
Esiste un Messico perduto, rurale, strano, misterioso, inesplorato. Un Messico che splende di tradizione, di magia, un territorio distante dalla capitale e dalle altre grandi città. Un Messico in cui si possono ascoltare vecchie storie, dove si può incrociare una leggenda, sfogliando la vita reale. Un Messico che si chiama San Felipe, che si chiama San Juan de los Lagos. Luoghi di profumi e indovine, di preveggenza e dolore, luoghi di menzogne, perché, come ricorda, una delle due protagoniste di Streghe di Brenda Lozano (alter ego, 2021, traduzione di Giulia Zavagna), a San Juan il lago non c’è.
Un Messico stellato, più notturno che diurno, un Messico stellare, più lunare che terrestre. Un Messico alimentato da parole antiche e da sguardi moderni, occhi contemporanei, occhi di brace. Un Messico abitato da donne, acceso dalle donne, dalle loro vite, dal confronto tra queste. Un paese che parte dalle famiglie e alle famiglie torna. Eppure, un Messico tangibile, contemporaneo, fatto di parole che suonano, di ritmi che sanno di preghiera, di litania. Streghe è un libro brillante che scava ai bordi dell’ancestrale per immaginare qualcosa di nuovo da costruire. Brenda Lozano prende due donne, Zoe una giovane giornalista e Feliciana un’anziana curandera, le fa incontrare, e le mette l’una di fronte all’altra, nell’evidenza opaca di uno specchio.
Erano le sei del pomeriggio nell’ombra che il sole fa sui campi di mais lì fuori, erano le sei in punto quando persi Il Linguaggio.
Zoe parte da Città del Messico per andare a San Felipe. Deve indagare sull’omicidio di Paloma, nata Gaspar e ammazzata perché muxe. Presto, Zoe, viene affascinata e incuriosita da Feliciana, le sue capacità curative attraggono milionari, artisti, registi, scrittori da ogni angolo del mondo. Feliciana ha imparato tutto da Paloma, ed è diventata la curatrice più leggendaria di tutto il Messico. Paloma le ha insegnato la curanderia e il Linguaggio, quest’ultimo rappresentato da un misto di magia, consapevolezza, conoscenza, parole scelte, colpi di cuore e geniali intuizioni. Feliciana comincia a raccontare la sua storia a Zoe, ma anche Zoe, volente o meno, narra la propria storia all’anziana guaritrice. Ciascuna donna tende all’altra in una sospensione di tempo e spazio, accorciando le distanze, avvicinando le vicende.
perché è questo che fa la cattiva memoria, ferisce.
Lozano costruisce il libro a due voci, a capitoli alternati, le faccende di Feliciana da lontano vanno a intersecare la lingua presente e cittadina di Zoe. La prosa è molto fluida, dolce e ipnotica – dobbiamo ancora una volta la nostra gratitudine a Giulia Zavagna, una delle migliori traduttrici dallo spagnolo – e tesse fili, trame, fa sì che queste due donne, pelle liscia di ragazza e pelle rugosa di vecchia si prendano per mano, in fondo il racconto che vanno costruendo è unico. Nelle parole di Feliciana, Zoe scova delle ragioni del suo futuro, scorge tracce del suo passato non ancora compreso; così, nella freschezza di Zoe, l’anziana curandera trova un nuovo, diverso, linguaggio, una strana cognizione.
Era chiaro che mia sorella era felice. Era molto tempo che non la sentivo così, e quando me ne sono resa conto ho sentito per lei un profondo senso di pace, e insieme un tuono, un lampo, un vortice.
Sullo sfondo ma centrale Paloma, la sua vita fatta d’amore e violenza, di rifiuti, di allontanamenti, il suo sentirsi donna in un corpo da uomo, le sue rinunce al talento di curandera per cercare pochi e notturni attimi di felicità. Feliciana va all’indietro e confida a Zoe frammenti di ciò che è stato, il sofferto legame con il marito Nicanor, il legame con Paloma, la malattia e il dolore di sua sorella Francisca. Zoe ricostruisce il legame con il padre, morto molto presto, e il mistero magico e magnetico di sua sorella Leandra.
E mi dica se Il Linguaggio non è potere, allora che cos’è?.
I fatti che vengono alla luce sono densi di fascino, sono messicani e sono nostri, vengono da catapecchie e case di città. Streghe è un libro di liberazioni, una sorta di canto, una nenia, è confidente quanto un’amica, stretto come un abbraccio. Affascinante. Lozano ha una bella scrittura, è moderna ma non disdegna lo scavo nella tradizione messicana, nella cultura rurale fatta di stregonerie e antichi rudimenti. Riflette, però, attraverso la storia di Paloma ci dice come una tradizione solida come quella dei muxe, termine che nella cultura zapoteca definisce gli uomini che scelgono di vestire abiti femminili. I muxe sono visti come una fortuna perché si narra che nel loro destino ci sia l’accudimento dei parenti anziani e bisognosi.
Nonostante questo Paloma è vessata e non è risparmiata, in questa violenza c’è la nostra modernità che va all’indietro più ignorante di ogni memoria. Al di sopra di questa brutalità si intrecciano i destini di Zoe e Feliciana, due voci che creano un terzo linguaggio, una sorta di nuovo discorso affettivo. Streghe è una storia d’amore e di resistenza, infine.
Gianni Montieri, è nato a Giugliano in provincia di Napoli. Scrive per Doppiozero, minima&moralia, Esquire Italia, Huffpost e il manifesto, tra le altre. Prova a incrociare la letteratura con lo sport per L’ultimo uomo, Rivista Undici. I suoi libri di poesia più recenti sono Ampi margini (2022) e Le cose imperfette, editi da Liberaria. Ha pubblicato per 66thand2nd due titoli Il Napoli e la terza stagione e Andrés Iniesta, come una danza. Vive a Venezia.
Altre info qui:
https://giannimontieri.wordpress.com/biografia/