Si ispira al cuculo e al suo parassitismo di cova Guadalupe Nettel per affrontare il tema della maternità nel suo ultimo romanzo, La figlia unica, trad. Federica Niola, La Nuova Frontiera. La metafora dell’animale che depone le uova in nidi altrui per poi abbandonarle richiama nel romanzo analogie rese attraverso vicende intrise di una forte componente emotiva.
Per l’originalità della sua voce, Guadalupe Nettel è ritenuta tra le più significative scrittrici latinoamericane della contemporaneità. Insignita di riconoscimenti quali il premio franco-messicano Antonin Artaud, il premio tedesco Anna Seghers e il Premio de narrativa breve Ribera del Duero, ottiene la prima attenzione in Italia con l’uscita per Einaudi dei romanzi Il corpo in cui sono nata, e Quando finisce l’inverno. Sarà poi la pubblicazione delle raccolte di racconti Bestiario sentimentale e Petali e altre storie scomode per La Nuova Frontiera a sancire l’affermazione dell’autrice tra i lettori italiani.
Centrale anche in quest’opera il rilievo che Guadalupe Nettel assegna al contesto. Il ritratto del Messico nelle storie che ne compongono il mosaico è reso per contrasti e contraddizioni, tra palazzi da diciotto piani e bidonville. È il Messico delle rivendicazioni dei diritti negati, denunciati a gran voce dai collettivi femministi che manifestano per contrastare i pesanti condizionamenti alla libertà individuale esortando a reimmaginare in maniera radicale il presente.
In tale realtà Nettel costruisce una parabola sulla fragilità umana nel rendere per toni brutali e teneri lo smarrimento generato dalle paure e dai desideri, dalle attese e dal dolore. Sceglie la prospettiva di una donna convinta di non voler essere madre, ritenendolo un errore irreparabile per le ripercussioni personali e professionali in una società “progettata in modo tale che siamo noi, e non gli uomini, a prenderci cura dei figli”.
Una posizione centrale nell’opera, perché oltre a sviluppare con accenti provocatori e ironici aspetti quali l’abdicazione alla libertà per “immolarsi sull’altare della specie” o di contro l’accettazione dello “stigma sociale e famigliare pur di preservare la propria autonomia”, permette di addentrarsi nelle ragioni della scelta di essere madre o meno in relazione all’adeguamento a aspettative famigliari e sociali. Per voce delle sue protagoniste Nettel si interroga anche sulla desacralizzazione delle famiglie biologiche quando rivelano crepe insanabili.
Uno studio sulla maternità come atto di resistenza che scandaglia aspetti legati alle imposizioni culturali nella società contemporanea. A partire dalla realtà messicana la prosa di Nettel incalza un tempo nuovo nell’allargare idealmente lo sguardo alla generale condizione femminile. Affonda nel pensiero di donne che per scelta non diventano madri per metterle in dialogo con donne che vivono il dramma dell’incapacità di procreare o che si interrogano sul senso del dare alla luce nella malattia, eludendo giudizi critici ma nell’intento di tratteggiare la relazione con il dolore connesso alla maternità senza cedere a una prevedibile retorica.
È il racconto polifonico della perdita a tratteggiare la condizione di chi arranca nell’esistenza dimenticando il proprio ruolo, o di chi è preda della smania di concepire a ogni costo. Come recitano i versi di Jetsum Milarepa, “Cercando di essere felici, si buttano a capofitto nella propria sofferenza”.
La natura permeabile della maternità è resa dai frequenti rimandi alle dinamiche animali, carattere che contraddistingue gran parte della produzione dell’autrice e che ne La figlia unica è funzionale a evidenziare istanze con cui ogni personaggio è chiamato a confrontarsi, anzitutto per ridefinire le proprie paure sulla base dell’esperienza, a partire da Laura, la sua protagonista. Sarà il dolore, vissuto come il proprio, provato dalla sua più cara amica Alina per le incognite legate alla nascita e alla sopravvivenza di sua figlia, ad accompagnare una personale conquista d’essere nel costante confronto con la madre e con l’inquieta e sofferente vicina di casa Doris, sola con un figlio con cui condivide il trauma di una violenza antica.
Lo scontro con la malattia, l’elaborazione di un lutto legato anzitutto alla preparazione alla perdita in un orizzonte scarno di aspettative, il senso di isolamento e l’incomunicabilità delle proprie inquietudini trovano in una prosa densa di descrizioni e di immagini simboliche l’efficace raffigurazione di una trasfigurazione fisica e interiore.
Tra drammi e improvvisi scorci di luce, la prosa di Nettel descrive l’inadeguatezza e l’oppressione del vincolo che nel dolore sfocia nella percezione di impersonare una contraddizione tra la volontà di trattenere a sé il frutto del proprio desiderio e la segreta fantasia del suo rifiuto.
La figlia unica è una delicata e struggente esplorazione della condizione umana che a partire da istanze legate alla messa in discussione della maternità come stato ideale tratteggia le infinite sfumature del sentimento materno che esulano persino da ragioni biologiche, per narrare anche “l’amore lieve e insieme intenso di chi non è costretto a rimanere”.
Pagine di rara intensità tra accenti struggenti e un delicato tratteggio comico, in cui riconoscere nella linea tematica alcune costanti dell’intera produzione dell’autrice: il richiamo dell’infanzia nell’osservare sé stessi provando a collocarsi nell’età adulta in relazione a ruoli imposti; la perdita di riferimenti; la solitudine dell’individuo; i condizionamenti esterni nell’identificare una nuova direzione da dare alla propria esistenza.
Con La figlia unica Nettel consegna un’analisi sulla natura effimera dell’esistenza, che trova nell’esercizio collettivo di distacco un promemoria sulla materia labile di ciò che si costruisce.
Alice Pisu, nata nel 1983, laureata in Lettere all’Università di Sassari, si è specializzata in Giornalismo e cultura editoriale a Parma dove vive. Collabora per diverse testate di approfondimento, tra cui L’Indice dei libri del mese, minima&moralia, il Tascabile. Libraia indipendente, fa parte della redazione del magazine letterario The FLR -The Florentine Literary Review.

Per me il miglior libro tradotto in italiano nel 2020 e sono molto contento di leggere una recensione che sfugge alla gabbia della definizione di libro femminista, che finisce per sottrarre una parte di universalità ai temi centrali della vicenda. Concordo sul fatto che il vero tema del libro sia la fragilità di ciascuno di noi e, soprattutto, il ruolo del dolore e dell’amore nella costruzione della vita di ognuno.
Consiglio a chi ha amato “La figlia unica” la lettura delle due raccolte di racconti della stessa scrittrice. “Bestiario sentimentale” è, per certi versi, una preparazione del romanzo, mentre “Petali” è interessante anche da un punto di vista formale e più ricercato nel registro.