
Le interminabili strade delle metropoli americane si dissolvono silenti nei cartelli luminosi all’imbocco della città di Austin. Le corsie sembrano inseguirsi tutte uguali, battute da auto di grossa cilindrata, gomiti abbronzati che sporgono dai finestrini mentre la stazione radio locale trasmette vecchi classici blues. Austin popolata, Austin rurale, Austin che combatte, Austin che pullula di luci, suoni e contraddizioni. Ma anche Austin che negli anni resta tappa fissa della musica dal vivo, punto nevralgico in cui si snodano locali, bettole e arene dove da sempre si suona. Che cosa? Qualsiasi cosa: blues, country, punk, folk, rock. Devi solo farti avanti, e respirare un po’ di libertà.
Perché se si ha bisogno di una boccata d’aria nel mondo della live music, è ad Austin che si deve andare, la città sul fiume, in mezzo al contadino e arido Texas, un pezzo di terra che agli inizi del Novecento altro non vedeva che cowboy, assolati campi di bestiame e voci da salvare sul registratore. Come quelle inseguite e archiviate da Alan Lomax che proprio ad Austin nacque nel 1915.
Antropologo ed etnomusicologo, autore e produttore, archivista, conduttore radiofonico, e attivista politico, Lomax è l’uomo che ha scoperto Woody Guthrie e Muddy Waters. L’uomo che ha registrato oltre 5.000 ore di musica e folklore per la Library of Congress di Washington, e che proprio per la sua attività di ricerca si è guadagnato l’attenzione dell’FBI. In quella stessa terra, tra sconfinate vedute di grano e alberi da frutto, nel 1933, non ancora diciottenne, Lomax inizia ad accompagnare il padre, John Avery, appassionato di musica popolare e responsabile dell’Archivio della celebre Library of Congress, nelle carceri e nei campi di lavoro negli stati del Sud per registrare i canti dei condannati ai lavori forzati durante la Grande Depressione. Tale lavoro, che venne commissionato dalla WPA, Works Progress Administration, porterà alla raccolta seminale uscita nel 1934 American Ballads and Folk Songs, la più completa di canzoni folk americane, registrate su dischi in alluminio e acetato.
Da quel momento la musica popolare diventa la sua stessa vita, registrando prima, filmando poi. Fra i più attivi e importanti studiosi di etnomusicologia – disciplina che studia l’insieme delle tradizioni musicali che comprendono tutte le espressioni legate a gruppi etnici o sociali, tramandate principalmente in modo orale – Lomax realizza per primo la necessità di creare una collocazione sistematica dei vari generi musicali, connessi ora alla musica nera (quella degli schiavi nelle colonie nordamericane tra la Guerra d’Indipendenza e quella di secessione), ora a quella popolare di origine americana. Assieme al padre, si sposta in lungo e in largo, dalla Virginia al Mississipi, attraversando più di 200.000 miglia, per registrare i canti dei braccianti: in una prima fase le strumentazioni rudimentali permettono loro di fissare il suono su dischi in alluminio della sola durata di alcuni minuti per lato mentre in seguito, i dischi in acetato di maggiore durata, daranno modo ai Lomax di documentare intere funzioni religiose o lunghe narrazioni della tradizione orale.
Il lavoro di Alan Lomax – una volta da solo sul campo – immortala anche la voce di quelli che diverranno personaggi leggendari (come l’impetuoso Leadbelly, il sofisticato Big Bill Broonzy o la regina dello spiritual Vera Hall) non limitandosi peraltro alla sola registrazione di brani ma approfondendo le loro storie con lunghe interviste, scandagliando la vita e gli usi dei singoli e dei loro villaggi, analizzando il contesto sociale ed economico in cui sono nati. È il suono degli uomini, quelli diseredati, dimenticati, delle loro vite, spesso difficili e precarie, a smuovere la curiosità dello studioso. Fino all’inizio degli anni quaranta Alan continua a viaggiare attraverso l’America, con soste in mezzo a tempeste di sabbia e cittadine depresse, catturando le storie e le voci di uomini e donne altrimenti inascoltati al tempo, e dimenticati oggi. Lomax cattura così la Storia mentre sta accadendo. Ai suoi occhi l’America si apre come un libro, e tra le sue pagine c’è una storia che nessuno, fino a quel momento, ha ancora raccontato.
Una storia che prende vita grazie al registratore a cilindri da 315 libbre che riempiva l’intero bagagliaio della Ford Tudor del padre, una storia raccontata dalle centinaia di bobine che hanno conservato le canzoni di lavoro, le ballate, i blues dei carcerati – negli anni ‘30 e ‘40, proprio come oggi, in altissima percentuale maschi afroamericani -, le provocazioni astute e i lamenti per il lavoro brutale sotto il sole cocente del Texas. Una storia che viene resa possibile grazie all’esuberante ed efficacissima capacità di dialogo che Lomax ha con gli informatori, facilitando così la relazione con gli interpreti e la registrazione dei documenti sonori.
Alan Lomax arriva così a incarnare il significato democratico della musica popolare e lo fa illuminando un conflitto perenne: quello tra l’America democratica di Roosevelt e il feudalesimo brutale del Sud razzista, fra città e campagna, fra laico e sacro, fra Africa e America. Creare una vera e propria grammatica universale delle musiche popolari, mettendo in relazione i tratti stilistici con quelli del contesto sociale (rapporti di autorità, ruolo della donna, organizzazione del lavoro) diviene la sua missione che sviluppa brillantemente grazie al concetto di “equità culturale” (che darà il nome all’istituzione fondata nel 1982, Association for Cultural Equity), ovvero la convinzione per cui dovrebbe esserci parità di condizioni tra tutte le espressioni culturali. Lomax ha portato avanti il diritto di ogni cultura di esprimere e sostenere il proprio patrimonio distintivo, di prendere posto tra i principi fondamentali della giustizia politica, sociale ed economica. La peculiarità della sua scelta stava proprio nel voler registrare – e quindi conservare – il mondo sonoro non di star famose ma di uomini e donne che prestavano la propria voce (e la propria storia) a una comunità, preservando la conoscenza di quelle abitudini per le generazioni future.
Dopo anni passati a collezionare registrazioni sul campo (i cosiddetti field recordings), a ricercare il folklore nelle varie culture, promuovendo il concetto di equità culturale, Lomax – molto prima che Internet nascesse – riesce a immaginare un “jukebox globale” per diffondere e analizzare il materiale che ha raccolto durante decenni di lavoro nelle comunità isolate come carceri, campi di legname e ranch da cowboy. Lomax ha immaginato uno strumento che avrebbe integrato migliaia di registrazioni sonore, film, videocassette e fotografie realizzate da lui stesso e da altri. Il Global Jukebox avrebbe reso facile confrontare la musica tra culture e continenti diversi utilizzando un sistema analitico complesso da lui ideato. E l’idea di base era semplice: rendere tutto disponibile a chiunque, in qualsiasi parte del mondo. Ad oggi gli archivi di Lomax, dopo aver digitalizzato i materiali, includono oltre 17.400 registrazioni audio: un’opera maestosa che oltre a estendersi su più continenti e decenni, rappresenta una delle risorse più complete per la cultura popolare. Gli ultimi aggiornamenti hanno reso l’archivio più fruibile, offrendo un facile accesso a migliaia di ore di materiale, che si estende per molti decenni. E al quale si potrebbero dedicare mesi per scovare l’albero genealogico dei suoni del nostro territorio.
“La dimensione dell’equità culturale deve essere aggiunta al continuum umano di libertà, libertà di parola e religione e giustizia sociale. Il folklore può mostrarci che questo sogno è antico ma comune a tutta l’umanità. Chiede che vengano riconosciuti i diritti culturali dei popoli più deboli nella condivisione di questo sogno. E può rendere il loro adattamento a una società mondiale un processo più semplice e creativo. La materia del folklore: la saggezza, l’arte e la musica delle persone trasmesse oralmente possono fornire diecimila ponti attraverso i quali uomini di tutte le nazioni possono camminare a grandi passi per dire: Tu sei mio fratello”.
Ma volersi occuparsi di folk e solidarizzare con i diseredati comporta talvolta dei problemi: intorno al 1940 Alan Lomax risulta infatti indagato dall’FBI, che apre su di lui un fascicolo nel quale si legge: «L’investigazione condotta dimostra che è un individuo molto strano: si interessa soltanto di musica folk, è davvero poco affidabile e scontroso. […] Non dà alcun valore ai soldi, usa la sua proprietà e quella del governo con negligenza, praticamente non si cura del suo aspetto» (da L’anno più felice della mia vita – Un viaggio in Italia 1954-1955, a cura di Goffredo Plastino, Il Saggiatore, Milano 2008, p. 18).
Sospettato di simpatie comuniste nell’America maccartista della caccia alle streghe, Lomax decide che è meglio allontanarsi per un po’, e sceglie di proseguire le sue ricerche in Europa. Arrivato in Inghilterra, inizia una fruttuosa collaborazione con la BBC, incoraggiando con le sue trasmissioni radiofoniche proprio il revival del folk e registrando “sul campo” musiche tradizionali, in contatto con personaggi del calibro di Ewan McColl e Shirley Collins. Rimase in Inghilterra per un po’ di tempo, prima di riprendere a registrare in Irlanda, Scozia, Francia, per poi partire alla volta della Spagna dove la sua ricerca si contrappose alla rigidità del regime di Francisco Franco. Ma Lomax non si lasciò impressionare dalla massiccia presenza della Guardia Civil, riuscendo nonostante tutto ad ottenere preziose registrazioni di canti popolari.
“Sarebbe difficile raccontare l’importanza di ciò che Alan Lomax ha fatto nel corso della sua straordinaria carriera”, sostiene Tom Piazza, autore di un saggio introduttivo per Il viaggio del sud di Alan Lomax. “Era una figura epica in sé e per sé, con un appetito musicale onnivoro e davvero stimolante, che usava le nuove tecnologie di registrazione per andare a documentare l’espressione musicale nella sua forma più locale e meno commerciale”, continua Piazza. “Alan era doppiamente utopico, nel senso che immaginava qualcosa come Internet sulla base del fatto che aveva tutti questi dati e una serie di parametri che considerava predittivi”, racconta John Szwed, professore di musica alla Columbia University e autore di Alan Lomax: L’uomo che ha registrato il mondo.
Indomito e selvaggio, un personaggio la cui importanza per il patrimonio culturale mondiale pare non essere stata sottolineata a dovere. È grazie a lui e ai suoi seguaci se oggi possiamo ascoltare il blues ai suoi albori. C’è chi sostiene addirittura che “senza Alan Lomax forse non ci sarebbe stata l’esplosione del blues e nemmeno Beatles, Rolling Stones e Velvet Underground”. Sono le parole di Brian Eno sulle note di copertina di The Alan Lomax Collection. Può suonare una considerazione forse esagerata ma allo stesso tempo sappiamo che poggia su una verità solidissima. Quei dischi, pieni di una verità altrimenti sconosciuta, erano ascoltati attentamente da molti musicisti americani, Bob Dylan su tutti. Risulta impossibile pensare al folk e al blues revival degli anni 60 (con la conseguente ondata rock e punk) senza dare merito all’ambizioso lavoro di Lomax. Un signore che andava a caccia di musicisti in carne e ossa per intervistarli, registrare i loro lavori, capire i motivi di quel canto, per poi depositare tutto il materiale presso la Library of Congress. Peccato che lo stesso processo, tra l’altro in collaborazione con lo Stato Americano, non sia stato possibile anche in Italia dove abbiamo poco o nulla della nostra musica popolare di inizio XX secolo. Ed è di nuovo grazie al viaggio di Lomax, arrivato nel Belpaese nel 1953, che le sue registrazioni “on field” riescono anche a raccontare parte delle nostre tradizioni musicali.
La ricerca sistematica sulla musica popolare italiana che Lomax ha condotto assieme a Diego Carpitella, nella prima metà degli anni Cinquanta, è perfettamente documentata dalle numerose registrazioni sul campo, un’esperienza unica di cui si può scovare l’essenza nel bellissimo volume fotografico pubblicato nel 2008 da Il Saggiatore: accompagnato dalle annotazioni di Lomax, L’anno più felice della mia vita. Un viaggio in Italia 1954-1955, è stato curato da Goffredo Plastino, con una presentazione firmata da Martin Scorsese e un testo di Anna Lomax Wood.
“L’intenzione dell’autore era di registrare i suoni e le parole della tradizione musicale italiana. Lomax aveva l’impressione che l’Italia sarebbe stata il laboratorio ideale per mettere alla prova una sua nuova teoria, secondo la quale lo stile della voce cantata codificava alcuni profondi segreti dell’umanità. Non si stancò mai di ripetere che il paesaggio sonoro che aveva scoperto in Italia era il più ricco, il più sorprendentemente vario e originale da lui mai incontrato”.
Alan Lomax ha sviluppato una visione globale per la protezione delle culture tradizionali in un momento in cui le minacce alla differenza culturale stavano accelerando, responsabilità che attribuì ai media centralizzati e alle industrie dell’intrattenimento, nonché alle politiche governative. Il suo pensiero così come la sua visione del folklore sono stati caratterizzati da una natura controegemonica, che vedeva il folklore come resistenza, anticipando e plasmando la pratica del costume pubblico contemporaneo. Se è vero che risulta alquanto difficile dire quando e dove esattamente sia nato il blues, di certo si può individuare l’uomo che ha contribuito in maniera indiscussa a raccogliere come un perfetto bibliotecario quella che fino ad allora era l’enciclopedia del suono, un suono che raccontava uomini e donne, tradizioni e luoghi. La fotografia panoramica di un universo unitario scattata da Alan Lomax, pronto a esplorare mondi e culture lontane in tempi sociologicamente complicati, è il motivo per cui dovremmo ringraziarlo: per tutta la musica che c’è.
foto © Antoinette Marchand
una breve biografia romanzata di Alan Lomax si può leggere nella raccolta pubblicata e reperibile qui:
https://p-yo-www-amazon-it-kalias.amazon.it/DIREZIONI-OSTINATE-CONTRARIE-Vite-sono/dp/B0B3K5B5TR
Bellissimo articolo, dice bene l’autrice nel sottolineare il peso campale che ha avuto Lomax per lo sviluppo della cultura sonora mondiale. Peccato non se ne parli mai abbastanza, soprattutto nelle scuole.
Grazie. Non conoscevo questa figura, con cui sono venuto in contatto tramite il post di un caro amico musicista. La esposizione narrativa e la dovizia di particolari repertabili, rendono decisamente interessante questo personaggio, a cui si deve gran parte dei suoni che ascoltiamo oggi. E la importanza della figura di uno storico della musica moderna, viene qui ben evidenziata, come si nota che in Italia sia in parte mancata. Grazie ancora, dona molti spunti degni di approfondimento
Molto interessante questa figura, non conoscevo la storia del viaggio in Italia. Approfondirò sicuramente, complimenti per il racconto e grazie per questa scoperta.
Candidare Alan Lomax a Nobel per la musica