Alcune cose durano a lungo

di Fabrizio De Palma

Il 10 settembre 2019 ci lasciava Daniel Johnston, tra i pionieri della musica lo-fi, oggi giustamente riconosciuto come una vera e propria leggenda delle registrazioni a bassa fedeltà. Non a caso nel suo libro dedicato alla scena – Bassa Fedeltà. Musica lo-fi e fuga dal capitalismo – pubblicato quest’anno da Nero Editions, il giornalista Enrico Monacelli gli ha riservato un intero capitolo. Incredibilmente, di recente D. Johnston è tornato in auge anche nel mainstream grazie a un endorsement inaspettato da parte del regista Tim Burton, che nel suo ultimo film – Beetlejuice Beetlejuice ha tappezzato la cameretta di uno dei personaggi con le copertine dei suoi dischi e altri indizi facili da scovare, almeno per i fan del cantautore scomparso. Un po’ meno probabilmente per tutti gli altri. A cinque anni dalla sua dipartita abbiamo deciso allora di ricordarlo a tutti con l’aneddoto che l’ha reso più famoso.

La storia è questa: agli Mtv Music Awards del 1992 Kurt Cobain si presenta con una maglietta di Daniel Johnston, all’epoca “solo” un cantautore freak “pseudo”-folk, ancora troppo poco noto fuori dalla ristretta cerchia di illuminati, e purtroppo affetto da un disturbo bipolare che lo rendeva qualcosa di simile a un bambino di cinque anni intrappolato in un corpo e nelle paure di un adulto. Anche se era già stato in qualche modo “scoperto” e aveva già pubblicato svariati album – tra cui Songs Of Pain, Don’t Be Scared, 1990, Artistic Vice e il capolavoro Hi, How Are you? (la cui copertina era rappresentata sulla maglietta sfoggiata da Kurt) – quel semplice gesto gli darà una grossa mano ad arrivare, se non al grande pubblico, almeno a un pubblico più ampio di quello che era riuscito a raggiungere fino ad allora.

Scappato di casa in motorino per aggregarsi poi a un circo itinerante a vendere pop-corn, Johnston scriverà e registrerà le sue prime canzoni con mezzi di fortuna per poi regalarle ai passanti, inventando involontariamente il genere lo-fi di tanto indie a venire.

Ascoltate e racconterò la storia
di un artista che sta invecchiando.
Alcuni ambiscono alla fama e alla gloria,
ad altri piace solo guardare il mondo

(da The Story Of An Artist)

Il ragazzo, però, sognava in grande, come mostra bene una vignetta disegnata da lui stesso e pubblicata sul suo profilo il giorno della sua morte, avvenuta per infarto all’età di soli 58 anni:

Daniel voleva davvero “far cantare tutto il mondo con le sue canzoni”, non per la gloria, ma per la sola voglia di comunicare con la gente. Voleva diventare come i Beatles, a cui dedicò più di una canzone (Ndr. The Beatles e Lennon Song), magari essere un one man beatles alla Emitt Rhodes o alla Harry Nilsson, ma non avendone né la voce né il talento strumentale alla fine diventò qualcos’altro: un diamante grezzo della nostra eterna adolescenza musicale che prova a spingersi verso l’età adulta, ma viene continuamente risucchiato dall’infanzia. Non sapeva cantare e nemmeno suonare niente di particolarmente complesso, eppure aveva qualcosa di significativo da dire e lo esprimeva in un modo così sincero, puro e trasparente da riuscire a toccare in profondità il cuore e le menti delle altre persone. Nel corso degli anni ‘80, ‘90 e 2000 se ne innamoreranno in tanti, oltre a Cobain, anche Jeff Tweedy degli Wilco, Mark Linkous degli Sparklehorse, Conor Oberst dei Bright Eyes, Beck, Glen Hansard, Tom Waits e Lana De Rey. Quest’ultima ha persino donato 10.000 dollari per un cortometraggio sulla sua vita intitolato Hi, How Are You Daniel Johnston? – ma per chi fosse interessato a qualcosa di più corposo consigliamo il bellissimo documentario The Devil and Daniel Johnston.

Alcune delle sue canzoni parlano dei suoi mostri interiori, quelli che gli adulti-bambini nascondono sotto il letto, ma molte altre parlano di speranza e d’amore, per questo nei suoi testi puoi incontrare di frequente cose tipo: “L’amore sopporta ogni cosa/ Crede in ogni cosa/ Spera ogni cosa/ Fa’ durare ogni cosa/ L’amore non finisce mai (da Love Defined) oppure “Cause love will see you through/ It’s got to make things new/ The future could be good/ You’ve got to and you should (da Love Will See You Through) o ancora “Don’t be sad, I know you will. But don’t give up until true love will find you in the end”, da True Love Will Find You In The End, che è il suo pezzo più famoso:

 

EPILOGO:

Qualche mese prima di morire, non in una data qualunque, ma il 5 aprile 2019, in occasione del 25° anniversario della morte di Kurt Cobain, Daniel, che esprimeva spesso la sua arte anche attraverso disegni di mostriciattoli e vignette di vario tipo, ne realizza una apposta per ringraziare Kurt di quel gesto lontano che non ha mai scordato – perché come dice in un’altra delle sue tante perle sommerse dal rumore di fondo “alcune cose durano a lungo”.

Così a lungo che non si esauriscono neanche dopo la morte.

 

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