La Barcellona di Manuel Vázquez Montalbán

Pubblichiamo, ringraziando l’autore e l’editore, la prefazione di Gianni Mura al libro di Giuliano Malatesta El niño del balcón, uscito per Giulio Perrone editore.

Non è un colpo basso perché è un colpo al cuore sapere com’è fatta la piazza che Barcellona ha dedicato a uno dei suoi cantori più assidui e appassionati: Manuel Vázquez Montalbán. Nell’orgia di cemento che è la plaza dura Pepe Carvalho si fermerebbe solo per pisciare, magari in compagnia di Biscuter, dopo una robusta mangiata in una trattoria del Raval. Quanto a Manolo, troppo educato per farlo. El ni- ño del balcon, diventato el hombre del balcón, guarderebbe scuotendo la testa. Essere ricordati così male è peggio che essere dimenticati.

La Barcellona dimenticata di Vázquez Montalbán

Questo articolo è uscito sul Manifesto, che ringraziamo (fonte immagine).

“Vengo da parte di Pepe Carvalho, póngame lo que ustedes quieran”, era il suggerimento che Manolo aveva elargito ad amici e ammiratori che facevano la fila per accaparrarsi un tavolo a Casa Leopoldo, in Carrer de Sant Rafael, cuore pulsante della vecchia Barcellona, un barrio dove prima dell’arrivo “dei missili intelligenti lanciati dagli urbanisti” comandavano puttane, gitani e marinai, una sorta di girone dei dannati composto in prevalenza da immigrati locali e represaliados, le vittime del franchismo.

Pochi però erano gli avventori pienamente consapevoli che, una volta terminata la fase dell’immaginazione, elaborata in anni di attente e scrupolose letture, bisognava essere preparati a trovarsi di fronte alcuni strabilianti piatti come l‘Escudella i carn dolla, un sontuoso bollito con carne di vitello, manzo, orecchio di maiale e tante altre diavolerie messe insieme, esempio sopraffino della cucina catalana povera. Quasi nessuno era in grado di affrontare con serenità un piatto di tale portata, ma in fondo non era questo l’obiettivo.

Oltraggio alla Catalogna (presa a calci)

Pubblichiamo un articolo di Matteo Nucci, uscito su «La Lettura», sulla Catalogna.

“Meglio il silenzio. Mai umiliare lo sconfitto”. Era luglio, a Huelva, nel più profondo sud di Spagna, e la notizia della richiesta di aiuti da parte della Catalogna a Madrid campeggiava su tutti i giornali. Nel bar si rideva e gli uomini si davano pacche sulle spalle. Sembrava che fosse uscito il risultato di un match in cui l’eterno sconfitto ha rovesciato il risultato finale. Poi il vecchio appassionato di corride si è alzato in piedi e ha messo tutti a tacere. Aveva ragione, certo, ma per chi conosca un po’ la Spagna e decenni di polemiche segnate dallo spirito indipendentista catalano contro lo Stato centrale, non suonavano strane neppure le risa di un bar. Tutti sanno, del resto, che per anni la Comunità Autonoma di Catalogna ha ricevuto finanziamenti da Madrid, pur sbandierando una sorta di superiorità, soprattutto economica. La contraddizione esplose al termine dei ventitré anni di governo di Jordi Pujol, nazionalista e cattolico, che si avvicinò ai conservatori di Aznar, fino a sostenerli in cambio di aiuti. Era, secondo i critici più drastici, la solita “Barcellona pesetera”, legata ai pesos, guidata da una borghesia imprenditoriale tanto indipendentista quanto intelligentemente pronta a far fruttare il legame con Madrid. Mai però i toni delle richieste catalane avevano sfiorato la dimensione drammatica di questi mesi.