Depardieu o l’arte di sopravvivere

Due donne e tre uomini sono a cena in una brasserie di Parigi. D’un tratto una delle donne, Marguerite Duras, si rivolge a uno degli uomini, Maurice Pialat, e gli chiede a bruciapelo se è vero che per girare una scena di La Gueule ouverte ha dissotterrato la bara di sua madre. E siccome il volto del cadavere era nascosto, se ha chiesto all’operatore di girarlo ficcandogli un cacciavite nell’occhio. Certo, risponde Pialat senza battere ciglio. «Lei è un mostro» gli fa la Duras. «Lei è mostruosa quanto me,» ribatte Pialat «per capirlo basta leggere i suoi libri». Pialat non amava gli attori, né la recitazione. Credeva solo nella vita. Come la Duras, d’altra parte.

A raccontare questo siparietto è uno degli altri commensali, Gérard Depardieu, nel suo chiacchierato memoir È andata così (Bompiani, pp 178, traduzione di Alberto Pezzotta). Seguito ora da Innocente, uscito lo scorso settembre per Edizioni Clichy (pp 136, traduzione di Paola Checcoli), dove Depardieu dedica una severa tirata d’orecchie – fra le tante – a Pierre Niney, uno degli interpreti più apprezzati dell’ultima generazione.

Sono Pasolini. Intervista a Giovanna Marini

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Tra i numerosi omaggi che il Teatro di Roma, sotto la direzione di Antonio Calbi, ha offerto alla memoria di Pier Paolo Pasolini, lo spettacolo di Giovanna Marini Sono Pasolini, in scena al Teatro India fino al 30 Ottobre scorso, è stato senz’altro tra i migliori.

Lo spettacolo esplora la zona meno conosciuta della vita dell’autore, la gioventù friulana, ed ha il merito di spazzare via i luoghi comuni infamanti che ne hanno macchiato per decenni la reputazione.

Giovanna Marini, infatti, fa chiarezza sulle accuse di corruzione di minori che portarono Pasolini a lasciare il suo amato Friuli, dove era un insegnante adorato da studenti e genitori.

Germana e l’universo

Questo pezzo è sul numero di novembre, attualmente in edicola, di linus, che ringraziamo. L’illustrazione, che compare sulla rivista, è di Silvia Marinelli. 

Un sabato mattina, all’ora del secondo caffè, cioè intorno alle dieci e mezza, ho appuntamento con Germana, una medium e sensitiva di cui mi ha parlato una collega di linus. Germana abita al quinto piano senza ascensore di una palazzina in via Delfico. Non ero mai stato in via Delfico. Eppure si trova in una zona di Milano che non mi è sconosciuta. Non avevo neppure mai sentito nominare via Delfico ed è solamente alla seconda stesura di questo articolo che mi accorgo che nella parola, come un indizio, è contenuto il nome di Delfi, la vecchia città greca dell’oracolo di Apollo. Da queste parti si trovano la sede di Radio Popolare e le strade in cui Renato Salvatori, in Rocco e i suoi fratelli, prende a pugni Alain Delon, seguendolo di notte tra il cavalcavia Bacula e via Ercolano.

I confini del mondo. Morte e reincarnazione negli inediti di Tolkien

“In tristezza dobbiamo lasciarci, ma non nella disperazione. Guarda! Non siamo vincolati per sempre a ciò che si trova entro i confini del mondo, e aldilà di essi vi è più dei ricordi. Addio!” Con queste parole il re umano Aragorn si accomiata morendo dalla consorte elfica che ha rinunciato all’immortalità per stare con lui e che, per amara ironia, non ha neppure la consolazione di spirare con l’uomo che ama. È molto difficile condensare lo sguardo di un artista in una sua frase o immagine; tuttavia, se dovessi sceglierne una per J. R. R. Tolkien, forse è proprio questa che sceglierei. È vero delle civiltà come delle opere dei singoli, la morte fa parte della definizione della vita, come e forse più della cornice che delimita il quadro. Come scriveva lo storico Huizinga, “nella storia non meno che nella natura la morte e la nascita camminano sempre di pari passo”.

Tolkien ne era intimamente persuaso e nettamente consapevole, tanto che l’esperienza della Morte percorre tutta la produzione come un vero e proprio Leitmotiv. Non è certamente un caso che Il Signore degli Anelli si apra con una poesia che parla dei “mortal men doomed to die” (che pare echeggiare quel “brotoi” omerico che andrebbe tradotto non come “mortali” ma tragicamente, inesorabilmente “morenti”) e si concluda nel cratere di un “Mount Doom”. In una lettera al figlio lontano, notava il paradosso (“divino”, per lui) per cui proprio “il presagio della morte, che fa terminare la vita e pretende da tutti la resa, può conservare e donare realtà ed eterna durata alle relazioni su questa terra che tu cerchi (amore, fedeltà, gioia), e che ogni uomo nel suo cuore desidera.” E in una lettera sulla sua opera, spiegava che “se mi venisse chiesto, direi che il racconto non tratta in realtà del potere e del dominio: due cose che si limitano ad avviare gli avvenimenti; tratta della morte e del desiderio di immortalità”- per poi aggiungere significativamente “che è come dire che il racconto è stato scritto da un uomo!”

Rino a Montesacro

Oggi Rino Gaetano avrebbe compiuto 66 anni. Lo ricordiamo con un pezzo uscito sulla rivista Menabò che ricorda il suo rapporto con il quartiere romano di Montesacro, dove visse (fonte immagine).

Su piazza Monte Baldo il viavai è incessante. Ci sono i bambini usciti di scuola accompagnati dai genitori, le automobili e gli autobus che sfrecciano sulla rotonda in un flusso continuo, c’è chi spazza i cortili, chi porta gli occhiali e chi va a Porta Pia, lì dove finisce – o inizia – la Nomentana. Un ragazzino sfugge al controllo della madre e usa una bomboletta spray sulla porta blu mare di una pescheria, incide uno scarabocchio guadagnandosi un rimbrotto.

Proprio lì sulla piazza, lì dove adesso c’è l’insegna di Aleandro con la pescheria dalla porta blu mare, tra una tavola calda e un emporio, c’era un tempo il bar del Barone, tappa obbligata per chi voleva tirar tardi nel quartiere giocando al flipper, alla dama o per un ultimo bicchiere.

Il ritorno di al-Qaeda

Da oggi fino al primo novembre lo spazio Porta Futuro di Roma ospiterà il Salone dell’editoria sociale, giunto all’ottava edizione. Qui una sintesi degli incontri in programma. Di seguito pubblichiamo un articolo di Giuliano Battiston, curatore del programma della rassegna, apparso sull’Espresso, che ringraziamo.

«Geronimo E-KIA, enemy killed in action». È la notte tra l’1 e il 2 maggio 2011. La voce del vice ammiraglio William Harry McRaven, a capo del Joint Special Operations Command degli Stati Uniti, arriva ovattata nella Situation Room della Casa Bianca, riempita dall’attesa incerta dei più alti membri dell’amministrazione americana. Con asciutto linguaggio burocratico, McRaven annuncia la morte di Geronimo, nome in codice per Osama bin Laden.

Scovato dagli uomini del Navy Seals nel suo compound di Abbottabad, cuore dell’establishment militare pachistano, il 2 maggio 2011 il nemico pubblico numero uno degli Stati Uniti è ufficialmente morto: «giustizia è fatta», afferma con orgoglio il presidente Obama rivolgendosi al popolo statunitense. Si volta pagina, pensano in molti. L’operazione delle forze speciali chiude per sempre una storia durata fin troppo a lungo. Quella di al-Qaeda, l’organizzazione responsabile degli attentati dell’11 settembre.

Jonah Lomu, l’uragano nero

Sarà in libreria dal prossimo 10 novembre L’uragano nero. Vita, morte e mete di un All black di Marco Pastonesi (66thand2nd). Il libro sarà presentato il 9 al Circolo dei lettori di Torino e l’11 presso l’Associazione rugbistica capitolina a Roma.

All’inizio del 1989 l’uragano nero, quando varcò per la prima volta la soglia dell’ufficio di Chris Grinter, non era altro che un tredicenne, uno dei tanti ragazzini di strada dal sobborgo Greenlane, nella parte sud di Auckland, la città più popolosa della Nuova Zelanda. «Forse era fisicamente un po’ più grande dei suoi coetanei, ma la sua futura magnificenza e abilità atletica non apparivano ovvie», ha raccontato l’allenatore del Wesley College. In cinque anni poi Jonah Lomu ha colto di sorpresa il mondo, ha cambiato il gioco con la palla ovale, inscrivendo al vento l’immortalità di chi fin da bambino custodisce almeno due sogni: giocare un mondiale, e vincerlo.

Garrincha, il corpo sbagliato gioia di un popolo

Il 28 ottobre 1933 nasceva Garricha: lo ricordiamo con un estratto da 91° minuto. Storie, manie e nostalgie nella costruzione dell’immaginario calcistico di Giacomo Giubilini (minimum fax). Vi segnaliamo che domani, sabato 29, alle 14.30 Giubilini presenta il libro al Salone dell’Editoria Sociale a Roma con Emiliano Sbaraglia. (Fonte immagine)

di Giacomo Giubilini

È il 16 gennaio del 1983, Garrincha ha quarantanove anni ed è domenica. È diventato calciatore professionista trent’anni prima e l’apice della gloria risale a venti anni fa. Ora è un alcolizzato. Inizia a bere di mattina, continua nel pomeriggio e non smette per tutta la notte: tre giorni dopo, il mercoledì, senza essersi mai fermato, porta il suo corpo sfasciato fuori dal bar. Avrebbe voluto ancora qualcosa, avrebbe desiderato far ridere ancora qualcuno per avere da bere, ma si è alzato dalla sedia con un presentimento: senza sapere in cosa sperare ancora e senza sapere cosa chiedere, senza cercare scuse e rimandi, capisce che per lui è ora di morire. Viene ricoverato in una clinica psichiatrica dove muore nella notte tra il 19 e il 20 gennaio.

Stan Ridgway — Canzoni in nero

Stan Ridgway ha vinto il Premio Tenco 2016: di seguito pubblichiamo un ritratto del musicista e cantautore californiano.

È il 1980 quando un gruppo di Los Angeles esordisce con un album lontano dalle regole del rock dell’epoca, dalle etichette a tutti i costi, dai generi definiti. Si chiamano Wall Of Voodoo, nel loro mini LP, dallo stesso nome, mettono a frutto la passione per gli horror e per il noir in maniera incandescente. Hanno già musicato qualche film di serie Z, uniscono a un po’ di elettronica da rigattiere la passione per Ennio Morricone, amano i racconti in cui “finisce male”, come ricorda il loro leader,  Stanard Ridgway, per gli amici e gli appassionati Stan. “Fin da ragazzino, mi sono messo in testa di cantare cose terribili e di coltivare la mia passione per gli strumenti strani”.

La mappa di “Un bene al mondo”

Sulla copertina di Un bene al mondo è disegnata una piccola ed essenziale mappa. La mappa di un paese. Una macchia nel mezzo è la piazza. La chiesa si trova in alto, a destra. I boschi in cima. Poi un asilo, un bar, le case di due bambini. Il taglio della ferrovia. Il cimitero è in basso; più sopra, la freccia che porta “verso il confine”.

Nella finzione pittorica, la mano che l’ha tracciata è una mano infantile, anche se appartiene a Mara Cerri, una delle più talentuose illustratrici italiane. È stata pensata per sovrapporsi come una calcomania a quella del personaggio di cui è raccontata la storia, un bambino che non si separa mai dal suo dolore, ma quasi inconsapevolmente è finita per coincidere con la stessa mano dell’autore.

“Horses”, il nuovo fumetto di Nicolò Pellizzon ispirato a Patti Smith

Si avvicina Lucca Comics And Games (28 ottobre – 1 novembre) e come ogni anno di questi tempi valanghe di graphic novel si apprestano a invadere prima gli stand del festival e subito dopo o in contemporanea le librerie nazionali. Perché sì, cosplayer a parte, la fiera toscana continua a rappresentare l’evento più importante per tutta l’editoria che ruota intorno ai fumetti, dalle autoproduzioni ai grandi gruppi editoriali.

Tra tutto questo fiorire di opere spicca senz’altro il nuovo libro di Nicolò Pellizzon, Horses, omaggio a Patti Smith sin dal titolo. Sulla copertina, coloratissima, non sarà difficile accorgersi che le due figure disegnate in primo piano – i due protagonisti del libro –alludono “doppiamente” allo scatto con il quale Robert Mapplethorpe immortalò la cantante newyorkese donando a quel disco una potenza immaginifica unica, dettando le linee estetiche dell’immaginario punk che sarebbe sorto subito dopo nella New York di metà anni Settanta. Addirittura il personaggio di sinistra, Johnny, è quello che più ricorda Patti, mentre Patricia, a sinistra, somiglia tantissimo proprio a Mapplethorpe.

Il Man Booker Prize a Paul Beatty

Dopo aver ottenuto il National Book Critics Circle Award, Paul Beatty raddoppia con il Man Booker Prize, grazie al suo romanzo Lo schiavista, pubblicato in Italia da Fazi Editore. È la prima volta che questo riconoscimento va a uno scrittore americano. Di seguito riproponiamo un pezzo di Gabriele Santoro.

«È illegale gridare “al fuoco” in un cinema pieno di gente, giusto?».
«Sì».
«Be’, io ho sussurrato “razzismo” in un mondo post razziale».

Paul Beatty, classe 1962, radici losangeline, con Lo schiavista (Fazi Editore, 369 pagine, 18.50 euro, traduzione ottima di Silvia Castoldi), appena entrato nella short list del Man Booker Prize dopo aver vinto il National Book Critics Circle Award 2015, guarda al proprio paese, gli pone molte domande e lo dissacra, mettendolo allo specchio, senza coltivare la pretesa di ricevere risposte esaurienti.

Don’t Think Twice, It’s All Right. Hegel, Bob Dylan e il Nobel per la letteratura

di Francesco Campana

Il 13 ottobre 2016 è stato un giorno emotivamente impegnativo per chi ha a cuore la cultura, l’arte e la letteratura. Se ne è andato il Nobel Dario Fo, gigante del teatro, e Bob Dylan è stato insignito dello stesso premio per la letteratura. Le due figure sono certamente distanti, ma sono accomunate almeno da un aspetto: le polemiche che hanno suscitato al momento dell’assegnazione del prestigioso riconoscimento conferito dall’Accademia Svedese.

In entrambi i casi, ai preliminari riconoscimenti di rito – è sicuramente un grande attore…ha scritto delle canzoni straordinarie… – sono seguiti degli scandalizzati però,volti a criticare l’opportunità di tali attribuzioni e non di rado a screditaretout court il premio letterario in questione:però se lo meritavano anche altri poeti o scrittori; però il teatro e le canzoni non sono romanzi; però non è letteratura.

Due romanzi a confronto: Zero K e La vegetariana

La più bella battuta cinematografica sull’America post-Undici Settembre l’hanno scritta due fratelli (ora sorelle) di Chicago, per un film uscito prima del disastro del World Trade Center. È incorrotta dalla retorica come tutte le profezie, e arriva a metà di Matrix, pronunciata dal Morpheus di Laurence Fishburne come il vibrato di un martello contro muro di specchi: «Benvenuti nel deserto del reale», dice. È una battuta che funziona, per perfezione formale e per impatto, tanto che nel film la suggella un tuono di disneyana tempestività, ma la sua fortuna arrivata dopo, oltre i titoli di coda.