La fabbrica e il vicolo. Ricordando Ermanno Rea

Ricordiamo Ermanno Rea, scomparso il tredici settembre scorso, con un’intervista realizzata per Lo Straniero – che ringraziamo – da Alessandro Leogrande. Il pezzo risale all’ottobre 2002, all’uscita del romanzo La dismissione (Rizzoli) (fonte immagine).

Cosa ti ha portato a scrivere due libri come Mistero napoletano e La dismissione?

Ho cominciato a scrivere libri a sessant’anni. Precedentemente avevo scritto tanto, ma da giornalista. Ho lavorato per molti giornali: “l’Unità”, “Paese sera”, “Vie nuove”,  “Panorama”, “il Giorno”… Ma ho sempre pensato che era necessario liberarsi dal giornalismo per cogliere la realtà. Ho sempre pensato, oggi più che ieri, che scrivere dei libri non significa inventare storie di sana pianta, non si tratta di inventare la vita. Nella grande stagione del romanzo, fino alla prima parte del Novecento, le società occidentali pativano il deficit di informazione, la carenza di notizie. In un certo senso, lo scrittore, inventando storie, riempiva questo vuoto, raccontava il mondo. Ma oggi la situazione è radicalmente diversa.