Vent’anni (e un mese) senza Aurelio Galleppini

Un mese fa è stato il ventesimo anniversario della scomparsa di Aurelio Galleppini, in arte Galep, creatore, insieme a Gian Luigi Bonelli, di Tex Willer. Pubblichiamo il profilo dedicato a Tex di Luca Raffaelli, da Tratti & Ritratti. I grandi personaggi del fumetto da Alan Ford a Zagor.

di Luca Raffaelli

Tex Willer

Quando Tex nasce, nel 1948, il western in Italia è come la fantascienza. Delle immense praterie del Texas e dell’Arizona si sa quanto di Marte e Saturno. Nessuna documentazione fotografica può aiutare: è pubblicata su libri americani quasi inaccessibili, e i costumi indiani sarebbero stati portati alla nostra attenzione da Margaret Mead decenni dopo. Rimane solo il mito, la ricostruzione attraverso la rimozione, l’epica della parzialità: quell’affascinante cinema americano dei cowboy e degli indiani, che nel dopoguerra invade le sale italiane.

Il fumetto italiano, poi, è tutto da inventare. Dalla fine della guerra se ne occupano piccoli editori, aziende a gestione familiare, con la redazione in salotto e il magazzino in cantina. Vera fortuna di quei tempi è la possibilità di rischiare. Si può provare in economia con una manciata di personaggi, e scoprire quale funziona sufficientemente bene per continuare almeno per un po’.

Le colpe di Orfeo

Finalista al Premio Calvino, Cacciatori di frodo (Miraggi edizioni) è un romanzo infernale. Sin dall’inizio si sprofonda nel furore della storia. Chi narra, confessando i dolori abnormi che gli hanno stravolto la vita, marcia ogni giorno per dodici chilometri su un binario morto, alla ricerca di un’esistenza perduta. Insegue tutti i giorni la moglie che a ogni alba si alza e percorre quei dodici chilometri lungo il binario morto, fino a sdraiarsi ed esporre il proprio corpo, perché un treno le faccia rotolare la testa giù dall’argine e in fondo al Piave. È la catabasi di un uomo che attraversa, dannandosi, i sensi di colpa. A volte crede di essere Orfeo. Nel mito greco Orfeo sprofondò nell’Ade pur di salvare Euridice, commosse Proserpina grazie alla musica e alla poesia e ottenne di riportare l’amata con sé alla vita, a patto che non avesse mai voltato le spalle durante il ritorno. Ma alla fine l’angoscia, la colpa primordiale, l’amore, l’incertezza del proprio passato, la paura di essere solo (e chissà quanti altri infiniti moventi) lo tentarono fino a farlo girare, causando così la perdita eterna della propria consorte.

Il romanzo politico di Walter Siti

Questo pezzo è uscito su Pagina 99.

Autobiografia e politica: difficile, leggendo l’ultimo romanzo di Walter Siti, non pensare al recente successo letterario de “Il desiderio di essere come tutti” di Francesco Piccolo. Pubblico e privato suonano in contrappunto in entrambi i libri, con esiti diversissimi: in Piccolo scorgiamo l’avvento del renzismo come possibile reincarnazione di quel compromesso storico fallito e rimpianto nel libro, rea confessa l’intransigente “purezza” di una sinistra che (secondo l’autore) non voleva scendere a patti con la realtà; in Siti Renzi appare tra le ultime pagine come “il metadone per l’antiberlusconismo tossico”, “antisortilegio” con cui la politica italiana prova a salvare capra e cavoli: “l’irrazionalità” del “mago Silvio” e “il senso del limite”. Forse, in fin dei conti, non sono due prospettive inconciliabili; ma Piccolo immagina la storia della sinistra italiana come un romanzo di formazione, rassicurandoci nella prospettiva di un equilibrio possibile e raccontando la storia di un individuo (lui stesso) che ricompone il passato e il presente come si fa dallo psicologo: la realpolitik come un’ortopedia dell’anima.

Dimmi due cose, Don

Il 7 aprile 1931 nasceva Donald Barthelme. Pubblichiamo la prefazione di Vincenzo Latronico alla raccolta di racconti La vita in città.

di Vincenzo Latronico

Cos’è esattamente che rende i racconti di Barthelme così teneri, così accattivanti? C’è un’emozione o un’atmosfera molto precisa che li caratterizza. È un’emozione che non ha nome. A volte la si può chiamare «dolcezza», altre volte «ironia», a tratti «divertito cinismo». Ma questo significherebbe ascriverla alla voce dell’autore, al modo in cui si racconta: mentre è chiaro che ha a che fare con le situazioni che vengono raccontate. Sono situazioni che toccano e fanno ridere e muovono a pietà; rivelano qualcosa di profondo sull’interiorità dei personaggi, sui nostri sentimenti e meccanismi mentali, e insieme mostrano che è una rivelazione da poco. Eccola qui la realtà, sembra dire Barthelme: è profondissima ed è struggente ed è qualcosa da riderci su. Se anche a lui fosse toccata la canonizzazione metonimica di Pirandello e di Kafka chiameremmo quest’emozione o quest’atmosfera «barthelmiana»; gli dei della storia letteraria, o forse i numi protettori dell’etimologia, hanno impedito che fosse così.

Il delitto perfetto di Julia Deck

Questo articolo è uscito su Europa.

Chi era convinto che il noir fosse ormai un genere letterario stereotipato e del tutto asservito alle leggi del mercato editoriale, sarà clamorosamente smentito da Viviane Élisabeth Fauville, il memorabile esordio romanzesco di Julia Deck, di cui si è già parlato molto in Francia e di cui si discuterà molto anche in Italia, dove è stato pubblicato da Adelphi (pp. 129, euro 15), nell’eccellente traduzione di Lorenza Di Lella e Giuseppe Girimonti Greco.

L’eponima protagonista è una quarantenne di estrazione alto borghese, responsabile della comunicazione per una nota azienda di costruzioni, la Bétons Biron, e madre da alcuni mesi, la quale, all’improvviso, in un pomeriggio di novembre, uccide il suo psicoanalista accoltellandolo. Viviane aveva deciso di entrare in analisi per superare i contraccolpi della separazione dal marito, che l’aveva piantata per una donna più giovane.

Non don Ciotti; e non a Sofri, Caselli, Dalla Chiesa. Don Silvano sono io. Sulle polemiche seguite a “I buoni” di Luca Rastello

È da poco uscito per Chiarelettere I buoni, romanzo di Luca Rastello che sta facendo molto discutere. Nel romanzo si racconta il lato oscuro dei professionisti del bene. Qualche commentatore (come Adriano Sofri o Gian Carlo Caselli) ha creduto – passando dalla finzione letteraria alla cronaca – di ritrovarci don Ciotti e “Libera”. Si è sollevato un polverone. Qui l’articolo di Rastello in risposta alle polemiche, uscito qualche giorno fa sul “Fatto Quotidiano”.

di Luca Rastello

Caro direttore,

ci tengo davvero a ringraziare Il Fatto Quotidiano per l’attenzione che ha voluto dedicare al mio romanzo “I Buoni”, e sono lusingato per la lettura attenta e profonda di Daniela Ranieri. Sento però il bisogno di rispondere, sia pure sommariamente, agli attacchi di Nando Dalla Chiesa e Gian Carlo Caselli che sorprendentemente trovo scomposti. I loro articoli su di me sono ricchi di allusioni e insinuazioni sgradevoli, veri e propri insulti (“ipocrisia”, “velo farisaico” già nell’incipit, “volgare”, “squallido”, “arrogante”, “presuntuoso” qua e là) eper di più si appoggiano a riferimenti testuali del tutto scorretti, e in qualche caso addirittura immaginari, che mi costringono a ripetere un vecchio e trito adagio: prima di parlare di un libro conviene leggerlo, e tanto più se si vuole essere efficaci nel distruggerlo. Addirittura Dalla Chiesa inventa una storia d’amore fra un sacerdote e una donna che nel libro proprio non c’è. Capisco l’intento polemico: deve ridurre il libro a una massa maleolente di pettegolezzi (lui dice “gossip”). Mi dispiace perché stimo Dalla Chiesa per le sue battaglie civili e politiche, ma scivoloni come questo mi danno agio per rispedire al mittente il “gossip”: è una forma mentis che forse appartiene a lui, non a me.

La vita è una partita a flipper

Questo pezzo è uscito sul Corriere della Sera.

I fallimenti umani sono una sorgente sacra per la letteratura. Tra le parabole di vite stroncate, i campioni sportivi che hanno rinunciato alla gloria formano una mirabile squadra a cui va aggiunto, da oggi, il talento sprecato di José Pagliara. Con la tipica struggente malinconia della promessa non mantenuta del calcio – per colpa di un fallaccio che spegne la sua carriera – José è il protagonista dell’esordio narrativo di Claudio Grattacaso, La linea di fondo, pubblicato da Nutrimenti. Per ventisette anni, José ha covato rabbia e nutrito il rancore contro il suo «carnefice» e ora la sua vita è insabbiata. La moglie, Barbara, è malata, vittima di ossessioni che la tengono in uno stato quasi vegetativo, la figlia ventenne, Irene, comunica col padre solo con gli sms ed è inevitabile che il protagonista conduca un’esistenza consacrata all’amarezza, a sfogliare fotografie sbiadite con uno solo desiderio: «tornarmene indietro nel tempo». Il gorgo delle riflessioni, le piaghe aperte dei rimpianti e il rimuginare sulle colpe sono oltretutto attività apparentemente vane: «la condizione di un naufrago – scrive Grattacaso – non cambia se scopre le cause che hanno fatto andare a picco la nave».

Istruzioni per l’uso del futuro: ius soli

Tomaso Montanari torna in libreria con Istruzioni per l’uso del futuro. Il patrimonio culturale e la democrazia che verrà. Ne pubblichiamo un estratto e vi invitiamo oggi alle 17.30 allo Spazio Alfieri di Firenze: con Tomaso Montanari e Sergio Staino intervengono Cinzia Scaffidi e Gianni Cuperlo.

I compagni di classe dei miei figli si chiamano Lorenzo e Tommaso, ma anche Vincent e Pawan; si chiamano Elena, Caterina o Mattia, ma anche Whalidh e Danna. E i loro nomi fanno subito capire che alcuni sono nati in Italia, altri no. Ma vanno tutti alla stessa scuola: una scuola pubblica (cioè di tutti, e per tutti), che si chiama «Francesco Petrarca». Per andarci, camminano in una strada antica, e di fronte alla scuola c’è una chiesa costruita trecento anni fa, piena di quadri e di statue in parte anche più antichi. È un quartiere decisamente popolare, ma, se prima di entrare a scuola alzano lo sguardo, quei piccoli vedono la collina verde di Monte Oliveto, con i suoi cipressi e il campanile svettante di San Bartolomeo, la chiesa cui appartenne l’Annunciazione di Leonardo da Vinci, oggi agli Uffizi.

Un oceano di amore. Perché Hemon e Mainardi hanno scritto due libri bellissimi.

Questo articolo è uscito su Europa.

Nell’ultimo mese ho letto due libri bellissimi. Uno è Il libro delle mie vite di Aleksandar Hemon, l’altro è La caduta di Diogo Mainardi; li ha pubblicati entrambi Einaudi: il primo è tradotto da Maurizia Balmelli, il secondo da Tiziano Scarpa. Sono due libri che si parlano, o almeno hanno parlato entrambi a me, in una maniera così profonda, che ogni tanto, mentre leggevo, ho dovuto poggiare il libro da una parte, fare altre cose, e poi ricominciare dal punto dove avevo lasciato. Sono due libri di non-fiction, anzi sono due libri autobiografici, spudoratamente autobiografici, di due scrittori iperletterari, che decidono invece di raccontare la propria vita scegliendo un registro quasi occasionale, chiedendo implicitamente al lettore qualcosa di più che attenzione: chiedendo affetto. Ho amato molto, dicevo, entrambi i libri, e credo che questa richiesta sia legittima, non tanto perché Hemon o Mainardi si sono, come si dice, messi in gioco, denudati (mai piaciuti gli autori che credono alla retorica dell’autenticità solo per aver l’alibi di spacciare per letteratura l’osceno dei fatti propri), ma perché Il libro della mia vita e La caduta sono due straordinari inni alla fragilità dell’uomo, alla sua finitezza, e alla sua capacità di sopravvivenza di fronte all’assurdità del dolore.

Cent’anni di Octavio Paz

Riprendiamo dal blog delle edizioni Sur un articolo di Valerio Magrelli uscito originariamente come prefazione a Intervista con Octavio Paz di Alfred Macadam. Il libro, pubblicato nella collana Macchine da scrivere di minimum fax, risale al 1996, quando il poeta messicano era ancora in vita.

di Valerio Magrelli

Alquanto singolare è la miscela che fa di Octavio Paz uno tra i massimi poeti viventi, un intellettuale militante, e un maître à penser. Tra i numerosi titoli tradotti in italiano, spiccano da una parte le raccolte di versi Libertà sulla parola (edito da Guanda), Vento cardinale e altre poesie (Mondadori) e Il fuoco di ogni giorno (Garzanti), dall’altra, un’opera saggistica di impressionante vastità e varietà. Mentre SE ha proposto il memorabile testo su Marcel Duchamp Apparenza nuda, Garzanti, dopo Una terra, quattro o cinque mondi e Passione e lettura, ha dato alle stampe il dotto, sterminato, capillare studio Suor Juana o le insidie della fede (Garzanti). Bastano questi pochi dati per comprendere quanto complessa sia l’opera di un autore capace di spaziare con uguale competenza e passione dall’antropologia alla critica letteraria, dalla sociologia alla storia dell’arte, dalle avanguardie storiche alla mistica barocca.