L’orrore e la vergogna

Foto di Mohammed Ibrahim su Unsplash

Una versione leggermente diversa di questo pezzo è uscita sul Manifesto, che ringraziamo.

Ma qual è il limite del senso di vergogna? Me lo domando sempre più spesso in questi mesi di crescente orrore. Perché certo l’essere umano riesce a sondare gli abissi del Male Assoluto come solo all’essere umano è consentito. Eppure una cosa è il Male e altro è la spudoratezza più insensata, quella capacità di superarsi sempre, oltrepassando ogni limite di umana vergogna. I casi sono innumerevoli, ma negli ultimi giorni siamo arrivati ancora oltre quel fondo che lascia sbalorditi e che spinge a voltarsi dall’altra parte, a dire: va bene, basta, nulla è possibile, fate come credete e finisca tutto come deve finire. Non è disincanto, attenzione. Non è cinismo. È la semplice reazione di fronte all’inimmaginabile. Eppure qualcosa dobbiamo dire, qualche ragionamento ancora dobbiamo farlo. Lo sentiamo dentro di noi. È necessario ancora farci domande.

Come è possibile, insomma, che un essere umano pensante, e teoricamente dotato di quell’emozione chiamata vergogna, dica ciò che hanno detto e ripetuto e che continuano a ripetere gli uomini al governo della cosiddetta “unica democrazia del medioriente” dopo che, tre giorni fa, uno dei missili iraniani ha danneggiato l’Ospedale di Soroka a Beersheba? Le dichiarazioni si sono susseguite una dopo l’altra. Dal Primo Ministro al Ministro della Sanità, dal Ministro dello Sport al Ministro della Difesa, tanto per citare i ruoli di spicco. In toni diversi la storia è sostanzialmente questa: in guerra non si bombardano ospedali, non si danneggiano strutture sanitarie, è atto criminale, vigliacco, indifendibile quello di chi colpisce uomini e donne inermi, a volte addirittura attaccati alle macchine che li tengono in vita, magari uccidendo medici e paramedici. È necessario condannare senza appello un Paese che arriva a tanto.

Dichiarazioni tanto corrette a livello teorico quanto sconcertanti in bocca a chi da più di venti mesi non ha fatto altro. Sanno tutti che trentacinque ospedali di Gaza sono stati bombardati, dati alle fiamme, distrutti. Tutti hanno visto video di bambini morti nelle incubatrici spente, uomini e donne travolti da macerie e fiamme, fosse comuni per i civili inermi massacrati nella devastazione epocale. Tutti hanno visto il collasso del sistema sanitario di Gaza come l’esito di una distruzione scientifica, il folle disegno di chi programma olocausti, perché questo è quello che abbiamo sotto gli occhi a Gaza, un olocausto, dal greco holon, tutto, kaio, brucio, perché tutto è bruciato, tutto, e oggi chi sopravvive a stenti, malattie, fame, trova quotidianamente la morte nei luoghi in cui arrivano aiuti che sono come esche per le mitragliatrici israeliane.

Come si trova il coraggio per superare il proprio senso di vergogna e dire quel che dicono i governanti israeliani, adesso, invocando un’umanità che a loro manca completamente da mesi e mesi e che li ha spinti in questi giorni, mentre fanno dichiarazioni di correttezza e rispetto, a dare il via libera a quelle carneficine di cui ho appena detto, carneficine che sono l’apoteosi dell’olocausto, un’apoteosi poco visibile magari, per via di tutti quei tentativi di impedire immagini, informazione, testimonianze da chi viene ogni giorno massacrato nel gioco più vigliacco che esista: o muori di fame o rischi di essere ucciso mentre prendi un tozzo di pane? Come è possibile non provare vergogna?

E insomma, dove si ferma il senso ignobile di spudoratezza che rende l’essere umano capace di arrivare al controsenso più beffardo? In queste ore infinite, mentre osserviamo senza più trovare ragioni uomini che indossano cappellini colorati e fanno corna e applaudono azioni catastrofiche come fossero davanti a un videogame, non possiamo smettere di farci le domande decisive sulla nostra natura umana. Perché stiamo assistendo a fenomeni che forse ingenuamente avevamo messo da parte nella nostra presunzione di giustizia e verità di marca occidentale.

Ma qui non è solo il Male in gioco, come dicevo. Qui è in gioco il modo di dirlo, esaltarlo e negarlo, quel Male. È qualcosa che insomma supera addirittura il Male stesso. Qualcosa che ci lascia attoniti, inebetiti, e forse quello è proprio l’obiettivo, darci l’idea che è inutile e impossibile dire altro, tanto estremo è lo sconcerto. È ora invece che dobbiamo domandarci ciò a cui sembra impossibile dare risposte. È ora il momento decisivo. Non possiamo permetterci di smettere.

 

Commenti
2 Commenti a “L’orrore e la vergogna”
  1. Cris L’Orsa ha detto:

    Sig.r Nucci,
    Leggo i suoi commenti con molto interesse e condivido molto del suo sentire… anche se, finche’
    ( se mai ) potro’ mettere insieme i suoi scritti con il suo stile/tenore di vita, non potro’ mai esser certa della sua posizione. Diciamo che in teoria la condivido.
    Mente e corpo, per me inseparabili ed equamente importanti. La saggezza dal corpo, l’intelligenza dalla mente. Uniti dalla memoria.
    Mi soffermo sulla vergogna, o l’assenza della stessa di cui lei parla… che dal mio punto di osservazione ed esperienza, e’ un sentimento ricevuto, inculcato nel senso di disagio che si leggeva nel volto di una madre, un padre, un insegnante….un amico o amica ma anche un perfetto sconosciuto quando si valicava un confine proibito. Quel volto che reagendo ad una nostra furbizia a fini personali, si inscuriva giudicandoci a ragione. Lo sbagliato era epidermico.
    Diventavamo piccolissimi, con il volto infiammato… provavamo un disagio che ci avvolgeva interamente e che ci teneva poi, lontano dal ripetere le stesse ignobili gesta.
    Il sentimento era forte, tanto che riuscivamo a vergognarci anche per gli altri, guardandoli agire male, anche fosse stato in tv o in un film.
    Ma come fa la vergogna ad esistere ancora quando non si fa caso o si trova buffo che un bambino o bambina menta, imbrogli o si comporti male verso un altro essere o luogo, per ottenere un qualche vantaggio personale o per stabilire un posizionamento di superiorità’?
    Come puo’ la vergogna esistere quando si compete anche per le cose piu’ sacre… quelle che definiscono delle linee da non oltrepassare… quelle regole che esistono da prima della scrittura che definiscono e rendono possibile il vivere insieme, collaborando.
    Competizioni che nulla hanno a che vedere con il gioco, e che fin da tenera età’ ci vogliono inculcare una scala di valori che nulla ha a che fare con le reali’ e varie capacità’ di ogni individuo, ma piuttosto che il piu’ forte e sfacciato, sia anche “il migliore”.
    Poi si cresce, e si diventa dei trump, dei berlusconi, delle clinton o altri fulgidi esempi di furbizia, vittoria e di arroganza. E dietro tutti gli altri a desiderare, sempre di più’ schiacciati tra il martello del piacere e l’inevitabile incudine del dovere.
    Il se’ non e’ stato sviluppato. Le loro reazioni relative al ricevere. Fin da piccoli presumo. Il dare si esprime solo verso i piani piu’ alti. Sotto nessuno riceve nulla. E’ lo schema dei piramidoni scuri che succhiano la terra e le anime chiamandolo progresso.
    Sono come buchi neri che tutto assorbono e nulla restituiscono, perfettamente svuotati dalla forza motrice che risucchia. Se c’è’ un di la’, noi per certo non lo vediamo.
    Forse l’unica cosa che possiamo fare e’ ricordarci che non sono l’unica realta’: sono la piu’ ottusa e crudele, la piu’ semplicistica. Zero e uno. Tutto li’. Ridurre e codificare. Gonfi di se stessi come palloni.
    La creativita’ e l’immaginazione sono l’unico potere in grado di contrastare il loro imporsi, sbattendogli in faccia il ridicolo che tanto temono, la loro inettitudine di uomini incapaci di creare alcunché’, proponendo migliaia di alternative e di punti di vista altri.
    Sciocchi e pesanti sono coloro privi di vergogna. Non vedono altro che quella fettina velenosa di realtà’ che producono con il loro fare.
    C’è’ altro al mondo. Molto altro e noi dobbiamo prestare attenzione, non lasciare che i loro fumi velenosi ammorbino tutta l’aria. Il dolore c’è’ e la frustrazione pure: non si possono ignorare, ma non possiamo permetterci di dar loro tutta la nostra attenzione, con il rischio di diventare un fenomeno di reazione invece di essere altro.
    E poi, noi consumatori, ( chi ancora puo’ un po’ oltre la sopravvivenza )dobbiamo smettere di armare le mani degli idioti assassini aprendo le porte ad un po’ di sana scomodità’.
    Un po’ scomodità’ ci rende migliori, piu’ rispettosi, capaci di apprezzare le piccole cose.
    Non si puo’ piu’ scrivere o parlare o leggere senza modificare in accordo la propria esistenza. Un pochino alla volta, levando a mano a mano il superfluo.
    L’ essenziale e’ ciò’ a cui si pensa quando il tempo sta per finire. E’ il nocciolo, la bellezza, la sacralità’ e forse anche la funzione delle nostre vite: gli ultimi pensieri che ci lasciamo dietro. Il succo. Il concime. Il nostro piccolo colore/punto di vista a definire, una vita alla volta, il quadro generale, che molto probabilmente non vedremo mai. Al massimo lo immagineremo un po’… uno scorcio. E va benissimo così’.
    Non sono credente ( l’incertezza e’ unica cosa a cui credo profondamente… praticamente la mia certezza, il mio baricentro ) ma fin dal catechismo ricordo la storia di Cristo che caccia i mercanti dal tempio… e mi chiedo dove sia finita quella storia li’ in questi tempi religiosissimi e privi di vergogna e compassione.
    Auspico cerchi, sfere, movimento, varietà’, bellezza, onesta’ e allegria. Anche e sopratutto per tutti coloro che vengono spinti giornalmente in angoli scuri, in recinti, gabbie, sterminati velocemente o lentamente per appropriarsi di qualche risorsa necessaria alla crescita infinita. Ci infuriamo pensando ai popoli oppressi e martoriati lontano da noi, ma dal dopoguerra in poi abbiamo spinto sinti e rom verso la miseria e il degrado, fino a che’ sono diventati quelli da cui tenersi alla larga, roba da bulldozers.
    Auspico uno tsunami di gesti garbati, di domande acute, di poesia distillata e splendente, di immagini che aprono mondi, di musica che trasporta, cura, incanta, insegna e balla… di movimenti agili e bellissimi, di Idee che includono e una natura non più’ costretta a nascondersi. Osservazioni magnifiche, sagge e ponderate, misurate dall’ empatia.
    Ruscelli freschi.
    Tutte queste voci ora singole, volutamente singole ad intonarsi. Il concerto e’ già’ scritto e farà’ impallidire anche la vergogna. Rintanandola dove dovrebbe stare, come un cerbero a difendere l’animo nostro e quello altrui.
    Perdoni la prolissità’. Il mio vivere solitario e silenzioso mi porta ogni tanto a reagire intensamente a quel po’ che mi raggiunge e mi stimola.
    Fa caldo e sento la fortuna di poter far fatica. Una fatica che fortunatamente riduce i miei deliri mentali all’inevitabile. Non cadono missili su di me. Posso raccogliere le zucchine nell’orto. Non devo piangere un corpicino straziato. Non devo urlare il mio dolore. Posso accendere la radio e ascoltare un po’ di musica, quando e’ buona.
    Non devo neanche ammazzare gli animali perche’ non c’è’ nulla per nutrirli. Forse domani. Ma oggi no.
    Sento la responsabilita’ di vivere con rispetto e spero questo sentimento ci sia di aiuto nell’orchestrare il nostro fare. Ogni gesto conta, ogni parola conta, ogni punto di vista… ma solo se siamo noi a condurlo con onesta’ e saggezza.
    Buona fortuna (a tutti noi) grazie per l’articolo e un saluto: come un segnale di fumo da una collina lontana.
    Cris.

  2. Marie Therese Letacon ha detto:

    Buongiorno a tutti.
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