Festeggiando gli ottant’anni di Bob Dylan

di Rossella Farnese

Icona mondiale della storia della musica e della cultura contemporanea americana – Bob Dylan: la nascita di una icona è il titolo di un libro di Elisa Devecchi (Gruppo Albatros, 2011) – premio Nobel per la Letteratura nel 2016, cantautore, compositore, musicista, poeta e artista, Bob Dylan compie oggi ottant’anni.

Nato a Duluth, nel Minnesota, il 24 maggio 1941, con il nome di Robert Allen Zimmerman, Dylan cambiò il suo nome presso la Corte Suprema di New York nel 1962 e scelse “Bob” dato che, come spiega nella sua autobiografia Chronicles – Volume 1 (pubblicata negli Stati Uniti dalla Simon & Schuster), c’erano molti Bobbies nella musica popolare del tempo e “Dylan” con allusione al poeta Dylan Thomas.

Il suo primo album, Bob Dylan, voluto nel 1961 da John Hammond, talent scout della Columbia Records, non ebbe un grande impatto ma sia Hammond che Johnny Cash continuarono ad appoggiare Dylan e nel 1963 con il secondo album, The Freewheelin’, Dylan iniziò a farsi un nome e impressionò anche i Beatles: bellissime canzoni d’amore, come Girl from the North Country inclusa poi in Nashville Skyline (1969) in duetto con Cash, si alternano ad altrettanto bellissime canzoni di protesta, tra cui Blowing in the Wind, dove, come in A Hard Rain’s-A Gonna Fall, coniuga la precisione e l’immediatezza della parola propria della poetica imagista, la tecnica dello stream of consciousness, toni blues surreali e progressioni armoniche del folk.

Nello stesso anno, Dylan e la compagna, Joan Baez, divenute figure di rilievo per la difesa dei diritti civili, cantarono durante la Marcia su Washington in cui Martin Luther King pronunciò il suo discorso I have a dream. E sempre nel 1963 uscì il suo terzo album, The Times They Are a-Changin’ – marcatamente politico, cinico e rinunciatario, si pensi a RestleesFarewell, sebbene non manchino alcune canzoni d’amore, come One Too ManyMornings – con cui “si esaurisce” la prima fase folk in direzione di una svolta stilistica, quella del 1965, inaugurata da BringingItAll Back Home, primo album in cui Dylan è accompagnato da strumenti elettrici e che contiene capolavori musicali e poetici quali Mr. Tambourine Man e It’sAll Over Now Baby Blue.

Nel 1965 Dylan divenne una leggenda del songwriting, in testa alle classifiche con il suo singolo Like a Rolling Stone, e incise l’album intitolato come la strada che porta dal Minnesota, suo stato natale, a New Orleans, capitale della musica, Highway 61 Revisited, che costituisce con l’album precedente, BringingItAll Back Home e il successivo Blonde on Blonde (1966) una trilogia paradigmatica della cultura del XX secolo.

Nel 1966 Dylan fa un incidente, avvolto dal mistero – tentato suicidio, droga, distrazione, guasto meccanico ‒ a bordo della sua Triumph Tiger T100 – nei pressi di Woodstock, al cui Festival rifiutò di partecipare per suonare al Festival dell’isola di Wight, il 31 agosto 1969. Dedito alla causa umanitaria, nel 1971 Dylan suonò inaspettatamente al Concerto per il Bangladesh di George Harrison, con cui aveva scritto l’anno prima I’d Have You Anytime.

Il celebre  singolo Knockin’ on Heaven’s Door, estratto dalla colonna sonora del film Pat Garrett e Billy Kid, risale a due anni dopo: la Columbia Records lo pubblicò nel 1973.

Nel 1975 Dylan scrisse una canzone di protesta in difesa del pugile Rubin Carter detto Hurricane, imprigionato per triplice omicidio nel New Jersey e incontrato in carcere da Dylan, convinto della sua innocenza. Il brano, Hurricane, appunto, fu suonato da Dylan in ogni data del suo tour, la Rolling Thunder Revue, cui prese parte anche Allen Ginsberg.

Verso la fine degli anni Settanta, nel 1978, Dylan abbracciò la religione cristiana ma questa rinascita fu impopolare tra i fan e tra gli amici musicisti: John Lennon scrisse, senza riuscire a terminarla a causa della sua morte, Serve Yourself, in risposta al Gotta Serve Somebody di Dylan.

Gli anni Ottanta e Novanta videro un Dylan sperimentatore, ad esempio con l’album Empire Burlesque (1985), ricco di canzoni rock e brani da ballare, e pluripremiato: World Gone Wrong nel 1993 ottenne il Grammy Award come migliore album folk tradizionale e nel 1997 Time Out of Mind ottenne tre Grammy Awards.

Ed è proprio la sua continua ricerca del nuovo, unita alla bellezza e al valore letterario dei suoi testi, la motivazione con cui gli viene conferito il Premio Nobel per la Letteratura nel 2016 («for having created new poetic expressions within the great American song tradition»).

Menestrello, poeta, un po’ Rimbaud, un po’ Keats, un po’ Blake, icona di stile, Dylan, che non gradirebbe queste etichette, come lui stesso ha dichiarato («Mito, leggenda vivente, poeta elettrico, Me ne frego e mi rompe pure un poco. Nel momento stesso in cui mi rifilano un’etichetta è come se alzassero una barriera tra il pubblico e me. Non lo prendo come un complimento. Per me le parole “leggenda” o “icona” non sono che sinonimi educati per dire “è stato fatto fuori”.») e che non gradirebbe neppure essere identificato come artista engagé («Non ho mai pensato che uno dei miei dischi potesse influenzare il corso delle cose. Se avessi voluto agire sulla società avrei fatto altre cose… Sarei andato a Yale o ad Harvard per diventare un politico o una roba del genere»), è, e per questo resterà immortale, amplificatore dell’Arte, il cui compito, come lui stesso spiega, è quello di «trascinarti via dalla sedia, trasportarti da una dimensione all’altra».

 

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