Napoli affittata

Dal 7 al 10 luglio Dolce e Gabbana hanno festeggiato a Napoli il trentesimo anniversario del loro marchio con un sontuoso programma di sfilate ed eventi per le strade del centro, punteggiato da feste vip private e da cerimonie pubbliche (come quella in cui Sophia Loren ha ricevuto la cittadinanza onoraria).
Via San Gregorio Armeno è stata chiusa per tre notti.
Dalle 12 alle 20 dell’8 luglio sono state inaccessibili anche ai pedoni piazza Miraglia, angolo via Tribunali, vico San Nicola al Nilo, via Atri, vico Purgatorio ad Arco, via San Paolo, vico Cinque Santi, via Tribunali angolo via Duomo, via Tribunali angolo via San Biagio dei Librai, via Grande Archivio, vico Figurari, via San Biagio dei Librai angolo Piazzetta Nilo, Via Maffei, Vico San Nicola al Nilo, Piazza San Giuseppe dei Ruffi.
In molte altre vie sono stati proibiti i parcheggi, ed è stata interrotta anche una pista ciclabile.
L’intero Borgo Marinaro e Castel dell’Ovo sono stati affittati per una notte.
Per tutto questo il Comune di Napoli ha incassato meno di 100.000 euro. Il pezzo che segue è uscito su Repubblica – Napoli, che ringraziamo.

di Tomaso Montanari

Tra i due modi che il Calvino delle Città invisibili propone per non soffrire in mezzo all’«inferno dei viventi» il più difficile è quello di «cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno: e farlo durare e dargli spazio». È un esercizio cognitivo e morale fondamentale: un esercizio cui è impossibile sfuggire quando si scruta ciò che succede a Napoli.

Catania 2016, tra lo Stabile e il Teatro Coppola

(fonte immagine)

di Giuseppe Lorenti

È un venerdì. Uno di quei venerdì di Aprile che nel resto d’Italia è, ancora, inverno e a Catania è già primavera inoltrata. Di più, è l’anticipo dell’estate. Io cammino nel cuore del centro storico e barocco, mi perdo tra Via Teatro Massimo, Piazza Vincenzo Bellini e via Maria Callas. Un incrocio di strade che è un’esplosione di contrasti, una battaglia di chiaroscuri. Il nero, profondo e intenso, dei palazzi e della pietra lavica che si infrange e si confonde con il bianco, accecante e luminoso, della luce che rimbalza dal Sole della primavera siciliana. Perdersi è meraviglioso in queste giornate e tra queste strade.

Io ho deciso, in questo venerdì d’Aprile, di tornare a teatro dopo anni di colpevole  assenza. All’Angelo Musco, per la stagione del Teatro Stabile, debutta uno spettacolo che porta in scena la storia di una giovane e bella attrice catanese e di un grande regista italiano. La storia di Daniela Rocca e di Pietro Germi, una storia che inizia con “Divorzio all’italiana” e finisce in una clinica psichiatrica, una storia di cinema, d’amore e di follia.

La tutela del paesaggio passa (anche) per l’Appia

È uscito da pochi giorni Appia, l’ultimo libro di Paolo Rumiz. Il pezzo che segue è uscito su Repubblica, che ringraziamo.

I piedi, gli occhi, il cuore di Paolo Rumiz e dei suoi compagni di viaggio: cosa avrebbe potuto chiedere di più la vecchia Via Appia, regina delle strade?

Sembrerà strano, ma era da un tempo infinito che nessuno prendeva l’Appia per il suo verso: che è quello di essere una strada. Una strada da percorrere tutta, senza badare ai confini tra le regioni o i comuni, tra lo spazio pubblico e l’aggressione dei privati(abusivi o no), tra il bello e il brutto, tra la storia e la sua negazione, tra il monumentale e il demenziale.

La lotteria della bellezza

Questo articolo è uscito su Repubblica, che ringraziamo.

Nel passaggio da una democrazia rappresentativa ad una democrazia d’investitura assume un ruolo centrale – lo ha ricordato di recente Stefano Rodotà – il rapporto diretto tra il capo e la folla.

Questo rapporto tende a delegittimare, e quindi a far saltare, i corpi intermedi: specie quelli che non poggiano sul consenso, ma sul sapere tecnico o scientifico. Da questo punto di vista, ciò che sta accadendo nel governo del patrimonio culturale italiano appare particolarmente significativo.

Fin da quando era sindaco di Firenze, l’attuale presidente del Consiglio ha eletto il discorso sull’arte come terreno privilegiato del suo dialogo diretto con il popolo. La ricerca (ovviamente infruttuosa, perché affrontata fuori da ogni protocollo scientifico) della Battaglia di Anghiari di Leonardo in Palazzo Vecchio permise di costruire una campagna di comunicazione contro la comunità scientifica internazionale degli storici dell’arte: il sindaco li definì «presunti scienziati», accusati di non essere «stupiti dal mistero» a causa di un «pregiudizio ideologico».

Di cosa ha bisogno il teatro italiano

Questo pezzo è uscito su Internazionale.

Quest’anno doveva essere l’anno d’oro per il teatro italiano e c’è il rischio che sia proprio il contrario. Il progetto di riforma – il testimone è passato dal ministro Massimo Bray a Dario Franceschini – che doveva mettere ordine, garantire sostegno, finanziare, strutturare lo spettacolo dal vivo, si sta dimostrando uno strano mostro di inutilità, insufficienza, distorsione.

Le nuove figure inventate da questa riforma – i teatri nazionali e i teatri d’interesse culturale – sono state scelte soprattutto per la possibilità di capienza delle loro sale e per la potenzialità di allargare il pubblico e diventare dei punti di riferimento all’interno della loro regione: sostanzialmente devono, per ottenere fondi, mostrare di essere efficienti, aumentare il numero degli spettatori, delle giornate lavorative, delle repliche, e dall’altra parte svolgere anche una specie di funzione di azienda comunale di servizi per lo spettacolo.

Wes Anderson all’Esquilino

Questo pezzo è uscito sul Foglio.

È arrivato naturalmente in treno, Wes, che odia l’aereo; alla stazione Termini, con un Frecciarossa e prima ancora con l’Orient Express, quello restaurato, da Parigi, dove risiede la più parte dell’anno. E peccato che ad accoglierlo a Roma sia stata una stazione Termini moderna coi marmi mazzoniani, e forse tassinari anche abusivi e non invece facchini africani in uniforme blu col filetto d’oro come a Milano, con quelli sarebbe impazzito Wes.

Wes Anderson, il poeta della nostalgia foderata in pelle, è stato a Roma. Una Roma naturalmente non contemporanea, una Roma-mondo tutta sua, un “Mondo Monda”, come il cortometraggio dedicato al suo alter ego italiano, Antonio Monda, personaggio dei più andersoniani e direttore della Festa del cinema che l’ha celebrato. Chissà se c’era Mondo Monda ad accoglierlo sotto l’ala mazzoniana; e piace di più però immaginare Anderson, col suo seguito di bauli, spostato un secolo in là, come un Emile Zola che come lui arrivava da Parigi, in treno, nelle annotazioni e making of del suo romanzo Roma.

Il supermercato del passato tra Disneyland e folclore

Questo pezzo è uscito sul Venerdì di Repubblica.

Il più grande Luna Park d’Italia è il passato: specie d’estate, quando la Penisola è attraversata da decine, forse addirittura da centinaia, di feste ‘medioevali’. Da ben venticinque anni Monteriggioni «di Torri si corona», ma nel frattempo un numero incredibile di località toscane meno note (da Malmantile a Momigno, da Fosdinovo a San Casciano, a Scansano con la sua «Giubilanza») ha preso ad offrire, in agosto, un temporaneo ritorno all’Età di Mezzo. Ma non è solo la Toscana: dal Piemonte (con Novara e Pernate) alla Puglia (Altamura), dalla Romagna (Brisighella) alla Campania (Vairano Patenora), dall’Abruzzo (Pizzoli) alla Sicilia (Randazzo) gli italiani sembrano felicissimi di abbandonare il presente per sprofondare nei cosiddetti secoli bui.

Perché Franceschini sbaglia sempre e tutto sulla politica della lettura

E così il ministro Franceschini, sempre con la complicità del Centro per il libro e la lettura, ha avuto un’altra idea sciocca. Ieri, a margine della premiazione del concorso di scrittura per le scuole Scriviamoci. Passami i tuoi pensieri e le tue emozioni in 30 righe (sic, il titolo non è una parodia), ha dichiarato […]

C’era una volta la storia dell’arte

«Un impegno mantenuto e una scelta di civiltà: il ritorno della storia dell’arte e della musica nelle scuole», ha annunciato il ministro per i Beni culturali Dario Franceschini. Ma in questi giorni un vasto movimento di insegnanti di storia dell’arte si chiede se le cose stiano davvero così: e a leggere il disegno di legge sulla cosiddetta Buona Scuola lo scetticismo appare del tutto fondato.
Nel testo, infatti, non si parla mai di un insegnamento curricolare di ‘storia dell’arte’, ma genericamente di «potenziamento delle competenze nella musica e nell’arte» e di «alfabetizzazione all’arte, alle tecniche e ai media di produzione e diffusione delle immagini». Cioè: non si studieranno Giotto e Caravaggio come si studiano Dante e Galileo, ma ci sarà una infarinatura di «immagini», fossero pure quelle dei cartelloni pubblicitari.

Gladiatori al Colosseo?

Pubblichiamo un intervento di Tomaso Montanari apparso su La Repubblica.

Il ministro per i Beni Culturali ha annunciato ieri, via twitter, che gli «piace molto l’idea dell’archeologo Manacorda di restituire al Colosseo la sua arena». Bisogna riconoscere a Dario Franceschini la capacità di tener viva l’attenzione mediatica su alcune emergenze del nostro martoriato patrimonio culturale: questa estate con il tormentone dei Bronzi di Riace all’Expo, ora con l’idea di rifare il pavimento del Colosseo. Ma la domanda è: questa volta si tratta di una proposta più solida, e destinata a miglior fortuna?