Mostar 1992-2017

Questa intervista fa parte di un reportage uscito lunedì sul Messaggero.

Dzenana Dedić è nata a Mostar cinquantuno anni fa. Durante la guerra le hanno bruciato la casa, che era situata a pochi passi dall’ufficio in cui lavora, ed è stata espulsa nella parte est della città, ma non l’ha mai lasciata. Ricorda la fila delle macchine che nel 1992 abbandonarono in fretta e furia Mostar all’arrivo dei carri armati dell’Armata popolare jugoslava. E poi l’inferno che ha distrutto la città, la cosiddetta seconda guerra di Mostar, nel 1993 quando è deflagrato lo scontro tra bosgnacchi e croati. «Non mi abituerò mai alla spartizione su base etnica di un luogo che rappresentava ante litteram il multiculturalismo, la conversazione tra diversi – dice Dedić –. Eravamo una storia cosmopolita plurisecolare culturalmente rilevante, stiamo riscrivendo tante piccole storie insignificanti».

Nel biennio 1994-’96, fondamentale per la ricostruzione, Dedić è stata una figura di raccordo nei dipartimenti dell’European Administration for Mostar e ora guida la Local Agency for Democracy. Proprio nel 1996 si tennero le prime elezioni. A ventidue anni dalla fine della guerra Mostar vive uno stato di democrazia formale, una democratura l’avrebbe definita Predrag Matvejević.

Se il Rex ci «parla» dei profughi

Oggi, sabato 5 settembre, alla Mostra del Cinema di Venezia «prima» mondiale per la copia restaurata di «Amarcord» di Federico Fellini, che verrà proiettata a 40 anni dal premio Oscar vinto nel 1975. Pubblichiamo un intervento di Oscar Iarussi apparso su Tu non conosci il Sud – Gazzetta del Mezzogiorno

Il leggendario passaggio notturno del Rex al largo di Rimini in Amarcord (1973) di Federico Fellini conclude una sequenza iniziatasi in pieno giorno. È un’epifania «adriatica» della storia del cinema e dell’immaginario collettivo concepita sulla sponda del Tirreno. Il direttore della fotografia del film, Giuseppe Rotunno, ebbe a raccontare: «Il Rex fu girato dentro le piscine di Cinecittà. Invece l’imbarco per la serata del passaggio del Rex l’abbiamo girato a Fiumicino, stavamo girando un tramonto e gli ho detto: “Federico, abbiamo il sole dalla parte sbagliata! A Rimini non tramonta in mare” – “Sto qui per quello!”, mi ha risposto».

Fine della primavera pugliese?

Questo pezzo è uscito sulla «Gazzetta del Mezzogiorno».

di Oscar Iarussi

Se c’è un’immagine sintetica ed espressiva della Puglia negli ultimi quattro o cinque lustri, essa è senza dubbio quella della regione di frontiera. Innescata dagli sbarchi albanesi del 1991 – al culmine nell’approdo della nave «Vlora» nel porto di Bari, un’icona dell’exodus novecentesco – la dimensione frontaliera resa evidente dall’emig razione clandestina fu un trauma che non tardò a essere elaborato in positivo, equivalse a uno choc provvidenziale, offrì un’occasione storica per affrancarsi da un meridionalismo glorioso, ma spesso vittimistico e inefficace. Non furono di poco conto, infatti, la percezione e quindi la consapevolezza della Puglia come una delle linee geopolitiche di confine nel mondo globale e reticolare, una terra fremente dell’incessante movimento di uomini e merci sprigionato dal crollo del Muro di Berlino. In particolare, cambiò radicalmente il punto di vista: era strabico e fallace continuare a ritenere che la stella polare dello sviluppo coincidesse sempre e soltanto con il Nord, con un’Italia settentrionale che in quegli anni si serrava nella agorafobia politica e negli arcaici riti «padani» della Lega.

Pane nostro

Questo pezzo è uscito sul Corriere del Mezzogiorno.

di Alessandro Leogrande

Con uno straordinario saggio di storia culturale e materiale Predrag Matvejevic si è incamminato sulle vie del pane, il principale dei nostri alimenti, il fondamento della nostra civiltà. “Il paese dove siamo nati e dove siamo cresciuti”, scrive, “ci ha donato il sapore del suo pane.