Momento Zanardi. O di come cambiare l’approccio alla vita, nell’anno che cambiò il mondo
Pubblichiamo un estratto dal libro di Federico Vergari Vittorie imperfette, uscito per LabDFG. Ringraziamo editore e autore.
di Federico Vergari
Esiste un momento in cui tutto sembra complesso, difficile e troppo macchinoso e poi esiste un momento successivo in cui quel tutto diventa fattibile, affrontabile, possibile. Vi è mai capitato? Avete presente? Beh, congratulazioni, anche voi avete avuto il vostro Momento Zanardi.
Un Momento Zanardi prevede: uno, la voglia di fare e due, il gesto – più reale che metaforico – del rimboccarsi le maniche. Ci si sporcherà molte volte durante la sua costruzione, ma ne varrà la pena perché quello che rimarrà alla fine del viaggio sarà una cassetta degli attrezzi da tirare fuori per vivere meglio la nostra vita. Un dispensatore di strumenti giusti al momento giusto. Da usare a proprio piacimento e senza chiedere permessi. Un po’ come dire: in caso di necessità rompere il vetro e vivere un Momento Zanardi.
Zanardi si merita la definizione di un suo “Momento” perché è riuscito a restare a galla in un periodo estremamente difficile per lui e per tutti noi. È riuscito a trovare una ragione per non seguire quel canovaccio d’attualità tragicamente banale a cui lentamente tutti ci stavamo assuefacendo, quando ha avuto l’incidente, e ci ha donato – in mezzo a un mucchio di macerie – la speranza che, in fondo, tutti possiamo cambiare il nostro destino, se lo vogliamo.
Zanardi dopo l’incidente ricevette dal cappellano della pista– ancora sul circuito del Lausitzring e prima di decollare con l’elicottero verso l’ospedale – l’estrema unzione. È allora possibile credere che esista una sorta di legge non scritta della vita secondo la quale, se per qualche momento – persino per un prete – sei stato più nell’altro mondo che su questo e decidi di tornare indietro, tu possa vantare, non realmente ma almeno idealmente, una sorta di potere speciale. Il potere di provare a cambiare le cose, le vite, le motivazioni. Ovviamente a partire da te stesso.
Questo, in poche parole è il Momento Zanardi: quando capisci che non serve a niente piangerti addosso e imbocchi la tua strada, accada quel che accada.
L’incidente di Alex Zanardi lo conosciamo tutti e tutti probabilmente ne abbiamo sentito parlare in qualche modo – se non lo abbiamo addirittura vissuto in diretta.
Siamo in Germania, è il 15 settembre del 2001, circuito di Lausitzring nello stato di Brandeburgo. Qui si tiene la tappa europea del campionato Cart un acronimo che sta per Championship Auto Racing Teams, una tipologia di gara che fino a qualche anno prima era denominata IndyCar e che salvo rare escursioni si svolge quasi esclusivamente all’interno dei confini nordamericani. In queste auto Zanardi si sente a suo agio. Nel 1996 ha vinto il titolo e tornare a queste competizioni dopo una poco felice esperienza in Formula 1 è stata un po’ come tornare a casa. Una ventata di aria fresca. Quello che ci voleva per ritemprarsi e ricominciare.
La gara del Lausitzring è strana. A causa del maltempo non si svolgono le qualifiche e la griglia di partenza è determinata dalla posizione in classifica. Piove e Zanardi capisce che partirà dall’ultima fila. Poco male, però. Pian piano risale tutte le posizioni fino alla prima. A tredici giri dalla conclusione è primo ed entra ai box, si tratta di una sosta inaspettata che gli comprometterà la gara. Probabilmente qualcuno ha commesso un errore, ma – anche se il pilota italiano ancora non può saperlo – il podio mancato sta per diventare l’ultimo dei suoi problemi. Quel pit-stop gli cambierà definitivamente la vita. Mentre percorre il tratto di pista che dai box lo riporta sul circuito perde improvvisamente il controllo della monoposto che dopo un testacoda scivola via e si mette di traverso sulla pista. Una prima automobile, guidata da Patrick Carpentier, lo riesce a schivare. Non riesce a fare lo stesso Alex Tagliani.
L’impatto è a “T”, le due macchine si scontrano cioè perpendicolarmente. È devastante. La Reynard Honda di Zanardi si spacca a metà. Nella metà davanti restano le gambe del pilota bolognese. Nell’altra il resto del suo corpo. Le condizioni appaiono subito disperate. I medici cercano di fermare l’emorragia. Il rischio di morte per dissanguamento è altissimo. Viene caricato sull’elicottero e trasportato in ospedale, ma prima l’estrema unzione di cui avete già letto.
Questo è il momento in cui Zanardi deve decidere.
Da che parte stare? Chiudere gli occhi e riposare o continuare a combattere? Morire in quel momento sarebbe davvero troppo facile. E le cose troppo facili Zanardi le ha sempre rifiutate. Dopo circa quattro giorni di coma si risveglierà. Vivo.
Anzi, vivo e con un’estrema unzione da usare come jolly nel futuro, ché non si sa mai. Resterà in ospedale circa un mese e mezzo e subirà oltre dieci operazioni. Uscito inizierà la riabilitazione. E sarà in quel momento che inizierà la sua seconda vita.
Se il Novecento è stato ribattezzato il secolo breve, caratterizzato dai grandi eventi e dalle grandi guerre, allora ci sono buone probabilità che i primi cento anni del nuovo millennio saranno ricordati come il secolo velocissimo. Il 2001 per molti aspetti è il punto di non ritorno per molte storie e molte vite. Per le nostre sicuramente.
Il 2001 è l’anno in cui – per un motivo o per un altro – molti sono andati a dormire ragazzini e il giorno seguente si sono svegliati adulti. Spettatori impotenti di un mondo che iniziava un nuovo corso e un lento declino. È la fine del mondo e noi dal nostro divano e con i nostri mega schermi siamo spettatori in prima fila. Ovviamente paganti. Perché tutto, anche se non sembra, ha un prezzo e la vita prima o poi passerà a presentare il conto. Non una questione di “se”. Ma soltanto di quando. Di individuare l’attimo perfetto per entrare in scena e dire la propria battuta. In questa storia il 2001 è il protagonista che viene a bussare alla porta. Con una testa di ariete.
Molte cose che oggi sembrano normali e sono entrate nella cultura popolare e nel linguaggio comune, sono diventate realtà solo nel 2001. La boxe femminile ad esempio – che fino a quell’anno in Italia era illegale – o Wikipedia o le prime unioni tra coppie dello stesso sesso. Cose che oggi sono scontate soltanto una manciata di anni fa sembravano fantascienza. Nel 2001 non esistevano ancora i social network, ma nonostante ciò, quello fu l’anno dei grandi eventi e della loro narrazione mediatica. Il 2001 è stato l’anno in cui tutto ha iniziato a essere incredibilmente vicino e istantaneo. Consumato e fruibile attraverso schermi e connessioni che oggi sembrerebbero di una lentezza inaccettabile. L’uscita di emergenza da cui guardare il mondo e provare a capirlo, perché all’epoca se una cosa era su internet, in fondo, era probabilmente vera. Niente fake news, niente opinioni di chiunque o informazione spazzatura. Nel 2001, per una discreta fetta della popolazione quello che accadeva
nel mondo, grazie a internet, iniziava ad essere a portatadi mano, di telecomando o di modem. È in quel momento dellaStoria che internet, la televisione satellitare e il nuovo modo difare informazione passano dall’essere dei semplici strumenti a essere gli elementi costitutivi della realtà stessa.
Irrompono nelle nostre case, attraverso il tubo catodico – sì nella maggior parte delle televisioni c’era ancora il tubo catodico – il ricalcolo dei voti in Florida, che per un pugno di schede consegnerà per quattro anni le chiavi della Casa Bianca a George W. Bush. L’omicidio di Novi Ligure. Erika e Omar diventano i nomi di due mostri adolescenti, fidanzatini capaci di uccidere barbaramente la mamma e il fratellino di lei. Sono il vicino che salutava sempre, capace di commettere indicibili orrori, che diventa reale. Può essere chiunque. Può essere vicinissimo. Novi Ligure può essere ovunque. Anche dentro il nostro quartiere. Tutto più vicino. Più plausibile. Si inaugurala stagione – che dura ancora oggi – dei plastici di Porta a Porta. A marzo i talebani entrano per la prima volta negli orari di prima fascia dei notiziari televisivi. Stanno distruggendo tutte le statue pre-islamiche presenti a Bamiyan in Afghanistan. Un’azione di guerra iconoclasta in nome del loro dio. A luglio viviamo la morte di Carlo Giuliani. Anche in questo caso praticamente in diretta televisiva. Quell’estintore e quella mano con la pistola che esce dalla camionetta diventano simboli di cui non avremmo voluto avere bisogno. Genova a fine luglio del 2001 è stata il centro del mondo mediatico. Il corpo senza vita di Carlo Giuliani circondato dalle forze dell’ordine è un’immagine che fa male e distrugge. La morte non è più un tabù e diventa qualcosa di mostrabile. L’11 settembre rappresenta forse l’emblema di questo nuovo mondo. Il crollo delle Torri Gemelle di New York, l’esplosione al Pentagono. Un quarto aereo che precipita in un campo e che sembrava diretto alla Casa Bianca. I video di Bin Laden, il terrorismo che entra – con i suoi comunicati e filmati autoprodotti– nell’agenda dei canali televisivi e dei giornali. Gli aerei dell’American Airlines e della United Airlines che da ogni angolazione possibile penetrano i due grattacieli e le nostre coscienze scatenando l’inferno. Esplodono nelle nostre teste e non se ne andranno via. Mai più.
Questi eventi hanno travolto e sconvolto una generazione ridisegnandone i tratti. Florida, Novi Ligure, Bamiyan, Genova, New York. Questa serie di eventi ha cambiato la percezione collettiva della realtà. Ha cambiato di fatto la lingua con cui leggiamo e interpretiamo il mondo e i fatti. Questa è la fotografia del mondo che ha davanti ai suoi occhi Alex Zanardi la mattina del 15 settembre. Il giorno dell’incidente. Il giorno in cui da New York continuano ad arrivare notizie, ipotesi e la conta dei morti deve ancora iniziare. Florida, Novi Ligure, Bamiyan, Genova, New York e adesso anche il Lausitzring. Il 2001 è stato – per tutti quelli che lo hanno potuto vivere con una certa consapevolezza – un anno incredibilmente forte e duro. Violento e spietato. Una cicatrice lunga quasi dodici mesi senza la quale oggi saremmo tutti molto diversi.
Fate un esperimento. Provate a pensare alle vostre vite prima del 2001 e dopo il 2001. O ancora. Provate a pensare alle vostre vite senza il 2001. Sarebbe tutto uguale? La risposta è ovviamente negativa. Sarebbe tutto diverso.
Poi è arrivato il Momento Zanardi. L’attimo del suo incidente e tutto quello che è successo dopo. Sarebbe stato facile morire. Seguire il copione degli eventi terribili in diretta tv che si stava consumando quell’anno.
E invece no.
È successo altro.
È successo che Zanardi ha deciso di mettersi di traverso con la morte, così come la sua auto si era messa di traverso sulla pista. Zanardi ha deciso di sopravvivere.
Esattamente tre mesi dopo l’incidente è a Bologna, alla premiazione dei Caschi d’oro conferiti dalla rivista Autosprint ai migliori attori del mondo dei motori. È sulla sedia a rotelle e
si alza in piedi sulle protesi per salutare e ringraziare. Ci sono circa quattrocento persone in sala in quel momento. Loro ancora non lo sanno, ma stanno assistendo al primo Momento
Zanardi.Probabilmente Alex in quel momento non ha ancora chiaroquello che gli riserverà il futuro, ma è sicuramente consapevoleche da quel momento ci saranno momenti difficili e momenti diimpareggiabile bellezza. Per lui e per le persone al suo fianco.Due anni dopo l’incidente tornerà sul Lausitzring per completare la gara.
Terminerà i tredici giri che quel 15 settembre il destino glitolse. Quel giorno di settembre se tutto fosse andato secondo iprogrammi avrebbe vinto la gara. Sarebbe diventato un grande, forse il più grande, pilota di Cart. Qualcosa però quel giorno andò storto e allora Alex Zanardi decise di rimboccarsi le maniche e di diventare leggenda.