di Marco Malvestio
Tramontare è un libro bifido: c’è la prima parte dove la protagonista eponima, Tramontare, è bambina, e la seconda in cui invece è un’anziana; di quello che accade in mezzo, nulla. Proprio per questo lo si potrebbe definire anche un libro bifronte: un libro diviso a metà che potrebbe essere letto come due libri diversi, tanto distinti sono il passo e lo stile. Se la prima parte è fatta di piccole scene di vita di paese, benché trasfigurate dalla criptica personalità della protagonista, la seconda è invece dedicata al suo monologo interiore e alle ruminazioni su un passato che, come del resto l’intero libro, non si sa quando e come sia avvenuto.
Come la precedente prova narrativa di Gentile, I vivi e i morti, anche Tramontare è ambientato a Masserie di Cristo. Nella realtà questo è un paesino in Molise, in provincia di Isernia, di cui è originario l’autore; ma nel romanzo di Gentile si trasforma in un luogo fuori dal tempo e dalla storia, un microcosmo chiuso e autosufficiente. Con l’eccezione della protagonista Tramontare (e del resto Tramontare non è un vero nome, ma un verbo), tutti gli altri personaggi sono privi di nomi propri, ma si riconoscono per il loro ruolo nella comunità – il Cancelliere, il Professore, la Maestra… Oscuramente, dietro lo sguardo ora innocente e ora caustico di Tramontare, le figure degli adulti paiono intente a macchinazioni misteriose, al tentativo di perpetuare o imporre un ordine al mondo.
In linea con una tradizione di fantastico intellettuale che si rintraccia già nelle prime avanguardie novecentesche, e insieme con il modello di letteratura metafisica ma impegnata di Giuseppe Genna o Antonio Moresco, Gentile si abbandona a una sorta di neorealismo nero, in cui il racconto del presente immobile del Sud Italia si mescola ai toni stralunati dell’invenzione fiabesca. Nella prima parte del romanzo assistiamo ai giri di Tramontare per il villaggio – di questa bambina strana che tutti conoscono e in parte temono, convinta di essere la morte, e la cui sorella defunta anzitempo viene adorata come una divinità in paese (si noti l’ironia, che richiama forse Carlo Levi, di chiamare Masserie di Cristo un paese in cui Cristo non viene mai nominato, e dove si adora invece un’improvvisata divinità pagana). Tramontare indirizza le proprie domande e dà le proprie risposte agli abitanti di Masserie di Cristo col tono del maestro zen che pronuncia i suoi koan, mentre i suoi interlocutori reagiscono ora con perplessità, ora con astio (“La fiaba, dice sempre la Maestra, è una malattia mentale”).
Nella seconda parte, invece, senza dubbio la più convincente, ritroviamo Tramontare ormai anziana, una vecchia che sembra a tratti saggia e a tratti disorientata dalla demenza senile. Tra le due parti c’è continuità, ma una continuità che non segue le leggi della causalità o della logica: ritroviamo alcuni personaggi, altri li perdiamo completamente, altri ancora è come se non fossero mai esistiti. Gentile mischia i modi della fiaba con la tradizione del populismo verista (più dannunziano e siloniano qui che verghiano) in un ibrido straniante:
Vivere a Masserie di Cristo è sempre stato naturale, il latte materno me lo disse, secoli e secoli fa, quando andavamo in campagna a cogliere le cerase, e rubavamo le pannocchie, e i contadini, burberi dalle sopracciglia irregolari, contadini come noi, ci rincorrevano, e quanto è bella la signora mia, l’odore del vino acido nelle case di mattoni in cotto, sgretolati. Eravamo attori di noi stessi. Attricette di campagna, dalle gonne fatte di stracci, la pallavolo di stracci, il gioco della campana dietro la segheria.
Che si possa essere gli attori di se stessi non è una notazione casuale nel romanzo di chi, come Andrea Gentile, si è adoperato per fare circolare in Italia l’opera di Thomas Ligotti, un autore che dietro alle figure di manichini, marionette e teatri ha nascosto l’orrore della crisi di agentività. Questo accade anche in Tramontare, sia nella prima parte in cui tutti i personaggi, come suggerisce il loro nome, interpretano un ruolo, sia nella seconda, in cui seguiamo la confusione crescente della protagonista davanti alla vecchiaia debilitante.
È difficile, a una prima lettura, decifrare l’architettura di Tramontare: la stessa struttura troncata in due e l’apparente estraneità delle due versioni della medesima protagonista lasciano stupiti. A questo si aggiunge la prosa di Gentile, insieme asciutta e suggestiva. Tramontare è un romanzo curioso e non semplice, ora oracolare e ora severo, in cui il passato e il presente, i vivi e i morti, coesistono e comunicano.
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