Fin che ci trema il cuore, Extragarbo

di Samir Galal Mohamed

Il testo è stato redatto in occasione di FAROUT Live Arts Festival a BASE (1-9 ottobre 2022, Milano), dedicato alle pratiche contemporanee: concerti, performance, installazioni e interventi di arte pubblica.

“Fin che ci trema il cuore” è un’azione crossmediale del collettivo Extragarbo (Venezia 2019).

La letteratura è il più grande esercizio di immaginazione, soprattutto per chi non ne possiede alcuna. Ma è un esercizio di ancoraggio, un’attività di conservazione; ieri come oggi, oggi come domani: scrivere compensa. Così, la pratica performativa è in primo luogo e strettamente politica: bandisce l’immaginazione per elevare le sue strutture a principio di realtà, tradurre i suoi codici in effetti di realtà, produrre delle nuove condizioni di realtà – o qualcosa che vi possa somigliare. Non si tratta di opporre una presunta lucidità della letteratura – un connotato che comunque le appartiene – a una visuale altrettanto presunta di stordimento. La comprensione della questione passa da tutt’altra impostazione. Un indizio su tutti – perché chi scrive si stanca presto di teorizzare e tu di leggere; una teoria tanto stringata non è falsificabile, o quasi; alla stanchezza si concede il fasto della grossolanità: la persistenza della vita cieca – inutile, perseverante –, del desiderio  eccessivo, recalcitrante – che i performer albergano «come circolazione, condivisione, risonanza, ripercussione, ripresa del senso» (Nancy, J.-L., 2013), permette loro non semplicemente di esistere, quanto di stare. Stare nella contraddizione dell’esistente che si scioglie nell’azione, strappando e sottraendo l’azione alla metafisica fascista, alla sua matrice futurista. Ora questa atmosfera induttiva, o la familiarità della nostra considerazione, non comporta nessuna superiorità della pratica performativa sulla letteratura, nessuna superiorità di niente su nulla: solamente, chi scrive oggi, scrive di pratiche. La verità è che ai reading ti rompi i coglioni, alle performance di meno: costretto a muoverti e a cantare, a relazionarti con una violenza politica in uno spazio-tempo che non diresti simulato. Naturalmente nulla accade che non sia contestualmente un gioco dei corpi: così, nulla accade che non sia anche e seriamente un fatto politico. È un modo elementare (che non significa mediocre, ma minimo, residuale) del fatto politico. È il grado zero, il solo modo per tornare alla letteratura. Da vivi.

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Venerdì 7 ottobre ’22, Zelensky all’UE: «Siamo sull’orlo del disastro nucleare» – non è una notizia come un’altra, fra le tante, una di quelle che leggi e ignori al tempo stesso. È la notizia. Decidi di fumarci su una canna; poi si vedrà. Intanto scrivi a un amico, a un genitore, alla persona con la quale farai sesso stanotte – come da accordi. L’allarme si è depositato sul fondale dei pensieri; non c’è esercizio di decluttering che tenga. A margine ricordi che nemmeno la lettura di Anders – durante gli anni dell’università, quando la scoperta di un autore rappresentava ancora un fatto iniziatico – provocò uno stato di terrore così penetrante. Inabissi.

21:30, ci accoglie Edoardo, in via Tortona; si presenta al gruppo, parla in maniera meccanica, precisa, più precisa del solito, più di quanto ricordassi. Forse sei già morto, disciolto dalle radiazioni o dall’imbarazzo che non sia accaduto davvero. Percorrete insieme i locali di Base – ripensi alle navate laterali delle chiese gotiche, a quanto sia spersonalizzante un luogo di cultura come quello, a Milano; a come i luoghi di culto, al contrario, non dispongano il nostro corpo al pubblico disagio: sei ateo, e in ciò non vi è contraddizione.

Indossate tuttə una torcia frontale Decathlon – si scende – e in silenzio attraversate i sotterranei dell’edificio. Ogni stabile rivela sotterranei equivalenti, identici nonostante la varietà della creatività umana in superficie, indiscernibili per ciò che concerne il reticolato; per ciò che contengono, e occultano, per nulla o quasi interessanti. Sono sostanzialmente pieni di cose, cose che percepisci appena nella loro insignificanza, che defluiscono rapidamente, illuminate dalla torcia e ricacciate nell’oblio dalla tua indifferenza. Come demoni o escrementi. Come i morti – custodiscono entrambe le categorie.

Entrate in un montacarichi, lo spazio vitale è improvvisamente e drasticamente ridotto. A. sta per avere un attacco di panico; tu pure, ma sei un uomo – un uomo in mezzo a una dozzina di persone sconosciute, non puoi permettertelo. E inoltre: sei all’interno di una drammaturgia, c’è il rischio di apparire, e apparire provinciali.

22:00, accesso al primo piano dell’hub, o al secondo – non sai; spazio espositivo sovradimensionato. La sala presenta un allestimento di maniera, volutamente estetizzante: una fabbrica autogestista, una scuola occupata, un teatro restituito alla città; da mezzo secolo, la stessa soluzione formale. Ma è confortevole, quindi apprezzi. I servizi igienici sono ricoperti di parole, e sono splendidi: una umanità condensata – la sua spinta progressiva e universalistica, democratica, laica e antiautoritaria; l’energia brutale e ferina, violenta e irrazionale, spaventosa e per questo affascinante. Sono pensieri ordinari ed eccedenti quanto i liquidi espulsi durante la pisciata, eppure ora risuonano d’assoluta essenzialità. Al centro, sul maxischermo, la proiezione di un video del quale non ricordi granché – l’ipotesi più accreditata è che fosse trasmesso precisamente con questa intenzione: scorrere.

Più avanti, protetto da un’estesa parete di plexiglass, oscurato da cose insignificanti in un ufficio qualsiasi destinato a un lavoro intellettuale qualunque, Cosimo ci parla, e parla meccanicamente. Legge un lungo testo, ricostruisce una storia di scioperi e conquiste, di sconfitte variamente interpretate come vittorie; trabocca risentimento di classe, «cattiva coscienza». È un testo ipermoralizzante: ripugna perché ha ragione; tuttə proviamo il medesimo senso di colpa, poi di negazione. Cosimo soffre con noi, ma senza martirio: in questo consiste la nostra sofferenza.

22:30, disposizione circolare dei corpi, esercizi di rilassamento e riscaldamento, non ricordi in quale ordine; sei pronto a morire col gruppo nell’esplosione o nella catarsi. L’esplosione è una catarsi. L’ultima, la più grande. Gaia distribuisce i frammenti di un discorso amoroso, organizza una partitura del soggetto, accorda strumenti umani – la sua voce tiene insieme gli attributi dell’essere, per contraddirli. È senza tempo; diviene.

Anche Zelensky ha ragione: «moriremo tuttə, moriremo stanotte» – non lo ha mai detto espressamente, ma è questo il senso dell’avvertimento. O almeno, lo hai decifrato così. Tu e chissà quanti milioni di individui nel mondo.

Gaia, Cosimo, Edoardo sono le persone con le quali spartire la scomparsa della civiltà. Pubblicate delle stories, con acume, gusto, allo scopo di archiviare il materiale della fine. «Meteoriti, cavalieri dell’Apocalisse, bombe atomiche: la morte – e l’estinzione – vengono dal cielo, sempre»; una possibile didascalia. Vi siete abbracciatə, vi sentite vivə.

23:00, arriva la rettifica di Repubblica e delle altre testate online, in tempo reale leggi: «Ucraina, ultime notizie. Usa: non c’è minaccia nucleare imminente da parte di Mosca». Sei vivo, e sei stanco. Sei stanchissimo – la differenza tra vivo e vivissimo semplicemente non esiste.

Tu invece esisti eccome, e per quanto non voglia ammetterlo di fronte al gruppo di lettura e ricerca, o al collettivo del quale sei parte; nonostante i tentativi di decostruzione rimani qualcosa, o qualcuno, che non puoi revocare e che in fondo ripugni. Un individuo, in uno spazio-tempo qualsiasi, impiegato in un lavoro intellettuale qualunque.

Esisti e rimani comunque in quanto centro d’emanazione della razionalità, della moralità, del giudizio. Le altrə pure, in ordine di apparizione e sistema: Edoardo, Cosimo, Gaia.

Riconsideri l’intestazione, il verso «Fin che ci trema il cuore». Allora rincasi di fretta per scopare – la frequenza cardiaca è sotto sforzo; siete vivə, come da accordi.

Più tardi, converserete di scioperi e conquiste, di sconfitte variamente interpretate come vittorie.

Commenti
Un commento a “Fin che ci trema il cuore, Extragarbo”
  1. gino rago ha detto:

    un pezzo di autentica bravura, un’ironia lucida e amara sul tentativo non dichiarato di rimozione di un tabù che dopo il disastro di Hiroshima dell’agosto 1945 ha garantito una sorta di pace, almeno in ciò che diciamo occidente: l’uso del nucleare in campo bellico.
    In Ucraina, con l’aggettivo “tattiche”, un aggettivo di imbecillità criminale, si parla dello sdoganamento delle bombe atomiche come di un farmaco da prendere o l’attesa di un treno o come di andare dal barbiere.
    La letteratura e la poesia non cambieranno il mondo ma rimangono i più straordinari acceleratori del pensiero,della coscienza, della conoscenza del ruolo dell’uomo nel mondo…
    Gino Rago

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