Trump: genesi dell’autoritarismo nell’era iperconnessa

Questo pezzo è uscito su Valigia Blu, che ringraziamo.

di Fabio Chiusi

“Il fascismo non è il nostro futuro”, scrive il New Yorker, commentando l’incredibile elezione di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti. “Non può esserlo. Non possiamo permettere lo sia. Ma, di certo, è in questo modo che il fascismo comincia”. Su Twitter i meme, i bot, il trolling e l’ironia lasciano poco alla volta spazio al sospetto, poi alla paura, infine al panico. Decine e decine di sondaggi si polverizzano. L’asticella delle previsioni in tempo reale del New York Times oscilla impazzita da un estremo all’altro, passando da settimane di percentuali bulgare per Hillary  a un testa a testa e, da ultimo, una valanga senza via di scampo per l’avversario. Trump ha davvero vinto le elezioni.

Il grande romanzo delle città italiane

Questo pezzo è uscito su Repubblica, che ringraziamo.

«E il viaggiatore d’oggi può predisporsi a esplorare gli angoli paesaggistici più riposti e intatti che ci siano in Italia, risalendo la Valnerina verso i mitici monti della Sibilla». A leggerle oggi queste parole di Attilio Brilli mettono i brividi: ci voleva un terremoto devastante per svelarci, e contemporaneamente rubarci, l’altra faccia del nostro Paese.

Restituire l’Italia agli italiani attraverso lo sguardo dei più celebri visitatori è esattamente il progetto de Il grande racconto delle città italiane (il Mulino 2016), un libro sontuosamente illustrato e magnificamente scritto da uno dei più profondi conoscitori della letteratura di viaggio europea dell’età moderna.

Era il 1858 quando Carlo Cattaneo scrisse che «la città è l’unico principio per cui possano i trenta secoli delle istorie italiane ridursi a esposizione evidente e continua»: i resoconti dei viaggiatori che Brilli seleziona, antologizza e monta in una narrazione avvincente rendono visibile questa intuizione, almeno per il tratto che va dal Settecento fino quasi all’oggi. E, anche grazie al sostegno dello sceltissimo apparato iconografico, questi testi rari e preziosi vengono offerti in nutrimento a nuovi, moderni visitatori decisi a non arrestarsi alla superficie dei «grandi attrattori turistici».

Il Messico contemporaneo di “Un mostro dalle mille teste”

Titolo e storia sono presi da un romanzo della scrittrice, sceneggiatrice e attrice uruguayana Laura Santullo, che per il regista e marito Rodrigo Plá ha scritto la sceneggiatura di Un mostro dalle mille teste. Classe 1968, uruguayano di nascita e messicano d’adozione, Plá ha esordito nel 1996 con il cortometraggio Novia mía, nel 2007 ha diretto l’ottimo lungometraggio La Zona e con Un mostro dalle mille teste (dal 3 novembre in sala per Cineclub Internazionale) ha aperto la sezione Orizzonti dell’ultima Biennale di Venezia.

Il film è ambientato nel Messico contemporaneo e racconta in forma di thriller una verosimile e drammatica storia di malasanità. La protagonista si chiama Sonia Bonet (interpretata dall’ottima Jana Raluy), ha un marito malato di tumore, la consapevolezza di potere salvarlo o quantomeno di fargli affrontare in modo meno doloroso il decorso della malattia, e l’impossibilità di farlo per colpa di un sistema sanitario inadeguato, corrotto e malgestito.

Phantasmagorica: intervista a Teho Teardo e MP5

Senza dubbio è un periodo di grande fermento per Teho Teardo, il prolifico compositore friulano noto per importanti colonne sonore e prestigiose collaborazioni, oltre che per le peculiari atmosfere che le sue opere sono in grado di evocare.

Dopo l’uscita del nuovo disco, Nerissimo, realizzato con Blixa Bargeld (leader dello storico gruppo sperimentale tedesco  Einstürzende Neubauten), il musicista ha da poco pubblicato la colonna sonora di La verità sta in cielo, il film di Roberto Faenza sulla morte misteriosa di Emanuela Orlandi, e continua a girare l’Italia con Elio Germano, proponendo la loro interpretazione del Viaggio al termine della notte, il capolavoro di Louis-Ferdinand Cèline.

“Fai bei sogni”. Intervista a Valerio Mastandrea

Questo pezzo è uscito sul Venerdì, che ringraziamo.

Valerio Mastandrea è cresciuto a Garbatella, ma da qualche anno si è trasferito nel vicino rione Testaccio, dove sembra aver fatto parecchie amicizie. Questa intervista si svolge su una panchina di piazza Testaccio dove ognuno che passa lo saluta: ciao Valè. Il più delle volte lui risponde solo ciao. Segno che i nomi non li sa. «Non è vero, certi li conosco, ma questa è una piazza particolare: se faccio una partitella con mio figlio e gli altri ragazzini dopo scuola, il pallone non finisce mai per strada, lo ripassano tutti, dalla bambina di un anno all’ottantacinquenne che non si regge in piedi. Bello, no?».

E qui finisce la spensieratezza, perché Mastandrea tanto spensierato non è, e poi l’intervista è su Fai bei sogni, il film che Marco Bellocchio ha tratto con le libertà autoriali del caso dal dolentissimo bestseller di Massimo Gramellini. Interpretato, appunto, da Mastandrea. Per i pochi che ancora non lo sanno, è la storia, vera, dell’autore che a nove anni ha perso la madre amatissima: gli hanno fatto credere o si è ostinato a credere che, debilitata da un intervento per un tumore, se l’era portata via un «infarto fulminante».

Donald Antrim e “La luce smeraldo nell’aria”

Questo pezzo è uscito sul Mucchio, che ringraziamo.

Donald Antrim è uno scrittore americano che appartiene alla generazione degli attuali cinquanta-sessantenni. Quelli che, come si dice, sono diventati letterariamente adulti dopo aver passato la giovinezza (leggi: l’età della formazione) sull’onda lunghissima del postmoderno, con tutte le sue sfumature e gemmazioni.

Dopodiché ciascuno ha seguito la sua strada, mentre via via il mondo intorno, come sempre accade, cambiava (e continua a cambiare), e con lui le mode e tutto il resto – così va la vita. Il viaggio di Antrim è rappresentato al meglio da questa raccolta di racconti, La luce smeraldo nell’aria, traduzione di Cristiana Mennella – ed è una strada che vale la pena di imboccare.

Storia di Shirley Chisholm, prima donna nera eletta al Congresso degli Stati Uniti

Pubblichiamo, in due parti, un lungo ritratto di Shirley Chisholm (1924-2005), prima donna nera eletta al Congresso e candidata alle primarie del Partito democratico per le presidenziali del 1972. La candidatura andò a George McGovern, che venne sconfitto da Richard Nixon, presidente uscente.

«Proffy, lei dimentica due cose: sono nera e sono una donna». Al college la politica era ancora una fantasia per la giovane Shirley Anita St. Hill Chisholm, ma qualcuno aveva percepito il suo talento per la parola che si fa impegno e governo in nome della comunità.

Louis Warsoff, professore non vedente di scienza politica al Brooklyn College, è stato per Shirley il primo uomo bianco col quale la conoscenza divenne conversazione, fiducia ed empatia. Lo chiamava proffy e s’intrattenevano in lunghe discussioni: «Da lui ho imparato che in fondo non eravamo differenti, intendo noi e i bianchi». La studentessa, che eccelleva e attirò l’attenzione di Warsoff, mostrava un’urgenza: dire al mondo come stavano realmente le cose.

Un pugno di libri ci salverà la vita. «By Heart» di Tiago Rodrigues

Nadežda Mandel’štam riuscì a salvare le poesie del marito Osip, morto a causa delle purghe staliniane, mandandone a memoria i versi. Non usò solamente la propria, di memoria, ma anche quella degli altri, trasmettendo ogni poesia a dieci persone per volta. Quando arrivò alla decima poesia, cento persone conoscevano e trasmettevano i versi del marito. E così via. A quel punto, per quanto nascosta e segreta, la poesia di Mandel’štam si era pian piano trasformata in un fiume carsico che attraversava la Russia, per riemergere poi con forza al termine del periodo staliniano. Tra le persone che Nadežda incontrò in questa paziente opera di trasmissione ci fu Joseph Brodsky, futuro premio Nobel.

Un pizzico di noce moscata fa la differenza

Pubblichiamo un racconto di John Collier, apparso per la prima volta nel 1941 sul New Yorker e in seguito nella raccolta Fancies and Goodnight. Collier (1901-1980) fu scrittore e sceneggiatore, amato da Anthony Burgess, Roald Dahl e Ray Bradbury. Questo racconto è stato ripreso da If magazine, la rivista online di Ideafelix, che ringraziamo.

di John Collier

Una dozzina di compagnie finanziano il nostro istituto di Mineralogia e la maggior parte di esse tiene lì almeno un ricercatore fisso. La biblioteca ha l’atmosfera intima e fumosa di un circolo. Io e Logan eravamo stati i primi ad arrivare, e avevamo preso per noi i due tavoli vicino al grande bovindo. Contro il muro, proprio al limite della finestra, dove la luce era fioca, c’era una piccola scrivania per i nuovi arrivati o quelli di passaggio. Una mattina un nuovo visitatore era seduto a quel tavolo. Non era necessario dare un’occhiata ai libri che aveva tirato giù dagli scaffali per capire che era uno da statistiche più che da formule. Aveva una di quelle facce da teschio, su cui la pelle del viso sembra così tirata da far male.

In ascolto del cinema muto: Quo vadis?

In occasione del centenario della morte di Henry Sienkiewickz, domenica 13 Novembre presso l’Istituto Polacco di Roma si terrà la mostra “Quo vadis” la prima opera transmediale. Da caso letterario a fenomeno della cultura di massa con ospite il fumettista Rodolfo Torti.  A seguire verrà proiettato la versione cinematografica muta del romanzo realizzata nel 1913 da Enrico Guazzoni. Michele Sganga, apprezzato autore di recital e colonne sonore e ospite fisso dal 2013 della Milanesiana, eseguirà per l’occasione al piano alcune sue composizioni originali, creando una suggestiva colonna sonora dal vivo. Ospitiamo un suo testo introduttivo.

di Michele Sganga

Ho immaginato una macchina del tempo capricciosa, che mi scaraventasse dal 2016 indietro cent’anni nel passato, davanti al malconcio pianoforte di un’affollata sala cinematografica: come non pensare a quanto disse Šostakovič dell’esperienza di pianista accompagnatore per il cinema muto, vissuta nei primi anni Venti del secolo scorso, e ricordata come “un lavoro spossante, anche se non del tutto inutile, in cui bisognava improvvisare molto in conformità degli avvenimenti che scorrevano sullo schermo”?

Gli occhiali col pacco

di Carmen Barbieri

Hai detto di non volerla una mia lettera. Piuttosto, hai detto, scrivici un romanzo. Con tutto questo dolore, di tutto quello che in questo dolore ti accade, “che ti devo dire Ca, scrivici un romanzo”. Continuo a sognare una casa nella quale a quanto pare, ed a quanto sembra ricordi anche tu, non abbiamo mai vissuto. Pare che non l’abbiamo nemmeno mai visitata questa casa. Eppure io l’ho sognata più volte in questi anni di vita insieme. Non necessariamente in accordo con i momenti difficili di questa nostra vita insieme. L’ho sognata anche in momenti sereni, di felicità.

L’ultima volta l’ho sognata due giorni fa. È una casa molto grande. A guardarla dall’alto è disposta come a ferro di cavallo ed ha anche il doppio ingresso. C’è una cucina importante al cui centro troneggia la penisola con il piano cottura e il lavello. È una cucina moderna, piena di luce, non riesco mai a ricordare il colore dei pensili, perché c’è sempre il sole in questa cucina, ma credo comunque che il mobilio sia chiaro. Ogni volta ci stiamo un bel po’ nella cucina perché a te piace cucinare e a me piace lo zabaione e questa cucina ha delle ciotole e delle fruste per montare bellissime.

L’arte visionaria di Prof. Bad Trip in mostra a Roma

Questa sera a Roma, presso il Palazzo Velli Expo, ci sarà l’inaugurazione della mostra A Saucerful of colours, a partire dalle 21 con un’esibizione di Teho Teardo.

Quest’estate Tabularasa Teké Gallery ha organizzato a Carrara nei propri spazi espositivi la mostra A Saucerful of colours dedicata all’artista Gianluca Lerici aka Prof. Bad Trip scomparso nel 2006. La rassegna ha riscosso un grande successo, non solo per la “vicinanza” geografica ed affettiva che lega Prof. Bad Trip alla città toscana (Lerici è nato nel 1963 a La Spezia, a pochissimi km di distanza, e si è diplomato in Scultura nel 1988 proprio all’Accademia delle Bella Arti di Carrara), ma soprattutto per l’importanza artistica delle opere esposte: oltre quaranta dipinti, poco conosciuti al grande pubblico, insieme a una serie di opere grafiche, sculture e altri oggetti come francobolli, poster, collage e complementi di arredo e di design.

Leonard Cohen è Dio

Come over to the window, my little darling, I’d like to try to read your palm. Ci ha lasciato Leonard Cohen: ripubblichiamo un pezzo scritto qualche tempo fa da Emiliano Colasanti

di Emiliano Colasanti

Ben viene da Toronto, ha un’età indefinita che ho deciso di collocare intorno ai quarant’anni e una maglietta di colore giallo evidenziatore con al centro il volto disegnato di una pantera. Sono quasi le cinque di un mattino di fine agosto e noi ci siamo appena lasciati alle spalle il Dockville Festival di Amburgo. Mentre camminiamo alla ricerca di un taxi veniamo continuamente fermati dalla gente, soprattutto ragazze, soprattutto ubriache: ci guardano, fanno una battuta sulla maglietta di Ben e sulla giacca che ho comprato per fingermi un rapper, vanno via. “Man, tutti amano la mia t shirt – dice – l’ho pagata solo cinque cazzo di dollari, capisci?”

L’importanza dei classici. Intervista a Tullio De Mauro

Questa intervista è uscita su Linkiesta, che ringraziamo.

di Bruno Giurato

Se pensi a una tipicità o a una stranezza, una norma o una variazione, una tradizione o un’innovazione linguistica, una retorica o un’antiretorica, stai sicuro che Tullio De Mauro ci ha già pensato. È già stato lì. Ma attenzione, il De Mauro glottologo, quello dell’introduzione al Corso di linguistica generale di De Saussure, il lettore di studi disparati sul darsi e il farsi del linguaggio, anche più polverizzato e magnetofonico, è tutt’altro che un (pur titanico) collezionista di oggetti culturali.