Valentina Della Seta e Mario Desiati: un dialogo su “Le ore piene” e “Spatriati”

Pubblichiamo un dialogo tra Mario Desiati e Valentina Della Seta, in libreria rispettivamente con Spatriati (Einaudi) e Le ore piene (Marsilio), uscito in una versione differente su D di Repubblica. Photo by Maru Lombardo on Unsplash

Mario

Conosco Valentina attraverso il suo romanzo alla fine dello scorso mese di aprile. Visto alcuni temi comuni tra le nostre scritture, siamo stati entrambi arruolati per una conversazione per D Repubblica. Il dialogo prende una piega che esula gli argomenti per i quali eravamo stati cooptati, in realtà deragliamo e le conseguenze sono che gran parte della conversazione non è stata pubblicata. Labbiamo tenuta come una specie di appunto che ci sarebbe venuto utile in seguito.

Le ore piene mi ha turbato perché ci ho trovato una crepa nella realtà. Ed è quello che cerco nei libri. Percepisco inoltre un lieve dolore, ma anche una forte ribellione alle convenzioni, una fame di indipendenza e libertà che la protagonista del libro vive attraverso la scelta più coraggiosa che esiste: fare le cose senza che queste siano fini a sé stesse. Perché nessun dolore resti inutile e il piacere senza insegne sia clamorosamente irriverente. Al telefono la voce di Valentina è bassa, cadenzata, dopo i primi convenevoli facciamo la rassegna degli amici in comune. Non sono tanti. E alcuni non ci sono più.

Come Lorenzo Amurri che pubblicò i suoi romanzi con l’editore dove lavoravo. Amurri è uno di quelli che apre le crepe nella realtà nei suoi libri. È uno scrittore che mi manca (a luglio saranno cinque anni che non è più qui), aveva una grazia e un’ironia appuntita nonché il dono di leggere l’anima dei suoi amici.

Valentina

Lorenzo Amurri, che conoscevo da molto prima che iniziasse a scrivere, mi parlava sempre di te. Lo avevi aiutato a dare forma al suo primo romanzo, Apnea, che partiva dall’esperienza di un incidente a vent’anni che lo aveva reso tetraplegico. Mi parlava della vostra amicizia e dei tuoi romanzi che amava. Penso che oggi leggendo Spatriati sarebbe entusiasta per la risolutezza piena di grazia di Claudia e le coraggiose scelte di indecisione di Francesco. Claudia e Francesco esplorano nel corso degli anni, tra Martina Franca e Berlino, una maniera di amarsi profonda e non convenzionale. Mi fa pensare alle infinite possibilità del desiderio. Lorenzo, che non sentiva il corpo dal petto in giù, mi ha raccontato che il piacere trova il modo di spostarsi e accendersi ovunque trovi dei recettori che lo accolgono. Era un’idea di sesso lontana da qualunque pretesa performativa, e questo mi riporta a Spatriati.

Mario

C’è questa amorevole nuvola su questa conversazione che evoca amici comuni e persone che ci vogliono bene, avverto anche un’ispirazione gentile nelle tue parole, come quella che hai avuto nel racconto della tua protagonista, che hai scelto di non nominare. Come mai?

Valentina

È soprattutto per timidezza che non sono riuscita a dare un nome alla protagonista. In generale il romanzo viene da un tentativo di fare del mio meglio per trovare una forma a una ferita d’amore che volevo raccontare. Al telefono abbiamo parlato di come possa essere utile una zona non produttiva nella mente per scrivere narrativa. Credo di conoscerla bene. Mi crea difficoltà quando cerco di concentrarmi o prendere decisioni, ma è lì che sono mi sono dovuta infilare per tirare fuori il libro.

Mario

Mi piace quando qualcuno si lascia andare alle voci dell’anima anche se Carlo Dossi, uno scrittore scapigliato dell’Ottocento, in un geniale libro chiamato Amori diceva che l’anima l’abbiamo attorno. E forse la tua protagonista la pensa come lui: si getta in un’avventura senza paura delle conseguenze, in braccio all’anima ispirata dal desiderio.

A volte questo può apparirci futile, un ostacolo alla corsa che facciamo ogni giorno, lavorare dunque produrre, occuparci dei nostri affetti cercando di esserne all’altezza. Ma il desiderio? Il desiderio più bruciante può anche mascherarsi nella frivolezza, come fa la protagonista del romanzo con la sua voglia di sperimentare negli appuntamenti con gli sconosciuti le mille sfaccettature del proprio desiderio e della propria passione, o semplicemente l’umanità con la sue infinite varianti. Le ore piene è anche viaggio nelle diverse declinazioni del desiderio, anche quando questo è oscuro, inesplorato, quando si scontra o si mischia o si fonda con i desideri degli altri. Eppure il desiderio in molti è inconsapevole, come se rispondesse a una vocazione automatica, per esempio i maschi del tuo romanzo sembrano scegliere il BDSM per attuare una fuga da loro stessi, è come se non fossero mai consapevoli davvero del loro desiderio. È così?

Valentina

Forse alcuni maschi del mio romanzo sono in fuga da loro stessi, ma il BDSM mi sembrava il contesto ideale per mettere al centro del discorso il desiderio e non il potere. Dichiarare, mettere in scena e contrattare il potere in qualche modo lo rende inoffensivo, elimina i non detti che possono diventare la parte malsana di un rapporto. È vero che nel libro ci sono personaggi poco consapevoli del desiderio della protagonista, ma lei stessa non ne sa molto di più. Ne ha appena preso coscienza, rendendosi conto che spesso il desiderio non corrisponde a una visione etica o politica dell’esistenza. Mi affascina l’idea di un desiderio che vada contro i nostri stessi desideri.

La libertà, l’autodeterminazione in questo caso sono nella possibilità di una ricerca, anche se poi la narratrice di Le ore piene non riesce a immaginare qualcosa di diverso dall’ideale di una coppia tradizionale. Francesco, l’io narrante di Spatriati (dove convivono poeticamente le descrizioni della vegetazione che cresce nelle fessure dei muretti a secco pugliesi e le notti di perdizione nei locali berlinesi), ha un’altra visione di sé stesso e dell’amore. A un certo punto dice: «Era molto più sottile e sofisticato dell’innamoramento, era una nazione libera e indipendente, e non aveva nome». Potresti parlarmene?

Mario

Francesco in Spatriati diventa consapevole anche grazie alla guida di Claudia che è una donna che non molla mai di un centimetro davanti alle sue disavventure. Ma Francesco vive questa illuminazione anche grazie alla sua sensibilità, capisce di vivere dentro una società costruita su misura dei maschi. Lui potrebbe approfittarne e godere di quei privilegi ma sa e capisce che quel modello maschile è allo stesso tempo una gabbia al suo desiderio, che quei privilegi tarpano le ali della sua identità, un ottuso impedimento a vivere e mostrare le sue fragilità. Proprio rinunciando alle regole stringenti del patriarcato, al dover assumere un ruolo per compiacere le convenzioni si possono vivere relazioni e sentimenti con tutti privi di insegne con l’unico confine del rispetto, ci si può vestire come si vuole, amare chi si vuole. Ecco lui va esattamente nella direzione contraria di P., il personaggio maschile de Le ore piene, lui non nasconderebbe mai a qualcuno la sua identità. Molti maschi proprio perché devono mantenere l’aria del loro ruolo dominante – come secondo me fa P. nel tuo racconto – nascondono i loro gusti, sogni, paure alle persone che amano. Molti segreti sono circoscritti dal dolore di non poter esprimere la ragione intima, la verità di se stessi, aspetti ritenuti fragilità, elementi che vengono considerati riprovevoli in un contesto patriarcale. Tu cosa ne pensi?

Valentina

Una delle cose che ho amato di più in Spatriati è la fragilità di Francesco. Non la combatte, la sua rivoluzione sembra dover passare attraverso una resa. Mi sembra una forma di desiderio anti patriarcale e anti capitalista perché invece di partire dall’idea che ci siano dei bisogni da soddisfare, una realtà da pretendere, trova il modo di adeguarsi alle cose come sono. Mi piace anche il fatto che nel romanzo descrivi con affetto e senza giudicarli altri uomini (come il padre di Francesco) che sono vittime di un modello di mascolinità in crisi. Forse il personaggio di P. appartiene a questa categoria, anche se ancora non lo sa. Devo ammettere che non ho pensato a nessuna di queste cose mentre scrivevo Le ore piene. Mi sono ispirata allo sguardo sul corpo maschile, mercificante e romantico, che avevo trovato nella novella di Edmund White Caos (Playground), e agli incontri tra sconosciuti nelle notti di Parigi descritti da Renaud Camus in Tricks (Textus edizioni). Il diario sessuale di Camus è ambientato nel 1978 quando, per incontrarsi, non c’era nemmeno il minitel di cui scrive Virginie Despentes in King Kong Girl (Einaudi).L’arrivo di internet e delle app come Tinder sta cambiando molte cose in termini di relazioni. Per esempio, sta scardinando definitivamente l’idea che le donne non possano avere desideri ambivalenti o del tutto slegati dall’emotività.

Mario

Mi è successa una cosa strana a proposito: ero in fila per un tampone antigenico in farmacia e ho visto che c’era una ragazza piccolina, con uno zaino, la fronte infiammata, i capelli castano chiari sciolti nel vento strano di questa primavera. Mi fissava. Ho pensato di avere fuori posto qualcosa, ho detto “tutto ok?” da dietro la mia mascherina. Lei ha risposto “Sei Giacomo?”. No sono Mario ho risposto. Non ha detto niente. Poi ho sentito che qualcuno la chiamava da dietro. “Rossella?” Ha detto. Un uomo. Lui era alto, sottile, capelli lisci e una mascherina con la fantasia arabescata, si vedeva che era una mascherina di stoffa inutile, solo per messinscena, forse comprata per l’occasione. Si sono presentati anche se sapevano i loro nomi e si sono salutati toccandosi coi gomiti. Hanno confabulato qualche secondo e sono entrati in farmacia.

Quando sono tornati erano con la distinta da dare al tipo che ci avrebbe fatto l’esame. Si sono messi in fila vicino al gazebo dove venivamo tamponati e li ho spiati, sorridevano con gli occhi guardandosi a vicenda. Lui diceva che non vedeva l’ora di togliersi la mascherina. Lei ha detto che non vedeva l’ora di farsi fare quel tampone perché era in ansia. E così ho capito che erano due che si erano conosciuti su Tinder, insomma un dating al buio in piena regola davanti al gazebo in farmacia invece che in enoteca o al parco. Ho pensato al tuo romanzo. Alla protagonista e il suo P. Davanti a una farmacia di Roma est.

Valentina

Grazie, mi piace pensare che i personaggi dopo che li abbiamo lasciati continuino a vivere avventure di cui non sappiamo niente. Tornando alle app, credo che anche solo per curiosità ci sia passata la maggior parte delle persone che conosco. Io non le uso in questo periodo, ma cerco di immaginare il fermento che potrebbe esserci su internet, mentre la nostra parte di mondo, grazie ai vaccini, ritrova una parte di libertà. Lo vedo per le strade, nelle magliette corte delle ragazze e quelle aderenti dei ragazzi, un desiderio fortissimo di richiudere nell’armadio i vestiti da casa e avvicinarsi, spogliarsi, sedurre. Ne approfitto per dirti che alcuni anni fa mi era sembrato di riconoscere la tua foto su Tinder.

Mario

Sì, confesso il misfatto. Ti posso dire anche l’anno. Era il 2016, lo usavo molto a Berlino perché mi permetteva di conoscere persone superando le mie incertezze linguistiche. Avevo un profilo mezzo in italiano e mezzo in tedesco tutto ricolmo di citazioni e mi offrivo come partner in crime per le notti o gli after al Kit Kat Club, uno dei più trasgressivi club techno del mondo. Ci ho anche trovato un lavoro con Tinder a Berlino, ma lì dovrei scriverci un altro romanzo. In Italia l’ho disinstallata dopo poche settimane perché c’era mezza editoria romana coi nomi falsi, mogli e mariti che si fingevano altra gente per scoprire un adulterio, uno scrittore di gialli che si spacciava per donna, foto di gente presa a caso in rete con presentazioni farneticanti, sono scappato. E poi avevo la sensazione di conoscere tutti. E infatti l’unico dating che riuscii a fare fu con una persona che veniva a scuola con me, a Martina Franca, a oltre 500 chilometri da Roma.

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Il 12 luglio alle 20, all’Angelo Mai di Roma, ci sarà una serata per Lorenzo Amurri. Fandango, inoltre, pubblicherà un libro con dei suoi testi dal blog Tracce di ruote.

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