Lampedusa è un grumo

Ecco quel che ho capito, alla fine, dopo aver trascorso una settimana a Lampedusa per il progetto di residenza letteraria #sconfinarealampedusa. Tutte quelle voci e quelle verità di Lampedusa che raccontano timori e spaesamenti.

di Evelina Santangelo

Lampedusa è un grumo, un gomitolo inestricabile. Appena ti sembra di averne preso un capo, quello ti sfugge di mano o ti porta verso un nodo da cui parte un nuovo capo della stessa matassa. È uno di quei luoghi in cui arrivi convinta di aver capito abbastanza, e da cui te ne vai carica di incertezze e verità prismatiche che, a secondo da dove le osservi, ti restituiscono impressioni e pensieri in fuga, impossibili da ordinare in un discorso pacificato e cristallino. Lampedusa è, a suo modo, lo specchio deformante in cui si riflettono contraddizioni e conflitti di questo nostro tempo in cui passato e presente deflagrano.

Già il paesaggio ti spiazza.

Da una parte, il paese asserragliato su un’estremità dell’altopiano che, tra panchine, bar, negozietti alla moda assiepati lungo una pavimentazione perlacea («marmo tunisino» mi spiega qualcuno), scivola verso il porto con il suo traffico di pescherecci e camion frigorifero destinati ai mercati ittici siciliani e di mezzo mondo.

Tornare a Mare Nostrum per evitare altre tragedie

Pubblichiamo una riflessione di Francesco Anfossi uscita su Famiglia Cristiana, ringraziando l’autore e la testata.  (Foto: Paolo Grazioli)

di Francesco Anfossi

Contro la stupidità cinica e strumentale di certe affermazioni bastava l’evidenza dei fatti: nonostante la missione Mare Nostrum sia stata cancellata, i barconi della morte carichi di profughi continuano a partire dalle coste dell’Africa. I 366 morti del 3 ottobre 2013 non ci hanno insegnato niente. Niente. Ieri (l’altroieri per chi legge, ndr) l’ennesima tragedia, oltre trenta migranti hanno perso la vita assiderati o inghiottiti dalle onde alte nove metri nel Canale di Sicilia. E pensare che c’è chi parlava di navi adoperate come taxi, accampando un’equazione tanto orribile quanto stupida: mettiamo al bando i soccorsi, non partiranno più. E invece – casomai qualcuno avesse qualche dubbio –  i disperati partono lo stesso. Se vogliamo affrontare il dramma delle migrazioni dobbiamo partire da un punto fermo: l’umanità, il dovere di salvare uomini, donne, vecchi, bambini dalla morte in mare. Tutto il resto viene dopo. Altrimenti è solo pericolosa demagogia.

Lampedusa ritrovata

Lampedusa – Una volta sognai/di essere una tartaruga gigante/con scheletro d’avorio/che trascinava bimbi e piccini/e alghe e rifiuti e fiori/e tutti si aggrappavano a me,/sulla mia scorza dura./Ero una tartaruga che barcollava/sotto il peso dell’amore/molto lenta a capire/e svelta a benedire./Così figli miei/una volta vi hanno buttato in acqua/e voi vi siete aggrappati al mio guscio/e io vi ho portati in salvo perché questa testuggine marina/è la terra che vi salva/dalla morte dell’acqua. «Conosci questa poesia che Alda Merini scrisse per Lampedusa?», domanda Zakaria Mohamed Ali, mentre lo sguardo si perde nella vastità del mare. Al Porto Vecchio i pescatori sistemano le reti; gli uomini della Guardia Costiera preparano la nave Peluso. «Eravamo in quarantatré sul barcone, trentasette dei quali somali. Arrivammo alle due di notte, dopo tre giorni (10-13 agosto 2008) di navigazione da Mişrâtah (Tripoli), con i fari portuali a orientare l’approdo vicino».