Emmanuel Carrère e la schiena della letteratura

di Leonardo Merlini

Lo scrittore del momento, visto di persona, è più alto di quanto immaginassi, il suo volto, benché chiaramente riconoscibile per via di alcuni tratti molto singolari, con il passare dei minuti, mentre ci guardiamo durante l’intervista, diventa più sfuggente, come succede ai visi delle persone care quando muoiono; in un modo difficile da spiegare il ricordo si sfoca, l’immagine si sfalda, e si moltiplica in una serie di alternative, tutte in qualche misura contraffatte.

“Non sono abbastanza credente per essere ateo”. Intervista a Emmanuel Carrére

Questa intervista è uscita su La Repubblica. Ringraziamo la testata e l’autrice. E vi segnaliamo che sabato 14 marzo Emmanuel Carrére sarà ospite di Libri Come a Roma alle 21 in una conversazione con Nicola Lagioia dal titolo “Come il regno”. (Fonte immagine)

di Anaïs Ginori

PARIGI. “Non so”. Quando la conversazione vira sulla strage di Charlie Hebdo e l’integralismo islamico, Emmanuel Carrère cita involontariamente le ultime parole del suo nuovo romanzo. Non ha mai voluto essere un maître-à-penser. “Solo uno scrittore”, dice, ed è una professione di umiltà. “Davanti all’attualità mi limito a osservare, come fanno tutti. Diffido spesso da ciò che penso, faccio fatica a parlare del globale, ho bisogno di aggrapparmi a un piccolo brandello della realtà, e concentrarmi su quello per ottenere uno scorcio di verità. È così che ho raccontato la caduta dell’impero sovietico in Limonov o il problema dell’indebitamento in Vite che non sono la mia“.

Adesso arriva Il Regno (Adelphi, traduzione di Francesco Bergamasco), ovvero il Vangelo secondo Carrère, un peplum erudito e divertente, che mischia come sempre il racconto personale  –  una crisi mistica quando aveva trent’anni  –  all’indagine storica su una “piccola setta di ebrei” che ha fondato il cristianesimo. Uno degli scrittori più popolari di Francia si lancia nella sua sfida letteraria più azzardata, un salto nel tempo, alle origini della nostra civiltà, ma sempre con il rigore usato nei precedenti libri, mai semplici romanzi. “Ho smesso di usare la parola romanzo da L’Avversario ” ricorda. Nello studio quasi monacale del suo grande appartamento del decimo arrondissement entra all’improvviso uno dei personaggi de Il Regno, l’amico Hervé venuto per pranzo, che nel libro è compagno di camminate, meditazioni e altre escursioni intellettuali. Carrère si è avvicinato al Regno da agnostico (“Non sono abbastanza credente per essere ateo”), riuscendo a non urtare i lettori più religiosi: un piccolo miracolo, che lui attribuisce, scherzando, alla predestinazione racchiusa nel suo nome, che in ebraico significa “Dio è con noi”.

Lo strano libro di Carrère sul cristianesimo

È stata pubblicata in questi giorni da Adelphi la traduzione di Francesco Bergamasco de “Il regno”, l’ultimo romanzo di Emmanuel Carrère. Questa recensione è uscita su IL.

di Carlo Mazza Galanti

Studiando i capolavori di Agostino e Rousseau, la filosofa spagnola María Zambrano ha indicato la confessione («l’azione massima che è dato attuare con la parola») come l’origine dell’autobiografia. Se c’è un autore che negli ultimi anni non solo ha imposto la scrittura autobiografica all’attenzione del pubblico internazionale ma l’ha spinta verso un allargamento inedito dei suoi confini tradizionali, questo è Emmanuel Carrère. L’astuzia dello scrittore francese è stata quella di trasformare se stesso in un crocevia di altre vite: un soggetto aperto, attraversato da correnti centrifughe, riflesso da eventi e personaggi apparentemente distanti che nel flusso del racconto finiscono sempre per tornare al centro, all’autore, al suo ego così discreto e così ingombrante. Il suo nuovo libro, Le Royaume (Il regno) è il grande atteso della rentrée letteraria, uscirà in Francia il 10 settembre (in Italia sarà pubblicato da Adelphi nella primavera del 2015).

100 libri per una biblioteca della nonfiction narrativa

Dal 21 al 23 novembre torna alla Triennale di Milano il ciclo di incontri organizzati da Studio. Vi segnaliamo il programma completo e in particolare l’incontro di venerdì 21 alle 18.30 sul tema Il racconto della realtà: intervengono Cristiano de Majo, Lorenzo Mieli, Aldo Grasso, Francesco Anzelmo e Niccolò Contessa.

Riprendiamo un articolo di Cristiano de Majo apparso su Studio.

(Ho scritto un lista di 100 libri immaginando di mettere insieme una biblioteca di nonfiction narrativa: reportage, memorie, autobiografie, biografie, saggi personali… Ovviamente è un genere che sfugge a una definizione precisa e che quindi si presta all’interpretazione soggettiva, ma la lista è anche un modo per cercare di disegnare un perimetro di questo genere,  che trovo il più interessante campo di applicazione della letteratura in questi anni. Ci sono sicuramente alcuni buchi – libri che non letto, che ho dimenticato o che non considero fondamentali al contrario di altri -e sicuramente un po’ di favoritismo interno, nel senso che sono inclusi libri italiani, anche piccoli e sconosciuti, accanto a capolavori riconosciuti. C’è anche forse una  considerazione perferenziale per le uscite più recenti rispetto a libri del passato e non so se dipende dalla freschezza della lettura o dal fatto che questo tipo di libri si trovino in un momento di interessante evoluzione. L’elenco non segue un ordine preciso.)

Quell’intervista che rivela lo scrittore

Questo pezzo è uscito su Pagina 99.
«Amo pianificare i miei romanzi dall’inizio alla fine», dice Orhan Pamuk. Gli risponde, idealmente, Javier Marías: «sono il contrario del romanziere che sa tutto già prima di cominciare a scrivere». Si alza la voce di Toni Morrison: «quando comincio a scrivere un libro mi è già chiaro dove andrà a parare l’intreccio». Si intromette Michael Cunningham: «all’inizio non ho ben chiaro dove mi sto indirizzando».

Le idee dei grandi scrittori danno l’illusione, di solito, di essere verità universali sulla produzione letteraria. Non ci si accorge mai – come capita ascoltandoli tutti insieme – di quanto siano soggettive e instabili le loro posizioni. È un coro polifonico il risultato del libro orchestrato da Francesca Borrelli, Maestri di finzione (Quodlibet, pp. 610, euro 28), in cui sono raccolti venti anni di incontri e letture con autori di tutto il mondo.

La Turchia di Simenon, così lontana così vicina

Questo articolo è uscito, in forma leggermente rimaneggiata, su Europa.

Siamo in un night-club di Ankara, nella Turchia dei primi anni trenta. Nel locale ha appena iniziato a lavorare una affascinante ballerina di origine ungherese, non ancora maggiorenne, di nome Nouchi. L’attenzione della ragazza viene attirata da Bernard de Jonsac, un cliente francese di circa trent’anni, con un monocolo che lo circonfonde di un’aura vagamente aristocratica.

Con questo incontro, che si rivelerà fatale, inizia il romanzo di Georges Simenon I clienti di Avrenos, efficacemente ritradotto, presso Adelphi, da Federica Di Lella e Maria Laura Vanorio (pp. 157, euro 17). Simenon pubblicò il libro nel 1935, due anni dopo essersi recato in Turchia per la sua celebre intervista a Trockij. Come accade quasi sempre nello scrittore belga, i luoghi esotici sono descritti senza alcuna patina di esotismo.

Perché tutto parli di me

Pubblichiamo un articolo di Annalena Benini apparso sul Foglio ringraziando l’autrice e la testata.

di Annalena Benini

Il treno è pieno e si sta in piedi, schiacciati contro le borse degli altri, non c’è quasi lo spazio per mandare messaggi. Lei è bionda e anziana, porta i tacchi alti, una gonna di pelle e gli occhiali da sole, lui ha qualche anno in più e la tiene delicatamente per il polso, le spiega dove appoggiarsi, lei guarda avanti ma forse non vede niente da dietro quegli occhiali da farfalla. È arrabbiata, gli dice piano: “Lasciami stare”. Lui continua a spiegarle qualcosa, è gentile. Lei alza la voce: “L’unico modo è prenderti a calci nel culo, come faceva quella, con te è l’unico modo”. Lui resta lì, silenzioso, con le dita intorno al suo polso, lo sguardo costernato fisso sugli occhiali da sole.

L’orrore secondo Emmanuel Carrère

Questo articolo è uscito in forma più breve su Pagina 99. (La foto è di Massimo Vitali)

Pubblicato con immediato successo in Francia nel 1995, uscito una prima volta da Einaudi nel 1996 e ora riproposto da Adelphi nella traduzione precisa ed efficace di Maurizia Balmelli, La settimana bianca è il punto culminante della prima parte della carriera di uno dei migliori narratori europei degli ultimi due decenni. Tra la fine degli anni ottanta e i novanta Emmanuel Carrère ha prodotto romanzi formalmente tradizionali, di buon livello, segnati da un interesse ossessivo per gli aspetti più fragili e morbosi della psicologia individuale, le maschere, i lati oscuri della personalità piccolo-borghese. Questo orizzonte psicologico ed esistenziale è sfociato in due libri d’indubbio valore: La settimana bianca al di qua, e L’avversario (2000) immediatamente al di là del crinale che divide l’opera dello scrittore in due blocchi distinti: romanzi di finzione da una parte e “romanzi verità”, come li chiamava Capote, dall’altra.

Discorsi sul metodo – 3: Emmanuel Carrère

Torna il Premio Gregor Von Rezzori, che ogni giugno porta a Firenze alcuni dei più bei nomi della letteratura mondiale, e con esso tornano i Discorsi sul metodo di Vanni Santoni. La serie di interviste di quest’anno comincia con Emmanuel Carrère, a cui seguiranno Jonathan Lethem, Georgi Gospinodov e Vendela Vida, e poi ancora Tom McCarthy, Dave Eggers, Maylis de Kerangal e Leopoldo Brizuela.

(Le precedenti interviste, a Cunningham, Keret, Winterson, Tóibín, Vásquez, Egan, McGrath e Greer, possono essere lette qui e qui).

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Emmanuel Carrère è nato a Parigi nel 1957. Il suo ultimo libro edito in Italia è La settimana bianca (Adelphi 2014, apparso in Francia nel 1995).

Quante ore lavori al giorno e quante battute esigi da una sessione di scrittura?

Non ho quantità fisse di battute o parole, dato che sia il tempo che la produttività dipendono molto, anzi completamente, dalla fase dei lavori in cui mi trovo.
Quando sono all’inizio di un libro, è tutto molto difficile e poco produttivo, devo letteralmente forzarmi per scrivere o anche solo mettermi alla scrivania, e anche quando ci riesco vado lentissimo e non riesco neanche a fare sessioni lunghe, faccio massimo tre o quattro ore, e producendo pochissimo.

Grandi scrittori immortalati da grandi fotografi

Questo pezzo è uscito su Europa. (Immagine: Emmanuel Carrère, Parigi, 2004. ©Lise Sarfati/Magnum Photos/Contrasto)

Soprattutto, gli scrittori pensano e osservano. Riconoscerli è semplice perché di solito sono circondati da oggetti e ambienti che certificano il loro talento artistico. Gli scrittori sono i loro stessi gesti, i vezzi e i velluti che sigillano la loro diversità (penne, baffi, scrivanie, papillon, bretelle, scarpette e bicchieri di vino). È appena uscito Scrittori (libro edito da Contrasto) che presenta 250 fotografie di grandi scrittori immortalati da fotografi altrettanto celebri (Cartier-Bresson, Robert Capa, Elliott Erwitt, Ugo Mulas, Salgado, e altri). Ma questo splendido catalogo è anche involontariamente un manuale di retorica che illustra la mitologia che avvolge intellettuali, romanzieri e poeti. Per prima cosa, lo scrittore autentico è circondato da libri. Libri sfogliati, libri che caricano chi li sfiora del loro potere evocativo. Molti volumi infatti tra le mani di Adonis e Yeats, di Apollinaire e Cabrera Infante, mentre Márquez ha una copia di Cent’anni di solitudine aperta sulla testa, e spessissimo i libri rifulgono dallo sfondo: dagli scaffali di Margaret Atwood, George Bataille, Malaparte e Gadda. Pile torreggiano da terra e circondano Peter Handke, Musil è sommerso da quelli impilati sulla scrivania; abbondano le librerie ordinate di Vargas Llosa, di Vila Matas, della Némirovsky, e quelle disordinate à la Mishima.