Uno spreco fatale e al tempo stesso sontuoso

Sylvia (il libro di Leonard Michaels edito da Adelphi con traduzione di Vincenzo Vergiani) racconta un amore fatale, impuro, violento, viscerale; un amore che si consuma tra liti furibonde e un sesso disperato. È uno di quei romanzi in cui la bella scrittura sembra quasi una conseguenza. L’autore rinuncia a descrivere sentimenti e si limita a esprimere sensazioni – che garantiscono una maggiore fedeltà, una sincerità più profonda; è un libro dotato di una prosa indolente, che non vuole sorprendere con una struttura sintattica articolata, ma che mira soltanto a rappresentare la realtà nella maniera più diretta, nuda, senza fronzoli, con uno stile paratattico che procede per frasi brevi, coordinate da nessi elementari.

La sua forza è nella semplicità. Stupisce proprio in quanto non desidera stupire: «Stando lì a Cambridge con lei, non sentivo alcun bisogno impellente di essere altrove. Sarebbe stata una splendida estate, rigogliosa, profumata. Avevo una ragazza. Nessun dovere. Dovevo solo esistere».

La disperata felicità di Sylvia

di Giacomo Giossi

(fonte immagine)

Limiti, opportunità, realtà e immaginazione. Poi ancora percezione, lavoro, amore, occasioni e bisogni: tutti elementi sparsi e spesso confusi di una biografia, di una vita che tenta di districarsi, di darsi forma e come spesso si ripete oggi darsi visione. Un obbligo di natura si potrebbe dire, ma spesso nulla più che un piatto amaro di conformismo.

Di certo oggi il pensiero anche e soprattutto quello su di sé vive fortemente all’interno di questa coercitiva suddivisione e analisi di ruoli e sensazioni. Un inseguimento perenne ad una performance in realtà priva di ogni senso se non nella cornice di un illusorio istante che tuttavia all’istante si condanna e si perde.