“Educazione alla libertà”: il progetto per le scuole targato Open Arms il 13 maggio a Internazionale Kids a Reggio Emilia

Migrano gli uccelli, le farfalle, le balene, migrano anche gli esseri umani. Ma spostarsi nel mondo non è lo stesso per tutti e la libertà di movimento è un diritto solo per una parte della popolazione mondiale. Francesca Loupakis, Responsabile Educazione Open Arms Italia – il ramo italiano dell’organizzazione umanitaria, non governativa e senza scopo di lucro che protegge la vita delle persone abbandonate in acque internazionali e collabora sulla terraferma con personale sanitario e di ricerca per fare fronte alle emergenze, in particolare quelle sanitarie – da anni conduce incontri con bambini e ragazzi per far conoscere loro la realtà delle migrazioni umane, farne comprendere cause e dinamiche e educare alla cittadinanza.

Loupakis porterà il laboratorio “Educazione alla Libertà” al festival Internazionale Kids  – il primo festival di giornalismo per bambine e bambini che si terrà a Reggio Emilia dal 12 al 14 maggio.  L’incontro, a cura di Open Arms, si terrà  sabato 13 maggio (Musei, c-lab – ore 14:30 e ore 17:30): un appuntamento nato per portare nelle scuole la riflessione su questi temi e, in particolare, sul diritto alla libertà di movimento sancito all’articolo 13 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. L’obiettivo: promuovere la cultura della pace e del dialogo, sensibilizzando le nuove generazioni sul rispetto dei diritti, della dignità e della vita di ogni essere umano.

di Francesca Loupakis, Responsabile Educazione Open Arms Italia

Sono le 9.00 del mattino quando entro nella II H di una scuola elementare per raccontare chi sono, per chi lavoro e di cosa mi occupo. Catturare l’attenzione dei bambini non è mai semplice, ma bastano sempre pochi minuti e la curiosità viene a galla tenendoli ancorati alle mie parole e ai miei racconti. Scrivo una semplice parola alla lavagna, migrare, e gli chiedo cosa gli viene in mente, lasciandoli liberi di esprimersi, di raccontare quello che sanno, che hanno visto o letto.

Ed è così che partendo dagli uccelli, dalle specie animali che conoscono fenomeni migratori, arriviamo alla nostra natura, alle nostre origini di migranti, perché anche la specie umana lo è, da sempre. Le bambine e i bambini mi raccontano dei loro viaggi, di come si spostano, elencano tutti i mezzi di trasporto che conoscono in un clima di scambio, di espressione libera di qualcosa che danno per scontato ma che vedremo insieme così scontato non è, almeno non per tutti.

Fin dalla sua nascita nel 2015, Open Arms ha unito il tema del soccorso e del monitoraggio nel Mediterraneo centrale ad attività educative a terra con l’obiettivo di raccontare il lavoro umanitario legato ai fenomeni migratori. Da sempre è stato considerato prioritario il dialogo e il confronto con le scuole, con le bambine e i bambini, le ragazze e i ragazzi, allo scopo di costruire nuove comunità più consapevoli e solidali, capaci di stringere quei legami sociali che valorizzano le differenze piuttosto che rifiutarle. In questi sei anni abbiamo capito che il nostro lavoro e la nostra esperienza in mare dovevano essere raccontati a terra. Portare nelle scuole una riflessione su questi temi è prioritario ed è proprio da questa convinzione che è nato “Educazione alla Libertà”, un incontro che mira a promuovere la cultura della pace e del dialogo, sensibilizzando le nuove generazioni sul rispetto dei diritti, della dignità e della vita di ogni essere umano.

È partendo dalla nostra missione principale, quella in mare, che vogliamo raccontare i valori della cittadinanza europea, fondati sul rispetto delle differenze, della reciprocità e dell’uguaglianza. Ci concentriamo sul diritto alla libertà di movimento, sancito all’articolo 13 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, su quella libertà garantita a una parte della popolazione mondiale e ad altri negata. Indaghiamo insieme le dinamiche che portano le persone a spostarsi, a lasciare i propri paesi di origine in cerca di condizioni di vita migliori e cerchiamo di comprendere i contesti in cui sono costrette a farlo. E’ inevitabile che alle orecchie dei bambini giungano parole come “migrante”, “immigrazione” o che vedano alla televisione immagini di barche che affondano in mare o di sopravvissuti all’ennesima strage nel Mediterraneo e nel tempo mi sono chiesta quale poteva essere quindi il modo più giusto per analizzare queste immagini e per raccontare il fenomeno migratorio.

Per prima cosa non dobbiamo avere paura di parlare con i più piccoli di questioni complesse come guerra, povertà o catastrofi climatiche che rendono alcuni luoghi del nostro pianeta oramai inabitabili, costringendo le persone a spostarsi. Raccontare la triste realtà di paesi nei quali sono negati anche i diritti più basilari si può e si deve fare. Non ha senso ignorare certi temi, piuttosto bisogna lavorare alla ricerca di un linguaggio semplice e diretto che può solo aiutare a comprendere un fenomeno che loro già vivono e conoscono: le classi che incontro sono composte da ragazze e ragazzi appartenenti a famiglie di nazionalità diverse e per nessuno di loro quella che vivono è una realtà eccezionale, è la loro normale quotidianità. Non esistono bianchi, neri, né stranieri. I bambini sanno di essere tutti uguali. Siamo noi adulti che a volte rischiamo di dimenticarcelo.

Dopo tanti anni di esperienza ho visto che le bambine e i bambini sono già pronti a indignarsi davanti agli orrori che continuano a ripetersi non lontano dalle nostre coste. Non ho bisogno né di insegnarglielo né di convincerli. Attraversare il Mediterraneo a bordo di imbarcazioni precarie e fatiscenti, senza nessun dispositivo di sicurezza, non solo è estremamente pericoloso, ma è anche profondamente ingiusto. Quando mostro i video delle nostre Missioni in mare nella classe scende un silenzio che sa di riflessione, di presa di coscienza, di ingiustizia.

Sono capaci di immedesimarsi meglio di chiunque altro e nessuno di loro vorrebbe mai fare un viaggio così insieme alla propria famiglia e nel peggiore dei casi da solo. E’ sviluppando e stimolando empatia che realizzano attraverso la nostra testimonianza di essere nati dalla parte giusta e fortunata del mondo, ma non accettano che sia così. Chi ha un passaporto italiano, europeo, vede riconosciuto il diritto alla libertà di movimento e ha accesso a molti più paesi, senza un visto, rispetto a un cittadino siriano, afgano o pakistano. Questo fa diventare il concetto di mobilità non più un diritto ma un privilegio per pochi. Quello che si può e si deve fare quindi è coltivare una coscienza critica che porti le nuove generazioni a rivendicare un mondo più giusto, che sia capace di garantire uguali diritti a tutte e a tutti a prescindere da dove sei nato, dalle tue possibilità economiche, dal colore della pelle o dal credo religioso.

Alla fine dell’incontro regalo a tutti i partecipanti un passaporto simbolico, il passaporto di Open Arms, nella speranza e fiducia che un giorno esista un documento che dia la possibilità a tutte e tutti di spostarsi liberamente, un mondo dove tutti i cittadini godano degli stessi diritti e opportunità. Saluto la II H in un fiume di abbracci e proposte di candidature per diventare soccorritrici e soccorritori. E’ emozionante sentirsi dire che vogliono salire a bordo per darci una mano o vederli cercare nei loro zaini qualche spicciolo per fare una donazione. Ogni volta che esco da una classe penso che se dessimo il mondo in mano ai bambini ci salverebbero in un attimo dalle brutture del nostro secolo e se fossimo capaci di sintonizzarci a pieno con loro scopriremmo che sono dei maestri dai quali abbiamo solo da imparare.

 

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