Realtà e rappresentazione nel cinema di Nanni Moretti

di Luca Illetterati

Bring me back to reality, urla John Turturro nei panni di un cialtronesco e tragico attore incapace di dire anche il poco che dovrebbe dire nel film che Margherita Buy (alter ego di Moretti) dirige all’interno di Mia Madre, l’ultimo film, appunto, di Nanni Moretti. Riportatemi alla realtà, grida con il suo italiano buffo: il cinema è un lavoro di merda, aggiunge.

Sembra giocarsi su questo, il film di Moretti, su questa problematica polarità che è quella che si apre fra la realtà e la sua rappresentazione. Lo spazio cioè che il film prova ad abitare è appunto quello fra un cinema inteso come racconto del mondo, che diventa giocoforza una sua riduzione retorica e patetica e la realtà della vita, la realtà delle cose che vengono vissute, pensate e sentite, le quali sembrano trovarsi qui in una sorta di altrove appena tratteggiato: negli interstizi banali delle esistenze, nei pianti apparentemente insensati, nell’incapacità di portare a parola l’esperienza.