“La mente è un luogo appartato” di Davide Mazzocco

Ringraziando l’autore e l’editore, pubblichiamo l’incipit del romanzo di Davide Mazzocco “La mente è un luogo appartato”, pubblicato da Alessandro Polidoro Editore.

22 giugno 2011

Ieri sono morto per l’ennesima volta. Sono caduto col mio longilineo corpo ai piedi di un albero. In un ultimo gesto di attaccamento alla vita, mi sono aggrappato a una panchina piombando, poi, come un eroe tragico, come il Danton di Jacques Louis David, un braccio dall’altra parte della spalliera, il resto del corpo accasciato, spento, il capo reclinato. Manfredo ha detto che era buona la prima e non è stato necessario rifare. Ultimamente mi pesa morire, credo sia la prossimità alla fine, quella vera. Sono morto ammazzato e ho ammazzato, mi sono anche suicidato, mi hanno sparato a tradimento, alla testa, al cuore, nello stomaco, accoltellato, avvelenato, crocifisso. Ultimamente, siccome sono vecchio, mi fanno morire di morte naturale. Mi han fatto diventare saggio, dopo che per anni sono stato maleducato, arrogante, protervo, indifferente, egoista, approfittatore, perpetuamente alla ricerca di donne da sedurre, di sfide da affrontare, universi – interiori ed esteriori – da esplorare. Il camaleontico, l’iperrealista, il naturalista, il mimetico Poggi. Ora, dicevo, morire mi costa perché sento che il corpo si spegne e il fiato, talvolta, è corto. Dopo che sono morto siamo andati a mangiarci la pasta con le vongole, poi le seppie ripiene. Mi piace venire a girare al Sud perché si mangia un gran bene. Dobbiamo ancora girare qualche scena di raccordo ma il più è fatto. Come ha scritto Luca Manfredini, a proposito di Onora il padre e la madre, su Il quotidiano, ormai sono «un instancabile erogatore di saggezza». Dice che la mia recitazione «ha raggiunto impensabili vette di essenzialità» anche se, afferma, «il rischio di incappare nella retorica è rimasto intatto da mezzo secolo a questa parte». Sostanzialmente sarei un vecchio trombone. Me ne farò una ragione: fra tre secoli la gente applaudirà ancora le mie interpretazioni, mentre le pagine di Manfredini non sopravvivranno all’eco della sua orazione funebre. Non so se farò ancora un altro film. Mi stanca. Sono sempre stato pigro e in questa condizione, con una gamba mezza invalida e il cuore malandato, la situazione non può che peggiorare. Faccio il vecchio saggio, il nonno, il patriarca. Mi faccio crescere la barba. Castaldi alza la cornetta e mi offre 150mila euro per sei settimane di lavoro. Che faccio? Gli dico di no? «Suvvia, il personaggio è bello. Si gira nel Cilento, in un casale. Manfredo ha scritto il personaggio su di te. Un vecchio fotografo che non scatta più fotografie, con un rullino compromettente e un segreto». Oltre ai 150mila euro mi attirano le seppie ripiene e la pasta con le vongole. Da vecchi si torna golosi come da bambini e io, per mia fortuna, non sono avido di denaro. Forse perché ne ho accumulato così tanto da consentire una vita priva di disagi a tutti i miei pronipoti. Manfredo è bravo. Muove la macchina con grazia e leggerezza, gli piace lavorare sul volto dell’attore, stare sul viso, insistere coi primissimi piani. Mi ha inquadrato le braccia nude e magre con le vene che paiono le radici di un vecchio albero. È un lirico. Ultimamente amo il lirismo: nella vita è più faticoso ma nel cinema è riposante, anche se «il rischio di incappare nella retorica è rimasto intatto da mezzo secolo a questa parte». A me che la retorica ha sempre fatto schifo, da quella fascista della mia infanzia a quella che si pratica al giorno d’oggi, nei salotti televisivi, nella politica catodizzata. Mi sono sempre esercitato a sfuggirle, anche con questo diario che tengo da quasi settant’anni, prendendo appunti sul mio mestiere, sui miei personaggi e nel quale, molto spesso, soppeso gli accadimenti, le gioie e i dolori provati, per poterli far rinascere con la reviviscenza. Perché la memoria non è infinita e certi dettagli che possono essere utili alla mia arte rischiano talvolta di disperdersi. Mario Soprani, uno dei miei maestri di recitazione, mi insegnò il trucco. «Vedila così, il diario è il tuo ufficio». Erano i giorni della fuga da Torino, il 1944 delle bombe e dell’attesa. Lucia fremeva come una bandiera nell’assolata estate. Eravamo a Chieri, di là dalle colline. Tre ore di passi da Torino, un’ora in bicicletta passando da Pino. «Mica ti basta vivere e sentire» ancora, Soprani «devi anche ricordare e un conto è il tuo passato, un altro è il tuo ricordo. Il ricordo te lo addobbi, lo depuri, mentre il diario ti mette di fronte a ciò che sentivi quel giorno. Come lo sentivi quel giorno». Lui, Soprani, faceva l’avanspettacolo. Nei teatri di Torino, Genova e Milano lo conoscevano tutti. O, meglio, tutte.

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From: zoe1972@fastmail.it

To: poggivittorio@fastmail.it

Date: 02/07/2011

Subject: Diploma Francesco

Come sta il mio grande padre? Come procedono le riprese? Sei già morto sotto l’ulivo? Ti scrivo per comunicarti che giovedì prossimo a Castagneto facciamo una piccola festa in famiglia per il diploma di Francesco. La commissione gli ha dato il massimo dei voti e ne ha lodato la grande capacità di scrittura. Da qualche giorno ha preso a rivedere in maniera ossessiva tutti i tuoi film e vorrebbe raggiungerti sul set per poterti vedere al lavoro. Pensi di poter essere presente alla cena? E pensi che Francesco possa venire sul set?

Ti abbraccio forte,

Zoe

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From: poggivittorio@fastmail.it

To: zoe1972@fastmail.it

Date: 05/07/2011

Subject: Cena

Mia figlia diletta,

scusa se ti rispondo con un po’ di ritardo ma, come puoi ben immaginare, è già un miracolo che io abbia imparato a utilizzare queste diavolerie tecnologiche. Il tuo vecchio padre è nato nell’epoca dei calamai e fa ancora un po’ di fatica ad adattarsi ai ritmi veloci di questa comunicazione immateriale. Giovedì è fra due giorni, noi gireremo per un’altra settimana e, purtroppo, non posso allontanarmi dal set anche se ho già girato tutte le scene più importanti. Un paio di settimane fa sono morto in giardino. Ormai sono un professionista del decesso. Manfredo muove la macchina da presa meravigliosamente. Pare che la Global Movies lo abbia contattato per un film sulle Falkland. Io, invece, sento il bisogno di riposarmi e di fare il patriarca nella casa di Castagneto. Non appena Antognoni mi libera dai ceppi corro da voi.

Ti abbraccio,

Tuo padre

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Torino, 8 ottobre 1946

Cara Laura,

la tua mancanza mi toglie il sonno e l’attenzione. Dopo La locandiera, sono al lavoro su un altro testo di Goldoni che dovrei portare in scena a febbraio. Pascucci si è espresso in ripetuti elogi in merito alla mia interpretazione di Fabrizio e vuole darmi il ruolo di Fulgenzio ne Gl’innamorati. Si tratta del personaggio principale ma ciò che più conta è l’apprezzamento di Pascucci che potrebbe concretarsi in un impegno nelle sue opere cinematografiche. Amore mio, forse per noi si dischiude un futuro radioso, una rinascita dopo gli anni della guerra e degli stenti. Mi mancano i tuoi baci, la tua morbida pelle e il tuo profumo che tanto mi inebria i sensi. Al contempo sono felice per il tuo impegno cinematografico poiché la tua bellezza è seconda solamente al tuo talento e le due cose traggono reciproco nutrimento l’una dall’altra. Come lavora Zegna? Mi è stato detto che, spesso, la sua autorità e il suo polso sono risultati sgraditi agli attori. Amelia Pozzi ha litigato lungamente con Zegna e ha detto a Pascucci che mai e poi mai ci girerà più un film insieme. Alla sera, prima di addormentarmi, leggo Paesi tuoi di Cesare Pavese, che avevo già apprezzato come traduttore di Melville e Steinbeck. Ma la letteratura non è l’ultimo dei miei pensieri. Quando spengo la luce non vedo che il tuo volto.

Tuo Vittorio

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21 ottobre 1946

Caro Vittorio,

ricevo con gioia la tua missiva. Sono giorni di grande operosità e di infinita solitudine e le tue parole sono per me un prezioso medicamento. Come un abbraccio, mi confortano e tengono viva la passione che provo per te. I tuoi successi mi riempiono di gioia e mi confermano quanto ho sempre creduto ovverosia che il tuo talento tragga la propria linfa non tanto dalla tecnica che hai maturato in anni di studio, quanto dalla tua infinita sensibilità, una generosità d’animo che non ho mai riscontrato in nessun altra creatura. Sono stati la tua innocenza e il candore del tuo sguardo a spingermi verso di te. E nella lontananza e nei giorni che trascorrono operosi e stancanti questo sentimento non si affievolisce, anzi si accresce nella speranza del futuro radioso su cui si affacciano le nostre vite. Non vedo l’ora di stringermi a te e di accarezzare i tuoi capelli di seta.

Tua Laura

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Torino, 26 febbraio 1947

Cara Laura,

il tuo prolungato silenzio dopo le frasi poco rassicuranti del nostro ultimo incontro mi ha gettato nella più cieca e abissale disperazione. È stato come risvegliarsi da un sogno che anche tu avevi contribuito a coltivare, quello di una vita insieme. È stata soprattutto la tua giustificazione, quella di trovare in Zegna il padre che non hai mai avuto, a lasciarmi totalmente disarmato. Conoscendo Zegna, il suo atteggiamento autoritario e la sua prepotenza, e conoscendo la tua indole indipendente e libera mi risulta davvero incomprensibile la decisione di smettere di frequentarci. Il mio timore è che dietro a questo atteggiamento si nascondano ben altre ragioni che, molto probabilmente, poco hanno a che vedere con le mancanze e i vuoti che senti di avere colmato nelle ultime settimane. Il mio timore è che la tua scelta sia dettata dalle mie mancanze, dall’incertezza che governa la mia vita da quando ho scelto di lasciare il mio lavoro per dedicarmi a tempo pieno alla recitazione. Mancanze alle quali Zegna è in grado di sopperire con la solidità della sua posizione sociale ed economica. Non c’è solo questo. Il mio struggimento nasce anche dal repentino mutamento del tuo atteggiamento nei miei confronti, una metamorfosi che mi lascia a metà strada, in un immenso dilemma: quello di avere assistito a una recita sin dall’inizio e di essermi trovato al cospetto di una persona diversa da quella che avevo costruito nella mia mente. E, se me lo concedi, anche nella mia anima.

Vittorio

 

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