Occupy Troika

di Francesca Coin

A prendere l’iniziativa è stato un gruppo di attivisti, accademici e sindacalisti irlandesi chiamato Greek Solidarity Committee che, complice la centralità del negoziato greco nel dibattito irlandese, qualche ora fa ha occupato gli uffici dell’Unione Europea a Dublino per dare un segnale chiaro di solidarietà europea dal basso alla Grecia. L’azione arriva in un momento cruciale dei negoziati e per una volta la stampa nazionale e internazionale ne sta dando notizia.

Quello che sta avvenendo in queste ore a Bruxelles non è un normale negoziato.

Paul Krugman ha fugato ogni dubbio con un articolo di qualche ora fa sul New York Times nel quale poneva una domanda secca alle istituzioni europee: “ma cosa si credono di fare”? Krugman si riferisce alla giornata di negoziati di ieri nella quale la proposta greca alle istituzioni è stata rifiutata.

Grecia: il vero e il crudele

di Francesca Coin
È stato proprio Varoufakis lo scorso novembre in un seminario sull’estetica della moneta tenuto a Berkeley a ricordare come la signora Thatcher fosse contrarissima all’euro. Proprio io, diceva, che sono stato a duecento manifestazioni contro di lei. Proprio io, mi trovo ora a citare la Thatcher. Era stata accolta con scetticismo, l’opposizione intransigente della Thatcher. Allora, solo lei si era opposta all’integrazione monetaria, ma la sua opposizione le era costata cara: prima le dimissioni del Ministro degli Esteri Geoffrey Howe, e poi le proprie nel novembre del 1990. Venticinque anni dopo le sue posizioni tornano ad essere oggetto di discussione, ironicamente da parte di quegli stessi critici della scuola neo-liberale a cui lei si ispirava per difendere la necessità di mantenere disperso il potere e decentralizzate le decisioni senza cedere la sovranità a “un super-stato […] che esercita un nuovo dominio da Bruxelles”

La valutazione dell’utilità e l’utilità della valutazione

Questo pezzo di Francesca Coin è uscito su aut aut 360/2013 a cura di Alessandro Dal Lago.

di Francesca Coin
Il contesto di questa riflessione è il passaggio dalla democrazia liberale di stampo welfarista-keynesiano, basata su un modo di produzione fordista, alla governance neoliberale, forma di governo post-democratica contraddistinta, sul piano produttivo, dalla produzione postfordista e dal libero mercato. Il concetto di merito funge da spartiacque tra le due epoche presentandosi quale dispositivo di allocazione delle risorse su base selettiva, in contrapposizione ai “finanziamenti a pioggia” che caratterizzavano l’epoca fordista. Utilizzato dapprima nel lavoro industriale, e poi esteso alla sfera pubblica, il concetto di merito si presenta come dispositivo di inquadramento alternativo alla contrattazione nazionale (1) che consente di ripensare il salario sulla base di criteri definiti di tipo premiale, che nella sostanza trasferivano sul lavoro parte della crisi di accumulazione dell’epoca fordista. Era stato Ohno nelle fabbriche toyotiste ad affiancare al controllo disciplinare, tecnico e meccanico, contraddistinto dalla catena di montaggio, quella che chiamava “auto-attivazione”: (2) nel sistema Toyota solo un terzo della busta paga era assicurato mensilmente secondo un contratto. Il resto dipendeva dalla produttività, dai tassi di assenteismo e dalla “lealtà” dei lavoratori agli interessi e agli obiettivi aziendali.

Liceo in quattro anni? Trovateci del buono in quest’idea.

Questo articolo è stato pubblicato in una versione leggermente diversa qui. di Francesca Coin e Alessandro Ferretti È di qualche giorno fa la proposta del Ministro dell’istruzione inglese Michael Gove di estendere la scuola a 51 settimane e abolire le vacanze estive per bimbi e ragazzi, perché “in estremo oriente studiano di più e sono […]

La vittoria di Bologna. E ora?

di Francesca Coin

Inizio da quanto è avvenuto martedì 28 maggio. A due giorni dal voto, infatti, dopo che l’alleanza PD, PDL, Curia, Lega nord, Scelta Civica, Cei, Cl, Confindustria, Carrozza-Lupi-Merola-Bagnasco-Renzi-Prodi-Gasparri-Casini-e chi per essi ha inesorabilmente perso la campagna referendaria sul finanziamento pubblico alle scuole paritarie private, decretando la vittoria di trecento mamme, auto-convocat@ e papà, il sito del Comune di Bologna Iperbole ha eliminato dalle sue pagine tutti i dati sul referendum e sul voto. Così, spiegava il comitato, “dopo aver ostacolato il diritto di voto dei cittadini mettendo a disposizione meno della metà dei seggi delle elezioni amministrative e politiche e collocandoli in luoghi assurdi a più di 5 chilometri dalla residenza, ora si vuole nascondere la vittoria dei 51.000 che hanno chiesto un’inversione di tendenza nella politica scolastica del comune. […] Non si vuole far sapere che l’ipotesi B ha perso in tutte le zone popolari e vinto solo fra i cittadini che abitano i colli di Bologna?” Parto da qui perché questo avvenimento consente una domanda centrale ovvero: e adesso? In altre parole, a che servono i referendum oggi, quando subito la post-democrazia tende ad archiviarli?

Il referendum di Bologna sulla scuola: #SeVinceA

di Francesca Coin “Alle elementari lo Stato mi offrì una scuola di seconda categoria. Cinque classi in un’aula sola. Un quinto della scuola cui avevo diritto. È il sistema che adoprano in America per creare le differenze tra bianchi e neri. Scuola peggiore ai poveri fin da piccini”. Apriva così il testo della Scuola di […]

Parlare di università con tono liquidatorio può rivelarsi un discorso molto scivoloso

Da qualche tempo Francesco Piccolo, scrittore, sceneggiatore, autore minimum fax, e editorialista, è passato dall’essere una firma di riferimento dell’Unità a esserlo per il Corriere della Sera. Cosa sta cambiando? Il rischio che di volta in volta pare mostrare nei pezzi che scrive è che in un contesto di sinistra, il suo sguardo paradossale, moralista, non-allineato risuonava chiaramente come una voce di libertà; mentre in un giornale sempre più schiettamente filogovernativo, i suoi articoli di commento sembrano diventare il megafono di posizioni di questo o quel ministro intento a essere sprezzante con una sinistra “bambocciona” o “sfigata”.
Un suo editoriale di ieri, per esempio, pareva voler esplicitamente convalidare con un’aura sociologizzante un’affermazione di Francesco Profumo di qualche giorno fa, ossia: l’Italia è l’unico paese in cui ci sono i fuoricorso all’università..