Libri da leggere e voci da ascoltare: “Una bambina da non frequentare” di Irmgard Keun

Pubblichiamo un pezzo uscito su Robinson, l’inserto culturale di Repubblica, che ringraziamo.

Belle copertine, traduzioni accurate e un catalogo che resterà: ogni volta che si ha a che fare con l’Orma editore non si può fare a meno di notare, prima ancora di entrare nel contenuto del singolo libro, che può esistere un modo intelligente, elegante di fare editoria. In questi giorni, accanto alla nuova traduzione di un vecchio libro di Annie Ernaux, La vergogna, arriva per la prima volta in Italia il testo di un’altra autrice da scoprire: Irmgard Keun, nata a Charlottenburg nel 1905 e morta a Colonia, dove si era trasferita da bambina, nel 1982.

L’essere vivente più vicino a Dio. “Laika” di Celestini è uno spettacolo che parla coi fantasmi: i nostri

(fonte immagine)

C’è chi lo conosce come volto della tv e chi come uno tra i massimi esponenti della narrazione a teatro, chi ha letto i suoi libri e chi lo ha seguito nel suo cinema poco ortodosso. Ma Ascanio Celestini è molto di più di un artista eclettico. Quando è comparso sulla scena teatrale, oltre quindici anni fa, ha fatto piazza pulita delle vecchie forme di racconto teatrale, tanto è che perfino improprio accostarlo a quel genere lì. Ascanio è un affabulatore, un tessitore di storie che come nessun altro riesce a tenere assieme la critica sociale e il fantastico, l’ambizione di riscatto e l’iperbole comica, animando con la nuda parola un teatro che in realtà è densamente popolato di voci e personaggi.

Grandi scrittori immortalati da grandi fotografi

Questo pezzo è uscito su Europa. (Immagine: Emmanuel Carrère, Parigi, 2004. ©Lise Sarfati/Magnum Photos/Contrasto)

Soprattutto, gli scrittori pensano e osservano. Riconoscerli è semplice perché di solito sono circondati da oggetti e ambienti che certificano il loro talento artistico. Gli scrittori sono i loro stessi gesti, i vezzi e i velluti che sigillano la loro diversità (penne, baffi, scrivanie, papillon, bretelle, scarpette e bicchieri di vino). È appena uscito Scrittori (libro edito da Contrasto) che presenta 250 fotografie di grandi scrittori immortalati da fotografi altrettanto celebri (Cartier-Bresson, Robert Capa, Elliott Erwitt, Ugo Mulas, Salgado, e altri). Ma questo splendido catalogo è anche involontariamente un manuale di retorica che illustra la mitologia che avvolge intellettuali, romanzieri e poeti. Per prima cosa, lo scrittore autentico è circondato da libri. Libri sfogliati, libri che caricano chi li sfiora del loro potere evocativo. Molti volumi infatti tra le mani di Adonis e Yeats, di Apollinaire e Cabrera Infante, mentre Márquez ha una copia di Cent’anni di solitudine aperta sulla testa, e spessissimo i libri rifulgono dallo sfondo: dagli scaffali di Margaret Atwood, George Bataille, Malaparte e Gadda. Pile torreggiano da terra e circondano Peter Handke, Musil è sommerso da quelli impilati sulla scrivania; abbondano le librerie ordinate di Vargas Llosa, di Vila Matas, della Némirovsky, e quelle disordinate à la Mishima.

Scrittore, a tua madre tornerai

Pubblichiamo la versione integrale di un articolo di Andrea Cirolla apparso su Pagina 99.

Sarà vero che sempre alla madre torna, la scrittrice, lo scrittore, come al ricordo più antico? Che non ne parli o che ne celebri il culto a ogni pagina, davvero non può fare a meno di sceglierla? Ma poi, perché parlare proprio di scrittori e di scrittrici? Perché non domandarsi della madre del broker finanziario, ad esempio, o del lavavetri sui grattacieli, o del disoccupato?

Servirà resistere al giudizio che vede banalità nel riferimento, e superare il dubbio di una corrispondenza scontata, perché se è evidente che scrivere non basta a rendere speciale il proprio rapporto con la madre, sarà pure necessario ammettere che solo uno scrittore potrà dire qualcosa della sua relazione dicendo al tempo stesso qualcosa anche della relazione degli altri; se non altro per una questione di mestiere. In altre parole: attraverso la “lente” dello scrittore ci si aspetta di vedere qualcosa di più; o al limite di vedere le stesse cose, ma più chiaramente. E allora, e al di là di tutto, e anche fuori dai libri, chi sono queste madri, qual è il loro volto?

L’Apocalisse della Belle Époque

Pubblichiamo un articolo di Edoardo Castagna uscito su Avvenire ringraziando l’autore e la testata.
di Edoardo Castagna

Scrive lo storico Norman Stone che «in quattro anni il mondo passò dal 1870 al 1940» (La Prima guerra mondiale. Una breve storia, Feltrinelli). In pochissimo tempo si assistette a una tale rivoluzione – negli stili di vita, nella tecnologia, nel contesto ideale, nella politica: insomma, nella visione del mondo dell’intera popolazione europea – che fu avvertita immediatamente, con acuta sensibilità, dai contemporanei e alla quale la letteratura diede la voce più chiara, marcando come nota dominante quella della nostalgia. Una nostalgia che, nel caso della Grande Guerra, richiamava quel mondo ordinato e borghese non a caso definito, a posteriori, Belle Époque: proprio per rimarcare tale nostalgia, anche a costo di velarne alcuni difetti. Avrebbe scritto Robert Musil nell’Uomo senza qualità: «Onestà, continenza, cavalleria, musica, la morale, la poesia, la forma, il divieto, tutto ciò non ha altro scopo più profondo che dare alla vita una forma limitata e precisa».