Il paradosso Gourcuff

gourcuff-teosilvani

Questo pezzo è uscito su L’Ultimo Uomo. (Immagine: fotomontaggio di Teo Silvani)

Yoann Gourcuff ha ventisette anni, l’età migliore per affrontare il Mondiale brasiliano, e ne avrà ventinove quando la Francia ospiterà il prossimo Europeo, eppure le probabilità che partecipi a una di queste due competizioni sono prossime allo zero. Tormentato dagli infortuni, arrivato a Lione (per 22 milioni più bonus) quando il Lione ha cominciato il proprio declino dentro e fuori dai confini francesi, messo in ombra dall’esplosione recente della generazione di Alexandre Lacazette e Clément Grenier, prodotti del vivaio lionese. Grenier a ventidue anni è capitano, organizza pizza party per la squadra nei periodi difficili e ha preso il suo posto in campo, al centro del gioco del Lione; Gourcuff, costretto spesso sulla fascia, è il giocatore con lo stipendio più alto della rosa che lo scorso anno ha totalizzato appena 18 presenze (e quello prima 13 presenze, di cui solo 10 da titolare; il che significa che nelle ultime due stagioni ha realizzato appena 5 gol e 4 assist). Sull’ultimo numero di France Football è rappresentato in una vignetta sulle spalle di Jean-Michel Aulas, presidente dell’OL che, a uno sportello del Tesoro, con la faccia rossa e sudata dalla fatica, chiede una riduzione delle tasse per «persone a carico». Nella vignetta YG ha un sorriso stupido e gira la testa in direzione di una farfalla.

Se lasciasse il mondo del calcio di lui rimarrebbe un ricordo triste, quello di un talento espresso solo in parte, ma anche così è doloroso guardare i video del suo periodo d’oro e pensare: “Wow, sembra proprio Zidane”. Se lasciasse il mondo del calcio per fare, che ne so, l’attore, il modello di biancheria intima, almeno potremmo mettere le cose in prospettiva. Potremmo ragionare sulla differenza tra sembrare Zidane, muoversi come Zidane, fare la veronica come Zidane, guardare da sotto un paio di sopracciglia sporgenti come Zidane, e diventare davvero “il nuovo Zidane”. O sulla quantità di variabili che devono allinearsi positivamente perché un calciatore dotato in  maniera ridicola di tutto quello di cui si può avere bisogno per ambire ai traguardi maggiori abbia una carriera all’altezza o per lo meno decente.

Il primo gol di YG in Ligue 1 con la maglia del Rennes, stagione 2005-2006.

Invece capita, tra un infortunio e l’altro, tra una ricaduta e la ricaduta della ricaduta, che YG torni in campo e faccia qualcosa di così sorprendente che sembra davvero tutto ancora possibile. L’ultimo dei momenti Gourcuff (quei momenti in cui, appunto, non si può fare a meno di pensare: “Wow sembra proprio Zidane”) è di quest’estate, quando alla prima giornata di campionato ha realizzato due assist (entrambi, primo e secondo, notevoli) e un gol. Una punizione da trentadue metri, calciata forte e a giro, con una parabola alta a uncino che si piega all’ultimo sotto l’incrocio dei pali. YG ha preparato la punizione con i passettini divertenti che fa sempre prima dei calci da fermo, ha seguito la traiettoria della palla come il campione mondiale di bowling prima dell’ennesimo strike. Si è tolto qualcosa dal naso con una mano girando su se stesso in senso orario, non si capisce bene se per scrollarsi di dosso l’abbraccio dei compagni, con l’aria fiera ma anche a testa bassa.

La punizione perfetta. 

Il venerdì successivo YG ha segnato ancora contro il Sochaux e al giornalista dell’Equipe che gli ha chiesto come si sentisse a essere in testa alla loro classifica di rendimento ha risposto compiaciuto e pessimista: «Per me le statistiche contano meno che per voi. Io sono già contento di essere in campo». Libération gli ha dedicato una pagina intera, descrivendolo sia come: «Un utopista con le idee chiare, seguace di un gioco soave e collettivo mentre tutto intorno a lui è violenza e aggressività»; sia come «un tipo furbo, contento di sé, quasi provocatorio quando commenta le partite […] con un paio di stupidaggini tipo: “Quello che conta è il collettivo”, o ancora: “Mi concentro sulle mie sensazioni con il pallone”». Rémi Garde, allenatore dell’OL, ha persino detto di vedere «un giocatore liberato, contento di far parte del gruppo».

Poi nel giro di una settimana il Lione ha perso tre partite (facendosi eliminare dalla Real Sociedad in Champions League con un complessivo 0-4), Didier Deschamps ha deciso di non convocarlo in Nazionale per motivi di «concorrenza» (la fascia sinistra è di Ribery e al centro preferisce Valbuena o Grenier) e alla quarta giornata YG si è infortunato alla coscia uscendo dopo neanche un tempo. Era il 31 agosto e due mesi dopo non è ancora tornato in campo. Adesso forse si allena col gruppo e magari sarà presto disponibile ma quanto passerà prima del prossimo infortunio o, peggio, della prossima prestazione eccezionale che ci illuda di nuovo che Yoann Gourcuff sia sul serio uno dei migliori calciatori della sua generazione?

Il career high di YG risale alla stagione 2008/9, quando aveva ancora ventidue anni, al Bordeaux in prestito dal Milan, dove non ha trovato spazio e/o non è riuscito ad ambientarsi (Berlusconi diceva di confonderlo con Kakà guardando gli allenamenti, mentre Ancelotti nella sua autobiografia lo ricorderà come un ragazzo «strano, molto strano, egocentrico: pensava sopratutto a se stesso, aveva potenzialità pazzesche, però le teneva tutte per sé»). Si tratta di un unico e lungo momento Gourcuff composto da momenti Gourcuff più brevi, che si concluderà con la vittoria del campionato del Bordeaux dopo dieci anni di astinenza e la consegna a YG del premio come Miglior Giocatore del campionato. Come punto di inizio si potrebbe prendere l’11 ottobre 2008, giorno in cui YG in Romania, alla sua seconda presenza da titolare con la maglia della Nazionale, ha lasciato partire un tiro da lontanissimo, traversa-gol, che è valso il 2-2 finale. (Wow, sembra proprio Zidane: ZZ all’esordio in Nazionale nel 1994 ha segnato una doppietta contro la Repubblica Ceca, portando il risultato sul 2-2: e il primo dei due è un tiro da lontano di sinistro meno bello di quello di YG, ma ZZ prima aveva saltato un uomo con un elegantissimo doppio passo).

Il primo gol in Nazionale. Salvatore della patria.

Una settimana dopo, in campionato contro il Tolosa, si ritrova al limite dell’area di rigore con la palla tra i piedi in mezzo a due avversari, ma è di traverso rispetto alla direzione del gioco, fronte al fallo laterale, e senza lo spazio per girarsi si sposta la palla di suola all’indietro e, da dietro la gamba d’appoggio, se l’allunga di piatto oltre i difensori. Poi calcia con decisione anche se al centro e la palla entra. Intervistato da Liberation spiega: «Per due o tre secondi mi sono trovato in una situazione strana. La palla non era mia. Ma neanche del mio avversario diretto. In effetti non era di nessuno. Ambiguo». In quello stesso articolo si dice che YG era «un pelo ombroso, lo sguardo pesante, come fosse truccato», e che rispondesse controvoglia alle domande personali: «Non ho voglia di parlare di me. Non lo so fare. Richiede un sacco di energia. Tutto ciò che viene scritto e detto non può che disturbare il piano del gioco».

Tra i soprannomi che hanno dato a Yg il migliore è “GourCruyff”.

Non sembra un tipo affascinante ma è sicuramente bello (a quanto pare  ci sono ragazze che caricano su YouTube video di calciatori belli ripresi in istanti avulsi dal  gioco con sotto canzoni che le fanno sognare, per questo ci sono video di Gourcuff, che in bretone significa “homme doux”, con rallenti dei suoi sorrisi, dei suoi capelli bagnati, di magliette lucide di sudore appiccicate al suo plesso solare – quelle stesse ragazze curano anche tumblr e blog molto documentati e utili, probabilmente con la speranza di arrivare a conoscerlo e finire col gestire il suo sito ufficiale) e il 5 dicembre dopo la partita contro il Valenciennes resta in mutande in mezzo al campo. Grazie allo spogliarello viene eletto “Bomba del mese” da Tetu, magazine LGBT. Contemporaneamente i giornali e i lettori bretoni lo scelgono come “Bretone dell’anno”, davanti a JM Le Clézio che proprio quell’anno aveva vinto il Nobel per la letteratura.

Al culmine di un periodo simile, l’11 gennaio 2009, YG segna quello che è il suo gol più bello di sempre (e uno dei più belli che io abbia mai visto) contro il PSG. Quando riceve palla è al limite dell’area, spalle alla porta e alla linea difensiva avversaria. Prima si gira con una veronica, evitando un difensore in arrivo da sinistra. Poi, fronte a un altro difensore, lo salta con un cambio di piede destro-sinistro (non so dirlo meglio di così, in Spagna per Iniesta usano il termine “croqueta”). Infine, per evitare un terzo dribbling su un difensore in arrivo, calcia di esterno destro sul secondo palo. Parlando della veronica sul canale del Bordeaux dice che «lo scopo è l’efficacia, non lo faccio solo per la bellezza del gesto». Che lui crede nella predisposizione naturale ma che «poi bisogna lavorare quotidianamente, ripetere i gesti».

I tifosi allo stadio esultano una seconda volta quando viene mostrato il replay.

YG fa un altro gol memorabile contro il Le Havre controllando un pallone di tacco, cioè di piatto ma sempre dietro la gamba d’appoggio («Pensavo che il difensore riuscisse a spazzare l’area, mi ha un po’ sorpreso») e il Bordeaux vince il campionato interrompendo il dominio del Lione che durava da sette anni (quindi YG ha cominciato quel declino dell’OL che poi finirà per simbolizzare). In tutto ha realizzato 12 gol e 10 assist e vince meritatamente il premio come Miglior Giocatore che gli consegna proprio Zidane. Una specie di passaggio di consegne. YG, con una camicia bianca a maniche corte e una cravatta disegnata sopra, lo chiama «Monsieur Zidane». Nel 2008 ZZ aveva detto: «Io sono stato paragonato a Platini. La prima volta fa piacere. Poi la seconda… meglio passare ad altro. Gourcuff è Gourcuff, punto e basta». Adesso mostrano in parallelo i loro movimenti e chiedono a ZZ se gli secca che YG gli abbia rubato la veronica: «Be’ no. Perché anch’io l’ho rubata senz’altro a qualcuno». Ma è vero che stiamo seguendo un po’ la stessa traiettoria (…) Poi voilà, c’è del talento, si vede, sono contento per lui perché, voilà, è un bravo ragazzo». Qualche mese dopo (nelle prime tre giornate della stagione 2009/10 realizza due doppiette e due assist) Michel Platini dirà che Yoann Gourcuff si muove come Zinedine Zidane ma «ha un maggiore senso del gol». YG arriva ventesimo al pallone d’oro con sei voti (Ribéry, ventottesimo, ne prende uno solo).

YG e Chamak prossimi alla telepatia.

Prima di passare al career low c’è un video fondamentale di cui tenere conto. È più o meno del marzo 2009, quindi esattamente in mezzo al periodo d’oro di YG. La Nazionale francese è in ritiro a Clairefontaine e sono stati chiamati dei campioni di ping pong a dare una dimostrazione e scambiare qualche palla con i giocatori. Prima si vede Thierry Henry letteralmente bombardato di palline. Titi si diverte, prova a prenderle tutte e i compagni che guardano lo incitano, sono con lui. Poi si vede YG nella stessa situazione, si muove rigido da destra a sinistra scivolando sul parquet del salone, si sta impegnando per fare del suo meglio, è concentrato e questo lo rende ridicolo e scatena le risate dei compagni, non sono con lui. Quando lo scambio finisce lascia la racchetta sul tavolo e torna al suo posto ingobbito, con un sorriso timido e le braccia incrociate. In un momento successivo si vedono sia Henry che Gallas schiacciare appena possono con tutta la loro forza, si sente la stanza fare «Olééé», Evra si diverte moltissimo e dà il cinque a Benzema. Persino Domenech ride. Poi vediamo di nuovo YG. Chiude uno scambio che si svolge nel silenzio quasi assoluto con un rovescio bello e impostato, da tennista, con un angolo stretto. I suoi compagni reagiscono con un «Ehhhh» di ammirazione. È questa differenza tra un «Olééé» e un «Ehhhh» a sembrarmi importante per capire Yoann Gourcuff.

Pressione.

Career low. YG arriva al Mondiale 2010 con un carico di aspettative ben rappresentato dalla pubblicità Adidas con Zidane dal barbiere. La voce fuori campo comincia: «Un playmaker di talento ha le speranze di una Nazione intera sulle sue spalle». YG è sullo stesso piano di Kakà e Messi: «Ogni squadra ha bisogno del suo creatore, ma chi sarà a portare la propria alla vittoria?». Ma il suo stato di forma non è quello dell’anno prima: i primi infortuni, il calo del Bordeaux che getta nove punti di vantaggio in campionato e si fa soffiare il titolo dall’Olympique Marsiglia, con cui perde anche in finale di Coppa di Lega, poco prima di farsi eliminare dal Lione agli ottavi di Champions League. Già a febbraio 2010 France Football si chiedeva a proposito di YG: «Il suo calcio è meno seducente dello scorso anno? Perché influisce meno sul gioco?». (Non che siano mancati momenti Gourcuff come la punizione incredibile più o meno voluta contro l’Olympiakos). Il preparatore fisico del Bordeaux sostiene che il problema non sono le troppe partite: «Ha bisogno di correre, è fisiologico: lui recupera correndo. Ha un volume di gioco straordinario e delle capacità aerobiche fuori dal comune, recupera correndo a 16 Km/h e non a 10 Km/h come gli altri calciatori. Però è un perfezionista che vuole fare sempre tutto bene: tecnicamente, tatticamente, e su questo dobbiamo contenerlo. (…) Deve imparare a relativizzare e a capire che non giocherà sempre il tipo di calcio che desidera».

La Nazionale francese si qualifica al Mondiale solo grazie al doppio spareggio con l’Irlanda e il tocco di mano di Henry nei tempi supplementari (YG era uscito tra i fischi dello Stade de France due minuti prima del novantesimo). Il pubblico francese non si riconosce più nella Nazionale e se è vero, come dice Christian Gourcuff, padre di Yoann e allenatore da più di dieci anni del Lorient, che «dopo la vittoria del Mondiale del ’98 la Francia ha iniziato ad appassionarsi al calcio senza che ci fosse veramente una cultura calcistica», la Nazionale del 2010 è la nemesi di quella black blanc beur simbolo d’integrazione. Contro l’Uruguay, all’esordio, finisce 0-0. YG gioca dietro ad Anelka, con Ribéry e Gouvu sulle fasce, ma qualcosa non funziona. Anche se per YG il problema è «collettivo», Domenech decide di tenerlo fuori per la seconda partita.

Tutti i tocchi di YG contro l’Uruguay.

Contro il Messico, con Malouda a sinistra e Ribéry spostato al centro, e YG che non gioca neanche un minuto, la Francia perde 2-0. Anelka sostituito a fine primo tempo offende Domenech e viene cacciato dal ritiro. Evra e Ribéry in conferenza stampa parlano di un traditore e la squadra rifiuta di allenarsi. YG c’entra poco con quello che forse è il momento più drammatico della storia del calcio francese, se volete questo è l’aspetto tragico della faccenda, ma la stampa lo dipinge come il bravo ragazzo con una bella faccia vittima di un gruppo di coatti di periferia (senza mai esplicitarlo ne fanno il simbolo della Francia bianca, anche se i bretoni da molti francesi sono considerati quasi come degli immigrati). Secondo l’Equipe quando YG incontra Ribéry (che oltre ad essere un burino è anche convertito all’Islam) evita di incrociare il suo sguardo e si incolla al muro: «Come il primo della classe si sposta davanti al capetto per paura di prendere un schiaffo». Si dice addirittura che la sua esclusione nella seconda partita sia stata voluta da Zidane.

Contro il Sud Africa, YG torna titolare. Se la Francia vince passa il turno, nonostante tutto, ma dopo venti minuti sono già sotto 1-0. Cinque minuti dopo su una palla contesa nell’area di rigore  sudafricana YG salta per colpire di testa, anticipa di molto il suo avversario diretto che finisce contro il suo gomito a squadra e l’arbitro pensando a una gomitata volontaria non ci pensa due volte e lo espelle. «Il pallone stava arrivando e ho preso lo slancio, allargando le braccia. La sua testa ha sbattuto sul mio avambraccio… mi sono stupito. È stata dura».

Wow, sembra proprio Zidane che esce dopo la testata a Materazzi! 

La Francia perde 2-1 e il Mondiale finisce con Henry a colloquio da Sarkozy, allora Presidente della Repubblica, le dimissioni del presidente della FFF, Domenech che viene sostituito da Laurent Blanc, Evra e Ribéry (e Toulalan) sospesi per poche partite per il ruolo tenuto durante lo “sciopero di Kinshasha”, quando la squadra ha rifiutato di allenarsi. Una volta tornato in Nazionale, Ribéry assicura che non ci sono mai stati problemi con YG. In conferenza stampa pronuncia male il suo nome, come se al posto della G iniziale e dalla C in mezzo ci fossero due K: «Non so dove la siete andata a pescare questa cosa tra me e Yoann Kourkuff. Non ho mai avuto problemi con Yoann Kourkuff». (Mi sento un po’ in colpa a descrivere i difetti di pronuncia di Ribéry perché quello del francese parlato male è un argomento che l’élite francese usa per discreditare i calciatori milionari di umili origini). Ribéry continua: «La sola cosa che posso… non è che ce l’ho con Yoann… ma ho discusso con lui durante la Coppa del Mondo, non mi piaceva che mi facessero passare per il cattivo e lui per la vittima… e la cosa che mi aspettavo da lui, voglio dire a un certo punto avrei voluto facesse una smentita e che vi venisse a dire che non aveva problemi con me. Non l’ha fatto, ormai non fa niente, sono qui e non vi nascondo che dobbiamo chiarirci io e lui».

Ci sono altri due video extra-calcistici di YG significativi dei problemi calcistici di YG. Il primo è quello di YG intervistato da una bella donna (Cécile de Ménibus) su una barca a remi in mezzo a un laghetto come due innamorati. «Dicono che hai un carapace», fa lei. «Mi piacerebbe che mi lasciassero in pace, certo», risponde YG. Gli viene chiesto della Coppa del Mondo: «Mi ha dato un’altra visione del calcio. Una visione che non mi pia… che è lontana dalla mia. È vero che dopo ero un po’ nauseato». «Hai pensato di smettere?» «No. Perché comunque è la mia passione. È vero che ultimamente non riuscivo a divertirmi in campo». Poi la bella intervistatrice gli chiede: «Sennò il futuro come lo vedi?» «Faccia fatica a immaginarmi nel fu…» Ma lei lo interrompe: «Con me? No?»

Il secondo è il documentario di Canal Plus sul periodo passato da YG nel sud della Francia dopo l’infortunio al ginocchio del 2012 (con Tiburce Darou il fisioterapista dei giocatori francesi dell’Arsenal, un tipo anziano buffo e affascinante, che zoppica da una scena all’altra in tuta con i capelli lunghi bianchi spettinati). YG lavora con serietà e mette tutto se stesso negli esercizi. Recupera in anticipo sui tempi e una maratoneta che si allena con lui dice: «È mostruoso. Non ho mai visto un calciatore correre a medie di 19, 22 Km/h». YG è un ragazzo bellissimo e dolce (a proposito, questa è la sua ragazza) che indossa sciarpe anche all’interno, infilate nei maglioni di lana, e parla perfettamente francese. È gentile ed educato. Fatica a dire la parola «odio». Sorride anche. Sorride imbarazzato. Ma nelle poche situazioni pubbliche, quando gioca a basket su una carrozzina per allenare le braccia insieme a una squadra  di paraplegici (così come nelle molte foto coi fan che si trovano su internet) ha l’aria di uno che non vede l’ora di andarsene.

Ispirazione.  

Quello che mi sembra interessante è come alla base dei problemi di YG ci sia un’inconciliabilità di fondo tra le sue capacità tecniche e il suo tipo di carattere. Al di là degli infortuni che hanno caratterizzato i tre anni al Lione, tra momenti Gourcuff tipo un assist di petto per Gomis e alcune partite in cui è sembrato esplosivo anche se meno fluido, costante, capace di resistere al pressing e di tessere trame con grande qualità, facendo pensare che potesse tornare ai livelli del 2009, deludendo ogni volta questo genere di attese con altri infortuni o prestazioni mediocri (ma non sempre per colpa sua, come quando Laurent Blanc, suo allenatore al Bordeaux, ha deciso di escluderlo dall’Europeo del 2012).  Nel 2005, in un’intervista a Ouest France, YG non sa quale sia il suo peggior difetto: «Credo che la timidezza mi tiri dei brutti scherzi. La gente non mi vede per come sono davvero. Non sono freddo e chiuso. Sono piuttosto generoso». A dir la verità il giornale gli aveva chiesto quale fosse il suo peggior difetto e quale il miglior pregio, ma alla parte sul pregio YG non ha risposto. Nel 2009 il padre, suo consigliere tranne quelle due domenica all’anno che giocano contro («Quando ha la palla vorrei la perdesse, è semplice») spiega all’Equipe la personalità di YG: «Yoann è un’introverso che sa analizzare il contesto (…). Ci sono degli introversi che non sanno fare passi verso le altre persone, ma Yoann non è così».

Gourcuff in slow-motion è l’equivalente calcistico di Federer: un modello classico, la manifestazione terrena di un’armonia superiore tra uomo e gioco del calcio, un tutorial vivente di come si controlla e colpisce una palla. Ovviamente il fatto che sia bello aiuta, ma la sua bellezza sta anche nel fatto che in molti calciatori sanno fare una veronica ma pochi con quell’insieme di grazia e potenza. Per quanto però il paragone col tennis possa sembrare pertinente (a dodici anni Yoann era abbastanza bravo da  partecipare all’Open Super 12 di Auray, un torneo di livello internazionale a cui è uscito al primo turno e che quell’anno è stato vinto dal suo quasi coetaneo Rafael Nadal) nessun calciatore può permettersi quel tipo di solitudine. Gourcuff padre racconta di avergli fatto guardare videocassette del Brasile di Pelé fin da quando aveva cinque anni, che è stato questo a renderlo «sensibile ai gesti tecnici». Una sensibilità che YG ha faticato praticamente da sempre a comunicare se è vero (come ha scritto Liberation nel 2009) che già tra gli educatori del Rennes c’era chi gli rimproverava la lentezza con cui sembrava «scomporre i gesti come se lo si stesse guardando sotto la luce di uno stroboscopio».

YG palleggia da solo.

«Da solo in campo, non sono niente», ha spiegato YG all’Equipe. «Le mie qualità sono adatte al gioco di squadra, non sono il tipo di giocatore che prende palla e dribbla venticinque persone. Non lo so fare. Non sono Cristiano Ronaldo, non sono Franck Ribéry (…) Per me non dribblare è un segnale positivo. Significa che ci sono molte opzioni intorno, che si riesce a trovare l’uomo smarcato». O ancora, a Ouest France in tempi recenti: «Non mi considero come un creatore. Preferisco dire che sono un passatore. Ho bisogno di toccare molte palle. Non per tenerle, ma per farle circolare. Cerco di mettere le mie qualità individuali al servizio della squadra (…) Cerco sopratutto di giocare nel modo più semplice possibile, che è la cosa più difficile di tutte nel calcio. Riuscire a vedere la soluzione prima dell’avversario, trovare il compagno al momento giusto, o al posto giusto, e continuare l’azione, questo è il mio lavoro. Non faccio molti dribbling. I soli che faccio sono per tenere palla, non per andare in porta. Non ne avrei la velocità. Riesco a correre bene senza palla, ma con la palla tra i piedi no».

Quindi Yoann Gourcuff è un playmaker. Non per niente i suoi modelli sono Redondo, Zidane, Rivaldo, Seedorf, Pirlo, e tutti quei giocatori «che hanno qualcosa in più, a loro agio quando si tratta di tenere palla, che corrono con classe. Mi piacciono le sequenze controllo-passaggio pulite».

Il paradosso del playmaker è che pur essendo il ruolo interpretato, di solito, dal giocatore tecnicamente più dotato della squadra per giocare bene dipende dai suoi compagni e dal tipo di relazione instaurata con essi. Se il playmaker non riesce a rendere partecipe del proprio talento chi lo circonda in campo, se per qualsiasi motivo i compagni non si fidano di lui, non gli fanno giocare un numero sufficiente di palloni e non si muovono creando possibilità di attacco, la sua incidenza sulla gara e anche la sua creatività diminuiscono (una cosa simile, anche se più brutale, succede nel football americano quando la difesa decide di boicottare il quarterback). Ma non è il problema dell’uovo e la gallina, saper risolvere questo paradosso è parte delle caratteristiche di tutti i grandi play. Gourcuff pur non essendo un individualista, per caratteristiche di gioco e filosofia, non è riuscito a sciogliere la tensione tra individuo e collettivo. J-L Gasset, allenatore in seconda di Blanc, racconta che anche se a volte avrebbe voluto dirgli di mostrare chi è veramente quando ha la palla tra i piedi, sapeva che YG avrebbe risposto una cosa del tipo: «Come faccio se i miei compagni non me la passano, la palla?». In questo senso lo spostamento a sinistra subito negli ultimi anni è sintomatico del fallimento di YG come meneur de jeu. «Mi diverto poco in una posizione non mia», ha detto l’ultima volta che è stato chiamato in Nazionale per sostituire Ribéry a sinistra. «Al centro posso influenzare il gioco, orientarlo, essere il fulcro del gioco collettivo. Ho bisogno di toccare molti palloni, di passare, di muovermi, di essere attivo per avere fiducia in me stesso e poter provare cose. Si ha più libertà di espressione al centro e si resta concentrati».

Quando YG era un bravo ragazzo ma di carattere.

YG è davvero un ragazzo troppo educato (come dimostra il video in cui l’allenatore del Saint-Etienne che, per non offendere i propri tifosi, rifiuta all’ultimo di stringergli la mano dopo il derby, e YG che fa addirittura un piccolo gesto di comprensione col braccio sinistro) per le pressioni del calcio di alto livello, ma il suo limite caratteriale è anche un problema tecnico. Abidal diceva di Zidane: «Avrei fatto di tutto perché fosse contento di me. Io che col destro non so che farci facevo finta di sapere giocare con entrambi i piedi» (qui al minuto 25.20). Al tempo stesso ZZ, non esattamente il massimo dell’espansività, dopo la vittoria della Francia con il Brasile nel 2006 grazie una delle sue migliori partite in assoluto, ha ballato sul tavolo dello spogliatoio pur sapendo di essere ridicolo per far ridere i compagni.

YG finora ha preferito difendersi dai messaggi che arrivavano dall’esterno e messo in difficoltà da un ambiente ostile si è rifugiato in un’idea solipsista di calcio: «Io resto me stesso. Mi concentro sul gioco. Vado rispettato con la mia personalità. Appena una volta non sorrido si dice di tutto e di più. Ma se non sorrido è perché sono totalmente concentrato sul mio lavoro e alla ricerca delle sensazioni giuste». Non è narcisismo: in questo modo YG pensa di non dipendere dal giudizio degli altri. Il problema però è che anche limitando il proprio gioco alle sensazioni interne, rinunciando a fare da fulcro, YG continua a fare i conti con la fiducia di compagni, dirigenti e tifosi e con il modo in cui tutto questo lo influenza. In un’intervista televisiva particolarmente crudele in cui gli mostrano il gol contro il PSG parlandogli del periodo in cui “camminava sull’acqua” dice che: «Cose di questo tipo si fanno quando si ha confidenza col pallone e autostima. Oggi come oggi il mio gioco ha perso spontaneità, rifletto di più, mi assumo meno rischi». Il presentatore gli chiede: «E come ci si libera?». «Non lo so. Provando a ritrovare piacere in campo. Provando di nuovo quel tipo di cose, anche a costo di sbagliare.»

Commenti
Un commento a “Il paradosso Gourcuff”
  1. SoloUnaTraccia ha detto:

    Non è un paradosso: è la natura. Dato il suo carattere, avrebbe fatto meglio a giocare a tennis. A calcio si gioca in undici, e la maggioranza è composta da gente che se non fosse miliardaria in calzoni corti starebbe in galera o in obitorio con qualche pezzo di metallo in corpo, non fini psicologi come l’autore del pezzo.
    Zidane è stato tutto quello che ‘sto ragazzo non potrà mai essere (nemmeno volendo, ma non vuole nemmeno): un boss.
    Pezzo bellissimo e vano. Migliore, in ogni caso, degli apprezzabili gol di Gourcuff (così pochi che non si fatica a ricordarli). Quindi un po’ meno vano.
    Merci.

Aggiungi un commento