesso mondo, in cui succedono le stesse cose, più o meno, solo che le persone, nel suo mondo, si comportano in maniera leggermente diversa, e quindi mi dà la possibilità, non appena distolgo lo sguardo dal suo racconto, di tornare nel mio mondo e di guardarlo da un’altra prospettiva, dove il dolore si fa più dolce, dove gli errori sembrano più facili da perdonare. Nella cornice delle sue solite ossessioni, il jazz (Charlie Parker Plays Bossa Nova), i Beatles (With The Beatles), il baseball (Antologia poetica per gli Yakult Swallows), le ragazze (tutti i racconti, quasi), entriamo nei piccoli lampi della sua quotidianità, illuminati dai dettagli, da piccolissimi momenti, epifanie capaci di dar vita a una storia.

C’è una ragazza, una scrittrice di tanka (poesia di 31 sillabe), con cui questo io, questa prima persona singolare protagonista di tutti i racconti, va a letto durante il secondo anno di università. Sembra molto fragile, è innamorata di un uomo che probabilmente non ricambia i suoi sentimenti, anzi, le dice che ha un bel corpo ma che di viso è brutta, quasi come due ragazze di un altro racconto.

Con una di queste, condivide la passione per Schumann, dell’altra ha perso il foglio su cui gli aveva scritto il suo numero di telefono. “Se non fossero accaduti – pensa il protagonista, parlando di questi due incontri – probabilmente sarei comunque diventato quello che sono oggi”. E forse è proprio qui che si nasconde il filo comune di tutte queste storie, in questi incontri che scandiscono il tempo della giovinezza, in queste persone che poi vengono dimenticate, per lasciare spazio alle altre, ma che comunque, prima o poi tornano, anche senza che ci sia un vero motivo.

Una ragazza bella ti invita al suo concerto di piano, solo che non c’è nessun concerto di piano, forse te lo sei immaginato oppure ti ha semplicemente preso in giro, e invece di passare la serata con lei, ti metti a parlare con un signore anziano, forse stai immaginando anche lui, forse no, ma rimane il fatto che ti parla di alcuni aspetti della vita cui non avevi mai pensato prima, almeno non con questa chiarezza, come che a scuola non ti insegnano nulla di quello che conta veramente, e che “il tuo cervello è fatto per riflettere su problemi difficili”, che è questo quello che chiamiamo “la crema della vita”.

C’è spazio anche per chi perde la memoria, in questi ricordi che diventano racconti, e per chi perde il proprio nome, magari per colpa di una scimmia che gliel’ha rubato e che adesso si nasconde in un minshuku, una locanda a basso costo. Rimane il fatto che Murakami, anche qui, anche mentre si lascia andare a una nostalgia esplicita, spudorata, senza il velo della finzione, anche quando diventa così vulnerabile, si rivela uno scrittore senza tempo, destinato, quindi, all’eternità.

 

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Autore

giorgiob.@minima.it

Giorgio Biferali è scrittore, docente dell’accademia Molly Bloom e insegnante di italiano in un liceo. Collabora con quotidiani e riviste culturali, dove si occupa principalmente di cultura pop. Ha pubblicato, tra gli altri, L’amore a vent’anni, romanzo d’esordio presentato al Premio Strega 2018, A Roma con Nanni Moretti (Bompiani), Il romanzo dell’anno (La nave di Teseo), Cose dell’altro mondo e Guida tascabile per maniaci delle serie tv (entrambi editi da Clichy).

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