Dancing with(out) Myself – Tra Francesca Pennini e Philip Roth
di Leonardo Merlini A quel punto penso ai buchi neri e all’orizzonte degli eventi, dove il tempo rallenta fino quasi a fermarsi; penso alla seconda parte del Don Chisciotte che fonda il romanzo moderno e al tempo stesso già lo esaurisce; penso alla Nazione delle piante di Stefano Mancuso; penso al viaggio oltre le stelle […]
Contro la mentalità armonica. Satana, Camus e le mitologie di destra e sinistra
Conservare nella violenza il suo carattere di rottura, di delitto-cioè non ammetterla se non legata a una responsabilità personale. Altrimenti è per ordine, è nell’ordine-o la legge o la metafisica. Non è più rottura. Elude la contraddizione. Costituisce paradossalmente un salto nella comodità. Hanno resa comoda la violenza. Camus, Taccuini I. In Cielo Mentre sta […]
Cinque libri sul corpo
Photo by Lana Soosar on Unsplash Se il romanzo, il racconto, il memoir, la fiction, l’autofiction, la non-fiction, la letteratura, ecco, è ancora viva, è grazie ad autori come Andrés Neuman, che non si accontentano di scrivere i soliti romanzi, i soliti racconti, i soliti libri autobiografici nostalgici, la solita saggistica brillante e un po’ […]
“Fedeltà”, il valzer di fragilità di Marco Missiroli
Fedeltà è un romanzo sulla precarietà – economica, lavorativa, abitativa, sentimentale, erotica – della nostra epoca. I protagonisti, Carlo e Margherita, uno aspirante scrittore che si accontenta di fare il professore e l’altra architetto che ripiega su un lavoro da agente immobiliare, sono alle prese con le difficoltà dell’essere vivi (“ecco come sappiamo di essere vivi: sbagliando”, dice Philip Roth in esergo) e dell’esserlo insieme. Sono una coppia che vacilla di fronte alle tentazioni incarnate da Sofia e Andrea, più giovani e più liberi di loro ma altrettanto incapaci di concretizzare un futuro plausibile, ma che resiste proprio grazie all’attrazione di quei corpi che dovrebbero allontanarli. La fedeltà gioca un ruolo così decisivo nel mantenerli sull’orlo di una crisi d’identità da sfumare spesso nel suo contrario, in una trama di parole non dette o appena sussurrate, atti mancati e subito negati.
Marco Missiroli, al ritorno al romanzo a quattro anni di distanza da Atti osceni in luogo privato, è abile nell’irretire il lettore facendo transitare la voce da un personaggio all’altro, grazie al cosiddetto ‘passaggio di anime’, un approccio complesso alla materia narrativa che ha richiesto un lavoro molto più lungo del solito ma che gli ha permesso di ritrarre in modo struggente le nevrosi della sua generazione.
Quello che ci lascia Philip Roth
Pubblichiamo un pezzo apparso su Repubblica, che ringraziamo (fonte immagine).
«Rimane il fatto che capire la gente non è vivere. Vivere è capirla male, capirla male e poi male e, dopo un attento riesame, ancora male. Ecco come sappiamo di essere vivi: sbagliando».
È a questo punto di Pastorale americana, uno dei migliori romanzi del secondo Novecento, che Philip Roth, se non il più grande in assoluto (come lui nati nei Trenta: Thomas Pynchon, Toni Morrison, Cormac McCarthy) probabilmente il più robusto, il più tenace, il più influente, il più completo scrittore americano della sua generazione e di quelle a seguire, portava il suo alter ego Nathan Zuckerman a nutrire i primi dubbi sulla propria ricerca e noi lettori a morire di piacere tra le pieghe di una storia in cui nulla è come sembra.
Philip Roth, 1933-2018
Questa mattina ci siamo svegliati – in Italia – con la notizia della morte di un grande scrittore, Philip Roth, in un ospedale di Manhattan. “È morto circondato dai suoi amici di una vita che lo hanno profondamente amato”, ha scritto il suo biografo. Qui il pezzo del New York Times che annuncia la sua morte. Qui un’intervista alla Paris Review, autunno 1984.
Di seguito un ricordo di Luca Alvino, lettore attentissimo dell’opera di Philip Roth, di cui molto ha scritto anche su queste pagine.
di Luca Alvino
Di te ho letto tutto e scritto moltissimo, con te ho dialogato come se mi fossi vicino, ho meditato i tuoi libri come se fossero stati scritti per me, ne parlavo in casa come se fossi uno di famiglia. Possiedo tutti i tuoi romanzi, qualcuno in duplice copia, qualcuno anche in inglese.
C’era una volta l’America
Questo pezzo è uscito in forma ridotta su Robinson di Repubblica, che ringraziamo. di Nicola Lagioia A lungo il Nord America è stato per noi europei il più ingannevole degli specchi. Guardando al di là dell’Atlantico abbiamo creduto con arroganza di riconoscere in quelle terre il nostro esperimento più audace (come se il cuore occulto […]
Philip Roth, come faccio a dirti addio
Dal nostro archivio, un pezzo di Luca Alvino apparso su minima&moralia il 5 febbraio 2013.
Questo pezzo è uscito sulla rivista Orlando esplorazioni. (Fonte immagine)
Dopo aver letto della clamorosa decisione di Philip Roth di chiudere definitivamente con la scrittura, ho ripensato alla visita che Mickey Sabbath, stanco di un’esistenza ormai completamente allo sbaraglio, compie nello scalcinato cimitero ebraico del New Jersey in cui è sepolta tutta la sua famiglia. Dopo aver scelto con grande accuratezza la posizione e le dimensioni della propria tomba, il tipo di bara, il rabbino e la lapide, egli lascia scritto in una busta il testo dell’epitaffio destinato a illustrare il senso della sua vita interamente consacrata all’irrisione e alla dissolutezza: «Morris Sabbath / “Mickey” / Amato Puttaniere, Seduttore, / Sodomizzatore e Sfruttatore di Donne, / Distruttore della Morale, Corruttore della Gioventù / Uxoricida / Suicida / 1929 – 1994». In tanta colossale indifferenza nei confronti dell’opinione e del consenso altrui, mi è sembrato di intuire quale possa essere oggi l’atteggiamento divertito dello scrittore verso tutte le ipotesi e le chiacchiere che nel mondo si sono sollevate dopo la divulgazione della notizia.
Smettere di scrivere
Dal nostro archivio, un intervento di Giorgio Fontana apparso su minima&moralia il 28 novembre 2012.
Intervento tenuto al Writers Festival di Milano il 25/11/2012. (Immagine: Enkel Dika.)
Domandarsi perché smettere di scrivere — soprattutto a una serie di incontri chiamata Writers — può sembrare a prima vista una questione del tutto oziosa. A mio avviso non lo è, in quanto contiene una domanda anteriore e altrettanto importante, ovvero: perché scrivere? Se non c’è una buona risposta a questa domanda, l’altra è già risolta: non occorre nemmeno iniziare, punto.
Cominciamo dunque da qui.
Tra Pasolini e Roth: intervista a Massimo Popolizio
Massimo Popolizio è in scena (accanto, tra gli altri, a Fabrizio Gifuni e Massimo De Francovich) al Teatro Argentina di Roma fino al 18 Dicembre con la celebrata Lehman Trilogy, ultima grande messa in scena di Luca Ronconi, tratta dall’omonimo testo di Stefano Massini.
Come riassunto da Marta Marchetti nel suo saggio Guardare il romanzo. Luca Ronconi e la parola in scena (Rubettino): “La storia dell’ascesa e del declino di una grande famiglia di banchieri americani è raccontata in una fusione di spazio, tempo e azione che mette attori e spettatori di poterne fruire solo se disponibili a rischiare di rimanere bloccati su un dettaglio o di perdere proprio il particolare che può dare un senso al tutto (…) In questo modo procede tutto lo spettacolo, più di un secolo di storia economica e politica per la durata integrale di cinque ore e mezza…”.
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