Da duemila anni. Diario di un ebreo romeno sotto Hitler

«Morte agli ebrei!» è un grido vecchio, amaro e familiare per il giovane Mihail Sebastian, classe 1907, avvocato noto, critico letterario e autore teatrale a Bucarest fra le due guerre mondiali. Nello sguardo di questo figlio del Danubio, la patria in cui si identificava, acuto osservatore e testimone negli anni dell’ascesa del maresciallo Ion Antonescu del propagarsi dell’antisemitismo, c’è la lacerazione dell’indifferenza che in un giorno diverso dagli altri diventò odio e persecuzione.

L’arte del racconto secondo Philip Ó Ceallaigh

Philip Ó Ceallaigh sostiene di essersi trasferito a Bucarest perché voleva scrivere racconti. Nel 2000 all’età di trentadue anni si è sistemato dove è scomodo stare. Era primavera e viveva in periferia in un monolocale al decimo piano di una palazzina d’epoca comunista: «Non era esattamente un ghetto, ma nemmeno un quartiere alla moda». Costava poco e poté comprarlo, ma non aveva i soldi per riparare il soffitto. La pioggia penetrava nell’appartamento, a causa dell’umidità crescevano funghi sulla parete («erano multicolori, li avrei dovuti fotografare», dice).

Bucarest era in stato di decomposizione, dal comunismo al salto nel vuoto del libero mercato degli anni Novanta. E quel soffitto ne restituiva l’immagine: tutto crollava e nessuno sapeva come rattoppare. Dentro a quell’appartamento Ó Ceallaigh forse si è salvato la vita. Come i vicini di casa, prostitute che profumavano l’ascensore, giovani che più dei pensionati assomigliavano a relitti alla deriva, cercava la via di fuga all’assenza di senso: «Mi sembrava che perlomeno metà degli inquilini stesse impazzendo, confinati dalla povertà nelle loro stanze mentre il mondo di fuori collassava – ha scritto – . Ero il migliore scrittore irlandese non ancora pubblicato e delle volte, da ubriaco, mi gloriavo di questa follia sbracato nel buio da qualche parte».