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«Io e il passato  dividiamo una terra nera / io e il futuro dividiamo un’aria senza suono».

Il 26 marzo del 1989, un uomo di 25 anni esce di casa e si dirige alla stazione ferroviaria  di Shanhaiguan, ha con sé una borsa con quattro libri: la Bibbia, i racconti di Conrad, Walden di Thoureau e Kon-Tiki di Thor Heyerdahl, lascia un biglietto «La mia morte non ha a che vedere con nessuno». Si stende lungo i binari e aspetta che il treno lo travolga. Da lì a qualche mese avverrà il massacro di piazza Tian’an Men. Si chiama Hai Zi ed è uno dei maggiori poeti cinesi contemporanei.

È considerato una sorta di leggenda, e col passo leggendario alcuni suoi famosissimi versi viaggiano di bocca in bocca, recitati anche da chi non ne conosce l’autore. Hai Zi è un poeta geniale, luminoso e tormentato. È stato precoce negli studi, nella scrittura e nel dolore.

Un dolore e un tormento che gli hanno consentito di scrivere, in poco tempo circa due milioni di ideogrammi, ma che lo hanno condotto all’isolamento, alle difficoltà relazionali, a fondersi totalmente con la poesia fino a superare il concetto di fusione col testo. Hai Zi è andato oltre, si è sciolto nella sua scrittura, perciò quando si è ucciso, ha solo reso visibile agli altri qualcosa che si era già compiuto e che, come ha lasciato scritto, non li riguardava.

«la solitudine non può parlare».

Grazie al lavoro del curatore e traduttore Francesco De Luca e alla, consueta, lungimiranza di Del Vecchio editore, esce in Italia Un uomo felice raccolta in versi che ci mostra chiaramente la forza di questo poeta.

Il vero nome di Hai Zi è Zha Haisheng. Il poeta si scelse Hai Zi che significa lago. Una scelta molto interessante, fa pensare a qualcosa di chiuso, che può essere molto piccolo o molto grande, può essere cupo o luminoso, a seconda dei riflessi, a tanta acqua nello stesso posto. Acqua che non va da nessuna parte. Viene da pensare alla metrica, al rigore, al fatto che si possa vedere l’altra sponda, che la si potrebbe raggiungere, ma non ce la si fa, nemmeno con la potenza dei versi. Viene da pensare, da supporre, nient’altro. È come se il simbolismo, di cui è ricca la poesia orientale, lo avesse rivestito personalmente, fin da quando era bambino, e allora perché non scegliere anche un nome così simbolico. L’acqua che non va da nessuna parte, fermare l’acqua è una cosa che può fare un dio, che può tentare un poeta.

E se gli spiriti aprissero al mio posto la finestra / se gettassero al mio posto un vecchio libro di poesia / nell’ultima notte di Ottobre / io non scriverei mai più di te.

Le poesie di Hai Zi colpiscono e non lasciano il lettore neppure dopo che questi abbia chiuso il libro. Un primo aspetto riguarda il fatto che Hai Zi non si occupasse nei testi – direttamente – di politica, come era richiesto in Cina in quegli anni; i suoi testi sembrano piccoli quadri, dove sono molto presenti gli elementi naturali, gli alberi, le stagioni, i luoghi, le pietre, l’acqua, il vento, la nebbia. Il grano domina come origine e trasporto di tutte le cose. Il grano è la nascita, è il suo colore, è il sacco che lo trasporta, è ciò che sazia. La natura non è fine a se stessa, Hai Zi la usa per attraversarla, compierla, completarsi. La natura gli serve per dire la solitudine, per mostrare il proprio sentirsi piccolo (seppur consapevole).

Senza alcun perdono e tenerezza, / l’autunno si appresta.

Le stagioni gli occorrono per comunicare l’impossibilità di sfuggire al passo del tempo. La famiglia, specialmente la madre. No, non è un poeta politico, perciò lo è per forza, essendo andato oltre. Hai Zi ha scelto cosa raccontare, cosa gli interessava e cosa voleva che il lettore vedesse: un bagliore, un lampo, una luce improvvisa, un temporale gigante, un paese incomprensibile e difficilmente raccontabile.

Il libro è arricchito da vari contributi, a cominciare da una nota filologica e appassionata di Francesco De Luca, da una lettera del fratello di Hai Zi, da una postazione di Matteo Bocchialini e un’introduzione di Li Hongwei, poeta e curatore di tutte le poesie di Hai Zi. In fondo, inoltre, è possibile leggere alcuni passaggi dai diari di Hai Zi.

le terre lontane sono così, sono / proprio le terre dove io sono.

Il lavoro di De Luca è stato immane perché la poesia di Hai Zi è musicale, il suono conta quanto contano le parole. Quel suono arriva, e questo è merito di chi ha tradotto, al lettore italiano. I versi cullano come cantilene, canzoni, che poi lasciano di stucco e inchiodano come fanno le grandi poesie.

Il culto intorno alla sua figura si è concretizzato dopo la morte, ma il merito di questa fama viene dalle poesie, da questi autunni dolenti, da queste pietre che devono dirci qualcosa, dalle lanterne che illuminano ma solo parzialmente, tenute in mano dai bambini poveri, dai ladri di buoi, dagli alberi maestri, dalle lacrime, dalle notti passate a scrivere ideogramma dopo ideogramma. Questa fama viene dai secchi appesi di notte, dalle grotte, dalla fedeltà a terre lontane, dal senso di sconfitta e da quello di perdita, dalla capacità di osservare e di immaginare, da stanze buie, da osti e padroni da servi e contadini. Da villaggi di raccolti abbondanti che non lasciano traccia.

Da domani, sarò un uomo felice
nutrirò cavalli, spaccherò legna, girerò il mondo
da domani, penserò al grano e alla verdura
ho una casa, davanti al mare,  sboccia la primavera

Da domani, scriverò a ogni parente
dirò loro quanto sono felice
la felicità a me raccontata dal fulmine
io la dirò a ogni uomo

A ogni fiume ogni montagna darò un dolce nome
Sconosciuto, benedico anche te
desidero tu abbia un radioso futuro
desidero coroni i tuoi sogni
desidero tu trovi gioia in questo mondo
io solo desidero davanti al mare sbocci la primavera.

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2 commenti

  1. Un bell’articolo su uno splendido poeta.
    Peccato la nota sul nome, che non vuol dire ‘lago’ ma ‘bambino del mare’ o ‘saggio del mare’. L’immenso, inquieto ignoto in cui abbandonarsi, invece della chiusa e immobile sponda di cui cogliere la regola.

  2. Grazie per il commento sul significato del nome lascio la parola a chi conosce la lingua, che significhi “lago” a me l’ha detto il traduttore/curatore del volume.
    Buona serata
    Gianni Montieri

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Autore

giannimontieri@minimaetmoralia.it

Gianni Montieri, è nato a Giugliano in provincia di Napoli. Scrive per Doppiozero, minima&moralia, Esquire Italia, Huffpost e il manifesto, tra le altre. Prova a incrociare la letteratura con lo sport per L’ultimo uomo, Rivista Undici. I suoi libri di poesia più recenti sono Ampi margini (2022) e Le cose imperfette, editi da Liberaria. Ha pubblicato per 66thand2nd due titoli Il Napoli e la terza stagioneAndrés Iniesta, come una danza. Vive a Venezia. Altre info qui: https://giannimontieri.wordpress.com/biografia/

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