Condominio Italia: la lite sul Salone del Libro

Questo pezzo è uscito su La Repubblica di Nicola Lagioia Con la decisione dell’Aie di spostare a Milano il Salone del libro, persino il mondo dell’editoria dimostra come l’Italia sia ancora il paese dei comuni, divisa su tutto, incapace di elaborare una politica unitaria in un settore tanto importante quanto fragile come la promozione della […]

Una dichiarazione d’amore al Toro di uno che a Torino non ci è nato né ci ha vissuto

Su Rivista Undici, che vi invitiamo a leggere, è iniziata una serie di articoli sul tifo e le sue sfaccettature. Questa è la prima puntata, scritta da Ivan Carozzi e dedicata al Torino. Ringraziamo l’autore e la testata. (Fonte immagine)

Quando ho iniziato a tifare il Torino? Non c’è una risposta, perché è una domanda sull’origine. E io non so da dove vengo. La memoria può spingersi come una torcia fino ad un certo punto. Fino a quando la luce diventa intermittente. Poi non c’è più nulla. Solo buio. Il Torino è la squadra che tifava mio fratello, più grande di me di cinque anni. Questo lo so. Ma quando è iniziato? E chi ero io, prima, in quella pappa morbida, senza tempo, quando ancora non avevo cominciato a parlare, a contare con le dita, a formarmi, a diventare, fra tante cose, anche un tifoso? Prima di radicare nella polpa del cuore l’affezione determinata per un colore e una squadra? Un lunedì mattina di effervescenza, dopo la vittoria col Bilbao e il Napoli, dopo dodici risultati utili in campionato, ho scritto a mio fratello. Gli ho chiesto: ma tu ti ricordi, Massimo? Eccetera eccetera. Tu lo sai quando o perché hai iniziato a tenere per il Toro?

“Le facce di qui”. Un reportage in versi dalla provincia di Torino.

Gli indifesi non si difendono, impara.
Per esempio, il freddo di questo gennaio,
in questo posto lontano da casa,
in questi paesi dove per qualche ora
tutti mi amano (mi danno del cibo e del vino,
mi chiedono il perché di chi sono)
– in questi giorni di luce ridicola
in cui più di ogni altri
ce l’avrei di una casa il bisogno,
con ritratti di famiglia e promesse
ripetute alla nausea – questo inverno plurale,
circolare, straniero, io l’ho accolto
come un principio fraterno,
l’ho lasciato depositare per bene
sulla pelle, e poi sulle dita, negli incavi
di mani e di piedi, gli ho lasciato intaccare gli strati profondi
fino alla cortina dell’ossa, l’ho fatto fermare lì dove voleva,
dove c’era più spazio.
Io accetto tutto.

L’inferno è una fabbrica tedesca
che dorme lungo un parco verde

Pubblichiamo un estratto dal prossimo romanzo che Demetrio Paolin sta scrivendo in questi mesi e che ci propone per minima&moralia. Una parte, da cui è tratto anche questo brano, riguarda l’incendio della ThyssenKrupp a Torino.

di Demetrio Paolin

L’inferno è una fabbrica tedesca che dorme lungo un parco verde. Capannoni su capannoni, vuoti topi, dove un tempo c’erano uomini e altiforni che facevano l’acciaio per mezza Italia. Ora sono quattro gatti. L’inferno è un luogo abbandonato. I fili morsicati e lasciati scoperti. Le sicurezze azzerate. E di colpo sulla linea 5 – avete presente l’acciaio delle scale mobili della stazione di Milano?