Due mondi accomunati dalla guerra: quando vivere o morire dipende dalla sorte

Oggi ricorre l’anniversario dell’attacco terroristico alle Torri Gemelle. Pubblichiamo un estratto da «New York, ore 8.45. La tragedia delle Torri Gemelle raccontata dai premi Pulitzer», a cura di Simone Barillari. Traduzione di Martina Testa.

di C.J. Chivers
30 dicembre 2001

Kabul. Il cecchino era seduto al riparo di alcuni sacchi di sabbia sul tetto dell’ambasciata americana mentre il sole tramontava dietro i monti Paghman e il cielo cominciava a oscurarsi. Da un fornelletto da campo accanto alle sue ginocchia veniva puzza di gasolio e un sibilo costante.

Il soldato era il sergente Shane B. Schmidt, del corpo dei marine. Quello era il suo bunker. Alla sua sinistra c’era un fucile a otturatore girevole con il mirino telescopico. Alla sua destra, cinque bastoncini di zucchero bianchi e rossi appesi a un filo. Il sergente ­Schmidt era in vacanza nel Wisconsin quando gli aerei dirottati avevano abbattuto il World Trade Center. Guardare la scena in diretta televisiva, ha detto, «mi ha fatto sentire come un pugile che non riusciva a rispondere ai colpi». Ora davanti a lui si stendeva la capitale dell’Afghanistan, liberata dai talebani e silenziosa come la mezzanotte a Central Park. Per il momento si sentiva soddisfatto. «Le forze della coalizione?», ha commentato. «Diciamo soltanto che sono state piuttosto efficienti nel disinfestare questo posto dai ratti».