La fabbrica e il vicolo. Ricordando Ermanno Rea

Ricordiamo Ermanno Rea, scomparso il tredici settembre scorso, con un’intervista realizzata per Lo Straniero – che ringraziamo – da Alessandro Leogrande. Il pezzo risale all’ottobre 2002, all’uscita del romanzo La dismissione (Rizzoli) (fonte immagine).

Cosa ti ha portato a scrivere due libri come Mistero napoletano e La dismissione?

Ho cominciato a scrivere libri a sessant’anni. Precedentemente avevo scritto tanto, ma da giornalista. Ho lavorato per molti giornali: “l’Unità”, “Paese sera”, “Vie nuove”,  “Panorama”, “il Giorno”… Ma ho sempre pensato che era necessario liberarsi dal giornalismo per cogliere la realtà. Ho sempre pensato, oggi più che ieri, che scrivere dei libri non significa inventare storie di sana pianta, non si tratta di inventare la vita. Nella grande stagione del romanzo, fino alla prima parte del Novecento, le società occidentali pativano il deficit di informazione, la carenza di notizie. In un certo senso, lo scrittore, inventando storie, riempiva questo vuoto, raccontava il mondo. Ma oggi la situazione è radicalmente diversa.

Le due Istanbul di Burhan Sönmez

Sabato pomeriggio, all’interno di Pordenone legge, Burhan Sönmez presenterà Istanbul Istanbul (nottetempo) con Marco Ansaldo. Di seguito un’intervista realizzata da Gabriele Santoro.

«Gli scrittori credono nell’osservazione e nella contemplazione, mentre i governi confidano nella sorveglianza. E noi, scrittori, osserviamo tutto, inclusi i governanti quando sono impegnati a mantenerci sotto sorveglianza», dice Burhan Sönmez. A Istanbul il pane e la libertà erano due desideri che richiedevano di essere l’uno schiavo dell’altro. «Si sacrificava la libertà per il pane o si rinunciava al pane per la libertà», ammette uno dei quattro personaggi che animano i dieci capitoli di Istanbul Istanbul (nottetempo, 299 pagine, 17 euro, traduzione di Anna Valerio).

In questo romanzo Sönmez mette insieme quattro uomini: un dottore, un barbiere, uno studente e un vecchio rivoluzionario incarcerati in una stanza sotterranea, sottoposti a interrogatori e a torture indicibili. I quattro si raccontano storie, facendo risplendere le stelle nell’oscurità che opprime Istanbul. Coltivano la possibilità che la Istanbul di sopra non li dimentichi, in fondo «il cambiamento e la bellezza della città dipendevano dal potere delle persone di cambiare e diventare più belle».

La famiglia Fang, ovvero “tutto per l’arte”

Questo articolo è uscito sul Venerdì, che ringraziamo.

Nella scena iniziale della Famiglia Fang, una coppia di artisti concettuali (Caleb e Camilla Fang) mette in scena una rapina in banca coinvolgendo i figli piccoli Annie e Baxter nella performance.

I Fang adulti e bambini si divertono moltissimo, il personale della banca e i clienti decisamente meno, nessuno per fortuna resta ferito. Annie e Baxter da quando sono nati partecipano attivamente alle performance di famiglia. I loro genitori non sono delle brutte persone, sono solo convinti che l’unica cosa che dia senso alla vita sia la possibilità di trasformare ogni gesto in un’opera d’arte, e con coerenza lo mettono in pratica e lo fanno mettere in pratica ai figli.

Psicopolitica e potere secondo Byung-Chul Han

(fonte immagine)

In un suo libro precedente, La società della stanchezza, uscito nel 2012, il filosofo Byung-Chul Han sostiene che la società del XXI secolo non conservi più le caratteristiche novecentesche illustrate da Foucault: non si tratta più di una società di tipo disciplinare e controllata da determinate forme di obbedienza e dispositivi ma, piuttosto, l’individuo del nostro secolo è parte di una società di «prestazione», cioè non è nient’altro che un imprenditore di se stesso. Per questo le sofferenze che il soggetto patisce, sono quelle derivate da un livello di competizione sempre altissimo, e quindi incarnate in depressioni, burnout, paura di non essere all’altezza e altre cose simili.

L’arte della rivalità

Questo pezzo è uscito su Repubblica, che ringraziamo. (Nell’immagine il dipinto di William Turner Veduta di mare a Helvoetsluys).

«È stato qui, e mi ha tirato una fucilata», mormorò John Constable in un giorno di primavera del 1832, rientrando nella sala della Royal Academy dove il suo quadro con l’Inaugurazione del Ponte di Waterloo era esposto accanto ad una marina di William Turner.

Cos’era successo? Constable aveva lavorato per un decennio a quella grande tela in cui il paesaggio urbano si faceva pittura di storia, una sorta di summa artistica nella quale aveva condensato i risultati di una lunghissima frequentazione di Canaletto, e di Claude Lorrain.

Nulla di tutto questo preoccupò Turner, che fu invece colpito dai rossi brillanti delle bandiere e delle coperture delle barche che affollavano il Tamigi al centro del quadro del rivale: la sua Veduta di mare a Helvoetsluys era così grigia, al confronto. Così, con un gusto teatrale che finì di mandare in bestia Constable, egli entrò nella sala con la tavolozza, e aggiunse un tocco di rosso «non più grande di uno scellino» in mezzo al suo mare, andandosene soddisfatto.

87 ore di misericordia

Questo pezzo è uscito su Misericordia, l’ultimo numero di Nuovi Argomenti. Tra i testi presenti, il diario di Enzo Bianchi e la sezione tematica curata da Chiara Valerio e Leonardo Colombati.

di Costanza Quatriglio

C’è una componente istintiva nel trovare il proprio posto, nel sapere dove mettersi, da quale punto di vista sciogliere ogni sforzo d’attenzione. Quando poi l’istinto si fa scelta, l’osservazione svela il suo aspetto politico, perché riguarda questo mondo e non un altro in cui la misericordia avvicina l’uomo a Dio. La misericordia avvicina l’uomo all’uomo, chi non soffre a chi soffre. Ecco perché Francesco Mastrogiovanni, nelle immagini delle videocamere di sorveglianza, è la massima espressione dell’altro che soffre; ecco perché la sua morte è connaturata allo sguardo di quelle videocamere. Ecco perché, più semplicemente, se Mastrogiovanni fosse stato guardato diversamente, oggi sarebbe vivo.

La sfida, nella realizzazione di 87 ore (1), è stata quella di assumere un punto di vista che allontani anziché avvicinare, che esprima, attraverso l’allontanamento, l’impossibilità di uno sguardo alternativo, costringendoci a stare dentro una realtà che esiste solo in quanto rappresentata attraverso un occhio che reifica ciò che filma al pari della contenzione meccanica effettuata ininterrottamente sul corpo di Francesco.

La scienza della vita

È online da ieri Ideafelix, una nuova piattaforma editoriale che finanzia – attraverso la vendita delle sue pubblicazioni – laboratori didattici o progetti culturali nelle scuole italiane. Il progetto prevede la pubblicazione di sei romanzi all’anno (il primo è Studs Lonigan di James T. Farrell) e un magazine online gratuito. Dal magazine pubblichiamo oggi il racconto La scienza della vita della scrittrice americana Gina Berriault.

 

La scienza della vita

di Gina Berriault

Alle nove la moglie tornò a casa da sola. La baby-sitter fu colta di sorpresa dallo stridore degli pneumatici che frenavano sulla ghiaia. Era una ragazza semplice e talmente coscienziosa da sentirsi sotto esame anche quando era da sola. Aveva la sensazione che la gente la considerasse una di cui non ci si può fidare perché era piena di mancanze, così tante da essere imperdonabili, come se le fosse stata data la possibilità di scegliere in che modo apparire agli altri e avesse scelto male.

Una conversazione con Jonathan Safran Foer sull’11 settembre

Ho incontrato Jonathan Safran Foer a Milano. Abbiamo fatto una lunga conversazione su come il contesto in cui abbiamo vissuto negli ultimi 15 anni ha influito su chi racconta storie attraverso il cinema e la letteratura. Dal terrorismo ai media alla guerra alle religioni alle disparità economiche. La conversazione è stata pubblicata su “La Repubblica”. Questa è la sua […]

A lezione da Riccardo Muti

di Matteo Cavezzali (fonte immagine)

Arriva per ogni persona il momento della vita in cui ci si pone la fatidica domanda “cosa lascerò a chi verrà dopo di me?”. Alcuni grandi artisti, superata la soglia dei settanta, iniziano a interrogare se stessi e a guardare alle nuove generazioni con occhi diversi. Il Maestro Riccardo Muti ha deciso di trascorrere il suo settantacinquesimo compleanno insegnando ad un gruppo di giovani direttori d’orchestra quello che per lui è stato molto più che un lavoro, quello che è stato la vita stessa, ovvero la musica.

Dal 23 luglio al 5 agosto si è svolta l’Italian Opera Academy, una serie di lezioni in cui il Maestro e i suoi allievi hanno allestito Traviata di Verdi al teatro Alighieri di Ravenna.

Seminario portatile di traduzione: “Anna Karenina”

In vista degli incontri con Claudia Zonghetti, traduttrice di Anna Karenina per la nuova edizione Einaudi, mi sono preparato leggendo qua e là commenti e interventi fatti a riguardo su blog e giornali, ho annotato un po’ di domande – alcune piuttosto sciocche, come per esempio: “Qual è la parola russa per dire “sottosopra?” – e, naturalmente, ho riletto Anna Karenina, rendendomi conto con un misto di malinconia e felicità, con struggimento quindi, che un romanzo così bello, temo, non mi capiterà più di leggerlo.

Non è il libro che ho amato di più, no, questo no, ma è il romanzo più romanzo che abbia mai letto. Anna Karenina è, per così dire, il principe azzurro dei romanzi; quello che sotto sotto ogni lettore spererebbe di incontrare ogni volta che comincia un libro.

Il Salone di Torino a Milano e altre sfide al buon senso. L’intervento di Giuseppe Laterza.

Pubblichiamo, ringraziando l’autore, il testo dell’intervento tenuto da Giuseppe Laterza all’assemblea degli editori dell’8 settembre presso il Circolo dei Lettori di Torino a proposito del Salone del Libro di Torino e della Fiera del Libro di Milano.

di Giuseppe Laterza

Come credo tutti voi, sono preoccupato dall’esito più probabile della vicenda che contrappone l’AIE al Salone del Libro di Torino.

Non solo per il motivo che Sandro Ferri stamattina espone sinteticamente sul Corriere – due ‘saloncini’ non ne fanno uno – in fondo, si potrebbe dire che è ‘parva materia’ e preoccuparsi di cose ben più gravi, come lo strapotere di Mondadori o Amazon…

Mondo nomade, città aperte. Intervista a Richard Sennett

Questa intervista è uscita sull’Espresso, che ringraziamo.

Parigi. Pensare di arroccarci nella nostra identità, di «esimerci dal contatto e dalla contaminazione con gli altri è ridicolo, un’illusione». Respingere chi cerca aiuto, «una nuova forma di fascismo». Richard Sennett, tra i più autorevoli sociologi contemporanei, docente alla London School of Economics e alla New York University, guarda con preoccupazione al modo in cui in Europa si affronta la questione migratoria. Il «nuovo tribalismo», che combina la solidarietà con i propri simili e l’aggressività contro chi è diverso, è frutto di un’incompetenza sociale, sostiene l’autore de Lo Straniero. Due saggi sull’esilio (Feltrinelli 2014).

Un’incompetenza favorita dal modo in cui sono costruite le nostre città. Sistemi chiusi, sigillati, che dequalificano i cittadini e neutralizzano le differenze, eliminando quegli spazi ambigui in cui si può imparare a fare un uso produttivo della diversità. Perché la cooperazione con gli altri, specie con gli estranei, è una competenza, un’arte che va acquisita. E le città aperte, porose e dinamiche, possono aiutarci a esercitarla, «rendendoci cittadini migliori».

“Les Beaux Jours d’Aranjuez” di Wim Wenders in concorso a Venezia 73

Riceviamo e pubblichiamo un pezzo di Antonia Conti, direttamente dalla 73. Mostra del Cinema di Venezia, inviata di minima&moralia.

Inizia con le immagini di una Parigi estatica Les Beaux Jours d’Aranjuez, il nuovo film di Wim Wenders, visto nel concorso di Venezia 73. Una Parigi desolata, incorniciata in spazi ampi, vuoti, privi di figura umana.

Eppure, il film mette al centro l’uomo, la soggettività, l’essenza umana composta di strati disconnessi e impenetrabili. Attorno a questo concetto Wenders e Peter Handke – l’autore della pièce teatrale da cui il film è tratto – articolano parole e immagini.

La città è il prologo, nonché la silhouette intravista con un binocolo, a un certo punto del film. La silhouette è anche uno dei leitmotiv del discorso tra i protagonisti, l’Uomo (Reda Kateb) e la Donna (Sophie Semin), un discorso ininterrotto e fluviale, liquido come il pensiero umano.

Senza garantismo non esiste la politica, ovvero l’infinita fase adolescenziale dei Cinquestelle

di Christian Raimo La giornata romana di ieri, al contrario di quanto forse appare, è stata l’ennesima ingiustificabile giornata della crisi adolescenziale di un movimento 5stelle che non sembra in grado di entrare in una fase adulta. Di fronte alle critiche e agli attacchi dell’opposizione e della stampa, ma anche soltanto di chi ha votato […]